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Terrorismo rurale colpisce Munster
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- Creato Lunedì, 09 Aprile 2018 17:49
- Ultima modifica il Mercoledì, 18 Aprile 2018 10:12
- Pubblicato Lunedì, 09 Aprile 2018 17:49
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Munster, 7 aprile 2018. Ritorna l’incubo terroristico; questa volta, però, a mettere in atto il folle e ripetuto gesto è un tedesco di 48 anni Jens R. Handeln, il quale con un furgone si è piombato sulla folla nel centro della città al confine con l’Olanda. In seguito si è scoperto che l’attentatore aveva problemi psichici e quindi si presuppone che alla base dell’attentato non ci siano motivazioni ideologiche ma nessuna pista è esclusa. L'attacco risulta comunque differente dal terrorismo islamico “classico”. Infatti quest’ultimo ha come scopo quello di fare il maggior numero di vittime e quindi, come in alcuni casi realmente avvenuti, l’autista del furgone si sarebbe fermato davanti ad un ostacolo e sarebbe sceso armato, ad esempio con un coltello, per continuare a terrorizzare la folla. Ma in questo caso l’attentatore si è suicidato sparandosi un colpo di pistola. Nell’intervista di TGCOM24 con il giornalista Giannandrea Gaiani, si è discusso, di alcuni ambigui parallelismi con le date degli attacchi terroristici, ad esempio il 7 aprile 2017 ci fu l’attacco a Stoccolma, oppure il 22 marzo 2017 ci fu l’attacco a Londra mentre il 22 marzo del 2016 ci fu il primo anniversario degli attacchi di Bruxelles. Ma queste sono tutte ipotesi da verificare. Infine si è parlato di terrorismo “rurale” ad indicare che ora gli obiettivi ambiti non sono più le grandi metropoli ma città un po’ più piccole, facendo riferimento anche all’attentato di Carcassonne. Il direttore della rivista online Analisidifesa.it chiudendo, ha ribadito che ancora bisogna studiare il personaggio per capire il motivo di fondo del gesto, ma che sicuramente era una persona in grado di intendere e di volere.
di Alice Di Domenico
Salvini, i profughi e le incoerenze
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- Creato Lunedì, 19 Febbraio 2018 15:12
- Ultima modifica il Lunedì, 19 Febbraio 2018 15:13
- Pubblicato Lunedì, 19 Febbraio 2018 15:12
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Il segretario della Lega Matteo Salvini in visita a Campobasso lo scorso 16 febbraio al Grand Hotel Rinascimento ha rimarcato alcune questioni fondamentali in vista delle prossime elezioni politiche. Prima di tutto ha ribadito la sua linea politica improntata sul principio nazionalistico “prima gli italiani” affermando che i sindaci di sinistra cercano di riempire di finti profughi gli alberghi del Molise. Secondo stime ufficiali gli immigrati in regione sono circa 3.000 a fronte di 117 comuni, con una media di 25 migranti a comune. Il segretario della Lega, sicuro di divenire premier, ha inoltre dichiarato di essere in grado di impegnarsi per avere “meno sbarchi e più espulsioni”. Successivamente Salvini ha ripercorso le tappe che lo hanno portato nelle maggiori piazze meridionali (Bari, Lecce, Matera, etc) incoerentemente con le linee programmatiche degli anni scorsi quando etichettava i meridionali come “terroni”, “fannulloni” o addirittura “troppo distanti dalla impostazione culturale, dallo stile di vita e dalla mentalità del Nord”. Attaccando la sinistra, il leader del carroccio, ha poi rincarato la dose accusandola di non avere più argomenti di cui parlare, colmando questo vuoto attraverso manifestazioni antifasciste e antirazziste che poi, in alcuni casi, sfociano in atti di violenza. Su quest’ultimo aspetto dobbiamo però ricordare che ultimamente i medesimi metodi aggressivi sono stati usati da ex-candidati del suo stesso partito politico, vedi episodio Luca Traini. In seguito Salvini ha spostato l’attenzione sul tema della violenza tirando in ballo per l’ennesima volta i migranti, prendendoli come capro espiatorio del male della società e attaccando la cultura islamica secondo la quale “la donna vale meno dell’uomo”, sostenendo che una ragazza non è libera di vestirsi come vuole perché spaventata “da questi ragazzi di colore”. Possiamo confutare prendendo in esame i dati pubblicati dall’agenzia stampa Adnkronos secondo cui nel 2016 in Molise ci sarebbero stati 66 casi di stupro (0,4%). Infine possiamo valutare il linguaggio utilizzato, classificandolo come un “linguaggio ad effetto” poiché condito di terminologie populiste come “politica del buon senso”, classificando le consultazioni del 4 marzo non come vere e proprie elezioni ma come una scelta di vita, ammiccando spesso ai suoi elettori.
di Alice di Domenico e Domenico Pio Abiuso
Sangue a Macerata
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- Creato Mercoledì, 07 Febbraio 2018 18:52
- Ultima modifica il Mercoledì, 07 Febbraio 2018 18:53
- Pubblicato Mercoledì, 07 Febbraio 2018 18:52
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La città marchigiana sotto shock. Nella mattinata del 3 febbraio Luca Traini alla guida di una 147 ha sparato circa trenta colpi di pistola in una zona popolata da immigrati, ferendone sei. Residente a Tolentino, il 28enne con ideologie legate all'estrema destra, aveva raccolto anche una discreta esperienza nel campo politico, candidandosi per la Lega Nord al consiglio comunale di Corridonia nel maceratese non ricevendo alcun voto. Successivamente si era avvicinato a Casapound e Forza nuova. A causa però dei suoi atteggiamenti pericolosi, Traini era stato dichiarato borderline dallo psichiatra. Nonostante ciò non era sotto osservazione delle forze dell'ordine. I problemi psicologici di Traini hanno subito una forte scossa in seguito a gravi problemi familiari essendo stato abbandonato da piccolo dal padre e recentemente cacciato di casa dalla mamma. Per via di questo ultimo motivo viveva dalla nonna. La mancanza di una vera famiglia e di affetti aveva spinto Traini a rifugiarsi nelle ideologie fasciste, arrivando a commettere un gesto estremo dettato dall’odio razziale. Oltre però ai sei feriti, l'importanza che i media hanno attribuito all' accaduto continuerà ad avere ripercussioni ben più elevate a livello nazionale. L’atto terroristico è servito ad incutere timore tra i migranti e soprattutto a scuotere una tranquilla cittadina come Macerata.
di Antonio Falasca, Manuel Bacca, Pietro Salvatore, Francesco Russi e Simone Mastantuono.
Josef Mengele, il dottore della morte
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- Creato Lunedì, 29 Gennaio 2018 15:10
- Ultima modifica il Lunedì, 29 Gennaio 2018 15:31
- Pubblicato Lunedì, 29 Gennaio 2018 15:10
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Molti furono “I professionisti del male” che servirono la macchina della morte nazista, dall’architetto Albert Spear al professore di lettere Joseph Goebbels fino al medico Josef Mengele. "Il dottore della morte" nasce nel 1911 Günzburg. Nel 1934 entra nel braccio paramilitare del NSDAP, le SA. Nel 1940 parte volontario per il fronte orientale ma viene ferito e così congedato dalla prima linea, tre anni dopo approda ad Auschwitz con il grado di capitano delle SS. Nel campo di sterminio nazista viene soprannominato “l'angelo bianco” per l'atteggiamento e per il camice che indossava quando si apprestava a scegliere chi avrebbe dovuto essere oggetto delle sue ricerche, chi avrebbe lavorato, chi era destinato alla camera a gas e chi sarebbe servito come cavia per i suoi esperimenti. Mengele si rende così conto che è libero di fare ciò che vuole sulle sue cavie senza avere alcuna ripercussione, uccide chi non è adatto ai suoi esperimenti a colpi di pistola o con il fenolo. I suoi studi riguardarono essenzialmente il fondamento biologico dell'ambiente sociale, la trasmissione dei caratteri e i tipi razziali, e infine le persone con elementi di anormalità prediligendo come cavie i gemelli e usando su di essi sostanze chimiche, iniezioni e mutilandoli. Addirittura vi è anche la testimonianza in cui tentò di unire due gemelli Sinti per creare una sorta di gemello siamese artificiale. Poco prima della liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa, Mengele abbandona il campo con l’ordine verso i suoi sottoposti di uccidere con il gas i gemelli usati come cavie. L’ordine non fu mai eseguito a causa della penuria di gas.Nell'immediato dopoguerra cominciò la ricerca dei criminali di guerra nazisti e fra questi era ovviamente compreso anche Josef Mengele. Alla sua ricerca si dedicarono in particolar modo i servizi segreti israeliani Mossad, ma anche il governo statunitense e quello tedesco. Le modalità della fuga di Mengele furono simili a quelle di Adolf Eichmann: gli furono infatti forniti, con modalità non chiarite, dei documenti falsi da parte del comune italiano di Termeno, Tramin, in Alto Adige, che riportavano il nome di Helmut Gregor, nato nel comune stesso. Nel 1949 si imbarcò nel porto di Genova su una nave diretta in America meridionale, arrivando poi in Paraguay dove rimase diversi anni. Finché, allertato dall'avvocato di famiglia, fuggì prima a Buenos Aires, e poco tempo dopo, nel 1955, in Brasile, dove rimase per circa 25 anni fino alla morte. Durante questo lungo periodo Mengele visse dapprima con due sorelle ungheresi, poi con una famiglia del luogo, mantenendo inizialmente nascosta la propria identità. Se inizialmente adottò diversi nomi falsi, dopo alcuni anni decise di tornare a utilizzare il suo vero nome, convinto ormai di essere scampato alle ricerche. Tuttavia, a partire dalla cattura di Adolf Eichmann, avvenuta fra l'altro proprio in Sud America, Mengele cominciò ad allarmarsi. Ritornò quindi ad adottare una falsa identità e si spostò varie volte (fino a giungere in Brasile) cambiando diverse abitazioni. Nel periodo in cui visse in America Latina, lavorò come operaio nella stessa industria della famiglia Mengele, che anche in Sud America aveva degli stabilimenti. Morì nel 1979 colpito da un infarto mentre nuotava nell’oceano.
di Michelangelo Fanelli
Il bitcoin diventerà una moneta mondiale?
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- Creato Martedì, 23 Gennaio 2018 20:09
- Ultima modifica il Martedì, 23 Gennaio 2018 20:09
- Pubblicato Martedì, 23 Gennaio 2018 20:09
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Il primo anno di Donald Trump
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- Creato Martedì, 23 Gennaio 2018 19:39
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- Pubblicato Martedì, 23 Gennaio 2018 19:39
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A più di un anno dell’elezione di Donald Trump come presidente della repubblica statunitense, possiamo analizzare il suo periodo di “potere” come uno dei più movimentati della storia americana. Tra rivelazioni sconcertanti e avvenimenti che hanno riempito di parole le prime pagine di molte testate giornalistiche, ancora non riusciamo ad identificare la vera natura di questo presidente molto rivoluzionario: pazzo genio? Fatto sta che fino ad ora le rivelazioni da lui rilasciate sono state a dir poco sconcertanti: possibili attacchi nucleari e rivendicazioni agli attacchi terroristici in Medio Oriente, accompagnati da interviste capaci di mettere in pericolo la stabilità dei contatti internazionali con le altre superpotenze mondiali. In attesa di altri avvenimenti con un suo coinvolgimento possiamo raccogliere alcune sue frasi pronunciate in questo primo anno passato a Washington: “Blocchiamo l'accesso dei musulmani negli Stati Uniti finché i nostri rappresentanti non avranno capito che succede!”, “Non è curioso che la tragedia a Parigi abbia avuto luogo in uno dei Paesi con il più rigido controllo sul possesso di armi al mondo?”, “Dobbiamo trovare il modo di chiudere internet per arginare il terrorismo” , “L’ effetto serra è una balla inventata dalla Cina”, “A New York si gela e noi abbiamo bisogno del riscaldamento globale”. Come potremmo definire questo curioso soggetto capace di sconvolgere tutto il mondo intero ma che, in alcune ipotesi molto fantascientifiche, potrebbe nascondere dietro queste rivelazioni una superba intelligenza?
di Alex Di Ciocco, Marino D'Onofrio, Marco Andretta e Valerio Bianchini
Il 38° parallelo tra luci e ombre: disgelo definitivo?
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- Creato Mercoledì, 17 Gennaio 2018 20:21
- Ultima modifica il Mercoledì, 17 Gennaio 2018 20:23
- Pubblicato Mercoledì, 17 Gennaio 2018 20:21
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Le Olimpiadi invernali 2018 in Corea Del Sud sono ormai vicine. Nonostante la storica rivalità con la Corea Del Nord, in occasione dei 23esimi giochi olimpici invernali, potrebbero esserci segnali di distensione tra i due Stati in conflitto dagli ormai lontani anni '50. Il ministro dell'Unificazione del Sud Cho Myoung-gyon e il capodelegazione nordcoreano Ro Son Gwon, si sono incontrati nel villaggio smilitarizzato di Panmunjom. Questo incontro può essere non solo una possibilità per le due Coree di riunirsi pacificamente, ma è un'ottima chance per risolvere la questione nucleare nordcoreana. L'Inghilterra si è detta favorevole ai progressi fatti dai due Paesi. “È grandioso che vi siano stati colloqui” queste le parole del ministro degli Esteri inglese Boris Johnson. Poi aggiunge "È grandioso che vi sia una tregua olimpica”. “La Corea del Nord e Kim jong-un stanno continuando a portare avanti il loro programma illegale” la replica dell'Inghilterra che condanna i test nucleari eseguiti dai nordcoreani. Parole che fanno seguito a quelle di Papa Bergoglio “Ho davvero paura dello scoppio di una guerra nucleare, siamo al limite. Basta un incidente e la situazione rischia di precipitare”. Parole forti quelle del Pontefice che mirano a fermare il continuo battibecco tra il presidente Usa Trump e il dittatore nordcoreano. In ogni caso, è necessario ammettere che i due capi di Stato, attirano sempre di più le attenzioni dei media grazie alle loro dichiarazioni fuori dalle righe e poco diplomatiche, come il loro ruolo richiederebbe.
di Antonio Falasca, Manuel Bacca, Pietro Salvatore e Simone Mastantuono
Fake news, Salvini condanna il Parlamento Europeo
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- Creato Lunedì, 25 Dicembre 2017 10:53
- Ultima modifica il Lunedì, 25 Dicembre 2017 10:57
- Pubblicato Lunedì, 25 Dicembre 2017 10:53
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“Mi scuso col pubblico che sta seguendo qui questi deliri. Secondo me, non siete normali. Ci sono 20 milioni di disoccupati in Europa, c’è il terrorismo islamico, c’è un’immigrazione fuori controllo. E voi con cosa impegnate il Parlamento Europeo, peraltro deserto? Sul bavaglio a Facebook e sulle fake news. Voi dovreste essere curati da un medico bravo”. Queste sono state le parole pronunciate da Matteo Salvini alla riunione al Parlamento Europeo nel marzo 2017. Il leader leghista ha messo in dubbio la democrazia del Parlamento dichiarando: “State attenti che se applaudite vi buttano fuori…Io aspetto che il Parlamento si paghi la psico-polizia per indagare i psico-reati per quelli che non sono allineati al pensiero unico e alla moneta unica”. Salvini ha così continuato il suo intervento sempre in modo schietto e diretto sostenendo che per il Parlamento europeo ogni linea di pensiero contraria alle sue idee su immigrazione, adozioni gay, chiusura dei campi rom sta a significare razzismo, omofobia e islamofobia. “Il Parlamento Europeo non è stato in grado di controllare le menti degli Europei nelle urne. Ne sono esempio il referendum in Gran Bretagna e le elezioni in USA”. Infine ha chiuso il suo breve intervento sostenendo “Viva la rete e viva Facebook”. Matteo Salvini si dice sì “fortemente preoccupato dalle fake news”, ma non da quelle pubblicate su Facebook, bensì da “quelle che vendono giornali e tg sulle bugie del governo su tasse, immigrazione e falsa ripresa economica”. A completamento di tutto ciò una inchiesta giornalistica apparsa sul New York Times, basata sul fatto che la Russia di Vladimir Putin abbia compiuto “interferenze”, utilizzando soprattutto fake news veicolate via web, per favorire Lega e M5S così come nelle recenti campagne elettorali di Usa, Francia e Germania, oltre che nei due referendum sulla Brexit e sull’indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Secondo il Times “molti analisti considerano l’Italia come l’anello debole” della Ue. Il quotidiano americano informa anche che “rappresentanti di Facebook” avrebbero promesso al governo italiano di avere intenzione di “schierare una task force italiana di fact-chekers per affrontare il problema delle fake news prima delle elezioni”.
di Alberto Petruccelli e Luca Sarrapochiello
Isis e il rischio di attentati natalizi
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- Creato Venerdì, 22 Dicembre 2017 19:45
- Ultima modifica il Venerdì, 22 Dicembre 2017 19:46
- Pubblicato Venerdì, 22 Dicembre 2017 19:45
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“Soon at Christmas”. Inizia così l’avvertimento da parte dell’Isis dove si annuncia l’intenzione di attaccare nuove zone, tra cui anche l’Italia, o meglio il Vaticano. La minaccia, sotto forma di una semplice cartolina, è stata pubblicata sul sito online Site Intelligente Group, il quale ci offre una veduta a 360° di precedenti e futuri attentati terroristici. Potremmo iniziare con il parlare del terrore e del panico di quel fatidico 11 settembre 2001, quando persero la vita circa 3000 persone. Due aerei si schiantarono volontariamente contro le torri gemelle, facendo così crollare i due colossali grattacieli. L’attacco, rivendicato da Al Qaeda, rimarrà per sempre uno dei più atroci eventi che colpirono l’America e sconvolsero il mondo intero. Qualche anno dopo, esattamente il 7 gennaio 2015, il presunto Stato Islamico colpisce ancora spostandosi nella capitale parigina dell’amore. L’attentato avvenne alle sede di Charlie Hebdo, contro articoli di satira che avevano come protagonista principale Maometto. Il 13 novembre dello stesso anno Parigi fu luogo di altri attacchi, il principale fu proprio quello del teatro Bataclan. Si tratta di una sparatoria a sangue freddo contro persone che si stavano divertendo sulle note della allegra e movimentata musica della discoteca. Dai video pubblicati si percepisce la paura e l’atrocità dell’evento. Il 14 luglio dell’anno successivo, nella città francese di Nizza, persero la vita 86 persone a causa del tir volontariamente indirizzato sulla folla da uno dei jihadisti. Il 22 maggio dell’anno corrente, invece, l’Isis si è concentrato nell’attacco di teenager inglesi radunati a Manchester per il concerto della celebre cantante statunitense Ariana Grande. Ma come riescono gli jihadisti a reclutare nuovi aspiranti terroristi? Il principale metodo di reclutamento è sicuramente internet, con il quale lo Stato Islamico aggancia giovani per poi trasformarli in veri e propri angeli della morte. I principali social network utilizzati sono in particolar modo Instagram, Facebook, Twitter, Skype ed, infine, Whatsapp. Gli ultimi mezzi ad essere usati per il reclutamento sono i videogiochi, in particolare quelli trattanti la guerra come GTA e Call of Duty. La domanda sorge spontanea: riuscirà l’Isis a reclutare nuovi giovani per il presunto attacco che avrà luogo in Italia?
di Alessia Trotta, Camilla Calvano, Cettina di Cesare, Chiara Barone
Divinità o dittatore?
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- Creato Lunedì, 11 Dicembre 2017 14:41
- Ultima modifica il Lunedì, 11 Dicembre 2017 14:44
- Pubblicato Lunedì, 11 Dicembre 2017 14:41
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Nel secolo scorso, soprattutto nei paesi sottosviluppati, hanno preso potere personaggi folli e despotici, quasi tutti con gli stessi metodi, ad esempio attraverso il populismo. Un esempio che riportiamo è quello di François Duvalier anche detto “Papa Doc”, il quale capì che gli stregoni vudù avevano una grande influenza sulla popolazione poco istruita di Haiti. Di professione medico, Duvalier dopo essere stato in coma si presentò molto cambiato, con le sembianze di Baron Samedi, la divinità vudù, diffondendo il terrore tra i cittadini nei suoi confronti. Oltre al vudù, il suo potere si basava sulle scorribande dei «tonton macoutes», criminali assoldati dalla polizia politica per intimorire, torturare ed eliminare fisicamente gli avversari. Inoltre, per affermare la sua leadership fece stampare molti manifesti che lo ritraevano insieme a Gesù Cristo con quest'ultimo che dichiarava “Io l’ho scelto”. La sua insistenza nel riferirsi al culto vudù avrebbe in seguito provocato le ire del Vaticano, sino alla scomunica del futuro dittatore, malgrado il Cattolicesimo fosse formalmente rimasta la religione di Stato ad Haiti. Papa Doc violò la costituzione, che non consentiva di ricoprire la carica di presidente per più di due mandati. Kennedy, presidente degli Stati Uniti nel 1962, fu ostile alla sua politica sospendendo gli aiuti per Haiti. Nel 1963 il presidente americano fu assassinato e gli aiuti ripristinati. La morte di JFK non fece che alimentare il terrore tra la gente, dato che il dittatore di Haiti dichiarò di aver fatto un sortilegio vudù contro Kennedy, e che non era stata una coincidenza che l'assassinio fosse avvenuto il 22 novembre, poiché il 22 era il numero preferito di Duvalier, il giorno in cui era diventato per la prima volta Presidente. Papa Doc era ormai riuscito a convincere buona parte del suo popolo che chiunque ostacolasse i suoi voleri fosse destinato a morire. Infatti le sue vittime furono circa 30 000.
Gli spettri del neo-fascismo che aleggiano nell’arma
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- Creato Lunedì, 04 Dicembre 2017 14:55
- Ultima modifica il Lunedì, 04 Dicembre 2017 15:01
- Pubblicato Lunedì, 04 Dicembre 2017 14:55
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La drammatica notizia fa riferimento ad un video girato a Firenze davanti alla caserma Baldisserra in cui si intravede esplicitamente un simbolo neo-nazista in una camera al secondo piano dell’edificio occupata da un militare ventitreenne. Il carabiniere sostiene di non essere legato a formazioni neo-fasciste, ma di essere soltanto un appassionato di storia. A screditare questa affermazione accanto alla bandiera della Kaiserliche Marine, simbolo usato da molti gruppi neo-nazisti, è stata rinvenuta una immagine del leder della destra populista e xenofoba Matteo Salvini. La Benemerita si è detta disposta ad indagare sul fatto. Inoltre anche la ministra della Difesa Pinotti ha chiesto chiarimenti, mentre l’Anpi si è detta disgustata del fatto avvenuto proprio nella città di Firenze, medaglia d’oro alla resistenza e soprattutto in una caserma dell’Arma dei Carabinieri che tanto ha contribuito alla resistenza al nazifascismo. Il procuratore militare Marco De Paolis ha dichiarato di aver avviato un'indagine sulla vicenda della bandiera neonazista. “Probabilmente non è stato commesso nessun reato militare, ma c'è un problema disciplinare e un grande problema culturale” queste le sue parole. Bisognerebbe ricordare al giovane militare di questo fetido scandalo e ad altri membri dell’arma pervasi dalle stesse idee, la storia del brigadiere Salvo D’acquisto che sacrificò la sua vita per salvare 22 persone rastrellate per rappresaglia dai nazisti.
di Michelangelo Fanelli
“Come abbiamo fatto l’America”, la serie che racconta la storia dell’emigrazione in USA
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- Creato Mercoledì, 15 Novembre 2017 08:04
- Ultima modifica il Mercoledì, 15 Novembre 2017 08:04
- Pubblicato Mercoledì, 15 Novembre 2017 08:04
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La miniserie tv andata in onda su History Channel e tutt’ora disponibile sulla piattaforma on demand, racconta dei grandi contributi al progresso e alla creazione degli U.S.A dati dall’ emigrazione verso la nazione a stelle e strisce. La miniserie illustra tramite episodi commentati da esperti di vari settori e professionisti su come l ’emigrazione olandese abbia contribuito alla fondazione di New York, sul fatto che dieci dei soldati unionisti durante la Guerra di secessione abbiano avuto origine tedesca, su come gli scandinavi abbiano popolato il Midland dando inizio all’industria del legno americana, su come i cinesi abbiano contribuito alla costruzione del sistema ferroviario statunitense o su come gli italiani abbiano costruito la maggior parte degli edifici nella Grande Mela. La miniserie cita anche le cause di questo fenomeno usando esempi come i pogrom nell’ Est Europa che hanno costretto centinaia di migliaia di ebrei a trasferirsi negli U.S.A. o la carestia di patate, elemento chiave della dieta irlandese, che costrinse migliaia di persone a emigrare dall’isola. La serie adatta a tutti può darci un insegnamento su come la circolazione di individui e di conseguenza di idee abbiano costruito una nazione.
di Michelangelo Fanelli
American Guns, quando le armi comandano
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- Creato Lunedì, 06 Novembre 2017 15:16
- Ultima modifica il Mercoledì, 10 Gennaio 2018 18:47
- Pubblicato Lunedì, 06 Novembre 2017 15:16
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Thomas Sankara, Africa e Libertà
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- Creato Lunedì, 23 Ottobre 2017 14:20
- Ultima modifica il Lunedì, 23 Ottobre 2017 14:20
- Pubblicato Lunedì, 23 Ottobre 2017 14:20
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A trenta anni dalla sua morte ricordiamo uno dei più grandi rivoluzionari della storia del continente africano: Thomas Sankara. “Il fratello giusto”, così soprannominato dalla popolazione burkinabè, nacque nel 1949 e seguendo le orme del padre, divenne militare di carriera. In breve tempo all’interno della mente del giovane ufficiale iniziarono ad annidarsi idee socialiste. Il 4 agosto 1983, il trentacinquenne Capitano dell’esercito dell’Alto Volta, tentò un golpe e grazie al supporto popolare il giovane socialista si ritrovò al governo. Uno dei suoi primi provvedimenti da primo ministro fu quello di cambiare il nome della sua nazione da Alto Volta, che era un nome che sapeva ancora di colonialismo, in Burkina Faso (letteralmente “La patria degli uomini liberi”). Arrivato al governo Sankara trovò una patria dilaniata dalla povertà, dove il 98% della popolazione era analfabeta. Le sue riforme si concentrarono subito su questi aspetti. In poco tempo nazionalizzò le miniere fino ad allora in mano a multinazionali straniere, istituì presidi medici e scuole gratuite nei villaggi, piantò migliaia di alberi per far fronte alla desertificazione e diede dei tetti agli stipendi dei suoi collaboratori. Il popolo adorava questo giovane militare socialista che al contempo si fece tantissimi nemici tra cui l’elitè politica dei paesi che lo circondavano, spaventati da possibili ripercussioni e i leaders occidentali che avevano troppi interessi per permettere il benessere nel continente nero. Il 29 luglio del 1987 in un discorso agli altri leaders africani “Il Che d’Africa” invitò a non pagare il debito dei propri paesi verso l’Occidente, affinché quei soldi servissero a risanare le proprie economie attraverso riforme sociali. Un modo per non arricchire i loro ex carcerieri che ancora oggi attraverso gli interessi delle proprie multinazionali continuano a sfruttarli. Tre mesi dopo il suo discorso anti-imperialista il 15 ottobre del 1987 venne assassinato ed il potere passò al suo vice Blaise Compaorè, che governò con il bene placito dell’Occidente per 27 anni. Le riforme di Sankara vennero revocate ed il Burkina Faso ritornò a livelli di arretratezza, con un alto tassi di povertà e disuguaglianza sociale che ancora oggi lo contraddistinguono. Conoscere la storia di Sankara ci serve a capire le condizioni odierne del continente nero, il perché di tutta quella povertà, di tutti quei conflitti.
di Michelangelo Fanelli
Lo spettro che si aggira per l'Europa
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- Creato Lunedì, 09 Ottobre 2017 16:22
- Ultima modifica il Lunedì, 09 Ottobre 2017 16:23
- Pubblicato Lunedì, 09 Ottobre 2017 16:22
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Cito Marx, ma nulla c'entra con il suo celebre aforisma tratto dal saggio del filosofo “Il manifesto del partito comunista: “Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo”. Questo nuovo “spettro” totalmente avverso all’ideale marxista è quello della pericolosa destra populista Questa nuova “peste” che tenta di penetrare la democrazia europea nata proprio per combattere queste macabre idee che hanno portato il nostro continente ad una delle le sue più grandi catastrofi (la Seconda Guerra Mondiale) ha già mietuto le sue prime vittime. In Italia si va sempre più rafforzando con personaggi che difficilmente riesco a considerare miei connazionali. In Francia, il Front Nazional è arrivato perfino al ballottaggio. In Germania, la nazione che dovrebbe avere più paura di questo flagello, nelle elezioni del 24 settembre la destra populista e xenofoba è arrivata terza dopo C.D.U. ed S.P.D. due partiti storici nella democrazia tedesca. I metodi per influenzare le masse di questi pseudo politici sono sempre gli stessi. Per esempio far leva sui lievi problemi ed elevarli a cause del malessere dello stato, come l’immigrazione che viene demonizzata oppure il cercare di trarre consenso da una sorta di nuovo sottoproletariato che non ha i mezzi per difendersi dalle loro parole e che si lascia trasportare da questi pseudo ideali o dalla parte del popolo frustrata ed amareggiata. Credo che la storia politica abbia già vissuto un periodo simile e tutti sappiamo come è andato a finire.
di Michelangelo Fanelli
La Catalogna ad un bivio
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- Creato Sabato, 07 Ottobre 2017 08:08
- Ultima modifica il Sabato, 07 Ottobre 2017 08:10
- Pubblicato Sabato, 07 Ottobre 2017 08:08
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Negli ultimi giorni si è sentito molto parlare dei disordini avvenuti in Catalogna, provocati dalla volontà di quest’ultima di rendersi indipendente e non essere più assoggettata al governo di Madrid. Notizia che ha causato non poco scalpore tra la collettività Europea, soprattutto dopo la violenta reazione da parte della cosiddetta “Guardia Civil” ovvero la polizia spagnola che risponde direttamente al governo centrale. Ma a cosa è dovuta questa, apparentemente improvvisa, onda patriottica da parte dei cittadini catalani? Partendo dal principio, la Catalogna è una comunità spagnola che gode di una certa autonomia. Di conseguenza l’area possiede un proprio parlamento ed un proprio governo, con a capo il presidente. Nonostante, però, ci sia un’ampia autogestione, la comunità risponde ugualmente all’ordinamento giuridico nazionale ed alla corte costituzionale. Ciò che però rende davvero importante la regione è l’enorme quantità di ricchezza che viene prodotta al sui interno, infatti oltre un quinto del PIL spagnolo deriva dalla Catalogna, con un valore pari a circa 200 miliardi di euro ed oltre 600mila imprese attive, numeri paragonabili a quelli del solo Portogallo. Ma i dati positivi non sono finiti. Le esportazioni sono in aumento dal 2003 arrivando fino al 35% del prodotto interno lordo con il solo settore industriale che risulta presente per oltre il 21% della ricchezza totale, addirittura più della Spagna. Sono anche aumentati i posti di lavoro con costante diminuzione della disoccupazione giovanile. Insomma un vero e proprio modello economico che punta prevalentemente al settore dei trasporti, chimico ma anche farmaceutico. È osservabile però che anche il debito pubblico è cresciuto, seppur in misura proporzionale, per oltre tre volte la media europea. Ed è qui che gran parte del popolo si è accorto dell’autosufficienza della propria regione arrivando più volte a chiedere e manifestare per la sua indipendenza e facendo leva sulla motivazione secondo la quale potrebbero gestire e reinvestire autonomamente i ricavi provenienti dalle proprie imprese piuttosto che versarli al fisco spagnolo. A questo punto, dopo molte proposte arrivate dal governo catalano e respinte dal governo centrale, il 9 giugno 2017 una legge del parlamento regionale ha indetto un referendum di indipendenza di natura vincolante da svolgersi il primo ottobre dello stesso anno. Veloce e schietta è stata la risposta di Madrid che ha dichiarato subito anticostituzionale tale decisione, mettendo rapidamente al bando la proposta di referendum. Oltre il 42% del popolo catalano, però, non l’ha pensata allo stesso modo, decidendo lo stesso di votare andando di fatto contro gli ordini dello governo di riferimento. I risultati sono stati quelli a cui tutti hanno assistito; abuso di violenza da parte della polizia spagnola mandata direttamente da Madrid per ostacolare il voto, attraverso un uso eccessivo della forza in nome della legalità. Deludente è stato, invece, il silenzio dei vertici europei nei confronti di una così brutale reazione. Al di là dei disordini più volte condannati dall’opinione pubblica c’è da dire che molte società catalane adesso temono risvolti negativi sui proprio volumi d’affari se dovesse esserci l’effettiva secessione. Si, perché anche se il referendum è stato dichiarato illegale, il premier Catalano Puigdemont potrebbe indire una dichiarazione di indipendenza unilaterale. Il parlamento europeo prova a scoraggiare il governo regionale dichiarando che anche se ciò dovesse accadere, la Catalogna non sarà ugualmente riconosciuta come paese nello scenario internazionale. Questo però non importa alle grandi società quotate in borsa che vedono il reale pericolo di subire perdite legate ad un possibile scenario semi-indipendentista, di conseguenza grossi colossi bancari come Caixabank e Banco Sabadell, il cui valore complessivo di mercato supera i 35 miliardi, hanno chiesto di poter spostare la propria sede legale fuori dalla Catalogna. Questo ha causato un vero e proprio effetto domino, trascinando non solo il settore bancario ma anche quello industriale e dei servizi, difatti anche Abertis, società da 16 miliardi leader nei traporti, e Gas Natural, colosso dei servizi dal valore di 20 miliardi, hanno chiesto di poter trasferire formalmente la loro collocazione. Inoltre le agenzie di rating Moody’s e Fitch si preparano a tagliare il giudizio di solidità economica della Catalogna se il premier dovesse formalizzare l’indipendenza. Ciò causerebbe un sostanziale paradosso perché le ragioni per cui il popolo ha chiesto l’indipendenza non sarebbero più valide in quanto, se le società sopracitate dovessero realmente attuare una fuga di capitali, la Catalogna non potrebbe più vantare utili e risultati finora dimostrati nei confronti della Spagna.
di Gabriele Calabrese
Omaggio alla Catalogna
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- Creato Lunedì, 02 Ottobre 2017 14:11
- Ultima modifica il Martedì, 03 Ottobre 2017 09:39
- Pubblicato Lunedì, 02 Ottobre 2017 14:11
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E' opportuno citare Orwell per riportare ciò che è successo ieri nella storica regione ribelle. La Catalogna non si è mai sentita legata all’unità nazionale spagnola durante la sua storia e la sua emancipazione è stata sia repressa che autorizzata. Ad esempio durante il franchismo la Catalogna non ha potuto nemmeno usare la propria lingua, punita a causa della sua posizione nella coalizione repubblicana durante la guerra civile. Il popolo catalano ieri, 1 ottobre 2017, si è espresso favorevolmente alla sua indipendenza con grande affluenza e partecipazione nonostante la repressione del governo centrale spagnolo. I catalani sono riusciti ad esprimere il loro diritto di voto resistendo alle provocazioni della Guardia Civil, culminate con il ferimento durante gli scontri di oltre 844 persone. Le misure adottate dal popolo per esercitare i propri diritti sono state coraggiose, piene di ideali e sogni: da coloro che hanno resistito con barricate alle cariche della polizia ordinate dal governo spagnolo a chi è andato a votare con un foglietto fatto in casa aspettando ore in fila a causa dei disagi causati dalla Guardia Civil che ha sequestrato numerose schede e seggi. La domanda ora è che cosa succederà se il governo spagnolo non darà il consenso alla sua provincia più ricca di separarsi? Speriamo soltanto che lo spettro di una guerra non aleggi sopra la Spagna.
di Michelangelo Fanelli
Fuoco a Las Vegas durante un festival country
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- Creato Lunedì, 02 Ottobre 2017 13:46
- Ultima modifica il Mercoledì, 10 Gennaio 2018 18:51
- Pubblicato Lunedì, 02 Ottobre 2017 13:46
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Una nuova leva obbligatoria
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- Creato Lunedì, 15 Maggio 2017 14:33
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- Pubblicato Lunedì, 15 Maggio 2017 14:33
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La novantesima radunata nazionale degli Alpini tenutasi a Treviso ha fatto da scena al dibattito sulle funzionalità di nuovi servizi di leva civili obbligatori. Una leva obbligatoria nel servizio civile, ma che in futuro potrebbe “essere allargata alle forze armate”. È questa la proposta, dai contorni ancora poco chiari, che arriva dal ministro della Difesa Roberta Pinotti. Impossibile riproporre in Italia la naja, il vecchio servizio militare obbligatorio, archiviata il primo gennaio 2005, ma lo stesso ministro della Difesa Roberta Pinotti, presente alla manifestazione dell'Associazione Nazionale Alpini, ha sottolineato che “la riproposizione di una qualche forma di leva civile declinata in termini di utilizzo dei giovani in ambiti di sicurezza sociale non è un dibattito obsoleto”. Infatti l’argomento è stato toccato da molti candidati in Europa, compreso Macron. Il discorso è stato subito ripreso dal generale Claudio Graziano, per il quale il progetto “potrà essere molto utile” sia come “momento di formazione a servizi come la Protezione Civile” sia come “possibilità in futuro di allargare alle forze armate in caso di bisogno”. Forse però la Pinotti ignora che i giovani prestano già servizio civile gratuito attraverso i vari stage, tirocini, master, specializzazioni negli ospedali, e quant’altro. È davvero il caso di reintrodurre la leva obbligatoria andando ad appesantire una situazione già molto difficile per i giovani nel nostro Paese? “Non ho parlato di leva obbligatoria, ma di un progetto degli Alpini per coinvolgere i giovani al servizio civile universale”, ha poi chiarito successivamente con un tweet la ministra sostenendo di essere stata fraintesa. L’ipotesi di un ritorno a qualche forma di leva obbligatoria è un tema attuale e che vede coinvolti diversi paesi europei come la Francia o la Svezia. In Italia il dibattito continua a suon di cinguettii e di sfuriate politiche come quelle di Salvini spesso utilizzate come mero strumento di propaganda.
di Daniele Leonardi
Musica e guerra
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- Creato Lunedì, 15 Maggio 2017 14:00
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- Pubblicato Lunedì, 15 Maggio 2017 14:00
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“Se volete conoscere un popolo, dovete ascoltare la sua musica”, così diceva il filosofo greco Platone per indicare il fatto che si può ricostruire la storia politico-militare di un popolo attraverso i suoi canti, la musica, infatti, ha la capacità di unire intere popolazioni sotto un unico stendardo e di contribuire alla formazione di una identità nazionale. Per questo motivo essa è sempre stata fondamentale nelle operazioni militari per spronare i soldati e indurli a aderire totalmente alle cause di un conflitto. Si pensi, ad esempio, alle innumerevoli canzoni e inni nati durante la guerra civile americana, ai canti partigiani o ancora al fatto che durante la seconda guerra i soldati tedeschi dovessero ascoltare la cavalcata delle valchirie per affrontare con impeto il nemico per bombardare una città con adrenalina. Oggi, invece, cosa ascoltano i soldati impegnati sui vari fronti aperti nel mondo? E la musica deve ancora incitare o deve piuttosto aiutare i militari ad evadere dalle brutture della guerra? Purtroppo la musica è ancora il magico strumento grazie al quale un uomo viene spronato a fare carneficine di altri uomini. I testi che prediligono i soldati di oggi sono, infatti, violenti. Si predilige la musica metal, particolarmente aggressiva o il rap di Eminem, energico e veloce.
di Cristiana Basilone
Yemen, una guerra dimenticata
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- Creato Lunedì, 03 Aprile 2017 14:25
- Ultima modifica il Lunedì, 03 Aprile 2017 14:25
- Pubblicato Lunedì, 03 Aprile 2017 14:25
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La vita oggi in Yemen è impossibile: acqua corrente ed elettricità scarseggiano, il cibo non si trova. È lungo l’elenco dell’orrore in Yemen: l’82 per cento degli yemeniti ha bisogno di assistenza umanitaria per poter sopravvivere. Oltre 1.000 bambini uccisi nei raid e oltre 740 morti nei combattimenti. Dopo due anni di sanguinosa guerra, lo Yemen sta morendo, non solo di bombardamenti, ma anche di fame. Anche prima della guerra, il 90% degli alimenti di base era importato. Da allora, i sauditi hanno bombardato ogni impianto di produzione alimentare. Non c'è più alcun modo di importare cibo a Sana’a ed in altre aree assediate. Secondo le strutture Onu sul Paese incombe “un grave rischio di carestia”: quasi 7,3 milioni di yemeniti avrebbero bisogno di un urgente aiuto alimentare e oltre 430.000 bambini soffrono di malnutrizione grave. Di fronte a questa situazione ormai insostenibile Amnesty International, Oxfam, Movimento dei Focolari, Fondazione Banca Etica, Opal Brescia, Rete Italiana per il Disarmo hanno deciso di scrivere al Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Angelino Alfano per sollecitare un ruolo positivo dell'Italia nella guerra che non si limiti solo a lenti quanto inutili passi diplomatici. Occorre porre fine immediatamente al trasferimento di sistemi militari e munizionamento verso la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, per prevenire ogni rischio di commettere o facilitare serie violazioni del diritto umanitario e dei diritti umani in Yemen. Sette giorni fa si è svolta una protesta a Sana’a, capitale dello Yemen, fatta da circa 1 milione di persone contro la guerra che Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti stanno conducendo contro di loro da due anni. New York Times e Washington Post non hanno riportato la cosa (tanto meno i giornali e le TV italiane). Gli Stati Uniti forniscono pianificazione, intelligence, spazio aereo e munizioni ai bombardamenti sauditi. Senza il sostegno americano questa guerra non ci sarebbe affatto. Il principale supporto fornito dagli Stati Uniti all’Arabia Saudita riguarda il materiale militare e le attività di intelligence. Tra il 2011 e il 2015 l’Arabia Saudita è stata il maggior acquirente di armi statunitensi. Questo mercato copre circa il 9,7% delle esportazioni di Washington. Il coinvolgimento degli Usa in Yemen è stato incentivato anche dalla volontà di continuare la guerra al terrore: sul territorio dello Yemen, infatti, sono presenti sia Al-Qaeda che l’Isis.
di Daniele Leonardi
L'ultimo muro ad Est
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- Creato Lunedì, 03 Aprile 2017 14:02
- Ultima modifica il Lunedì, 03 Aprile 2017 14:03
- Pubblicato Lunedì, 03 Aprile 2017 14:02
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La Nord Corea o Repubblica Popolare e Democratica di Corea è l’unico paese al mondo ad essere governato da una sorta di monarchia di stampo totalitario e comunista. Il paese dove vige l’ideologia Juge si è chiuso ancor più in se stesso dopo il crollo dei regimi del patto di Varsavia. Il paese fondato dopo la fine della seconda guerra mondiale da Kim Il Sung, negli anni 50 vive una guerra con il gemello occidentale il Sud-Corea conclusasi con le risoluzioni del 38 parallelo. Da allora la sua popolazione vive in uno “stato-carcere”. Le comunicazioni con il mondo sono bandite, è severamente vietato lasciare lo Stato, buona parte della popolazione presenta gravi condizioni di malnutrizione,vige una legge denominata “Punizione delle Tre generazioni” in cui si è condannati anche per i reati commessi da un proprio avo. Al vertice di questo macabro Stato vi è Kim Jong-Un salito al potere nel 2011, figlio del precedente dittatore Kim-Jong Il e nipote del fondatore dello stato Kim-Il Sung. L’accessibilità alla nazione è quasi impossibile. Per gli occidentali innanzitutto è necessario un visto da parte dell’ambasciata nord coreana. Il In seguito dopo essersi imbarcati per la Cina all’aereoporto di Pechino, prima della partenza per Pyongyang, si viene privati del passaporto che sarà poi riconsegnato soltanto al ritorno. Arrivati nel paese, i turisti sono scortati da una guida che parla la loro lingua. E’ vietato lasciare la guida ed il gruppo, le fotografie vengono controllate da funzionari del regime e se necessario cancellate.
di Michelangelo Fanelli
Caso Regeni, la forza dei genitori
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- Creato Lunedì, 03 Aprile 2017 14:17
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- Pubblicato Lunedì, 03 Aprile 2017 14:17
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Quattordici mesi dopo l’assassinio di Giulio Regeni, Paola Deffendi, madre del giovane ricercatore, insieme a suo marito Claudio Regeni non si perdono d’animo. Ad oggi mancano degli elementi importanti come i video di vigilanza della metropolitana del Cairo della sera del 25 Gennaio 2016 e le copie del fascicolo processuale dell'indagine egiziana sulla morte di Giulio, che, il 6 dicembre scorso, il procuratore Sadek, durante un incontro con i Regeni, si era impegnato a consegnare a stretto giro. Nonostante tutto i genitori non si abbattono e a testa alta cercano di andare fino in fondo per scoprire la verità. Nel frattempo però hanno avanzato due richieste in particolare. “Non solo chiediamo che il nostro ambasciatore non torni al Cairo ma ci auspichiamo che altri Paesi, europei e non solo, facciano lo stesso”; inoltre lanciano un appello al Papa affinché si ricordi di Giulio quando il prossimo 28 aprile farà un viaggio in Egitto. “Noi siamo sicuri, proprio perché l’abbiamo incontrato, dichiara la madre -riferendosi al Papa- che non potrà in questo viaggio non ricordarsi di Giulio”. Anche l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dice la sua riferendo che “l'impegno deve continuare in tutte le forme possibili, giovandosi dell'esemplare rigorosa e sobria sollecitazione e collaborazione dei familiari di Giulio che accrescono così l'autorità morale di ogni ricerca e iniziativa di parte italiana".
di Alice Di Domenico
Le nuove guerre ambientali
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- Creato Lunedì, 13 Marzo 2017 14:06
- Ultima modifica il Lunedì, 13 Marzo 2017 14:06
- Pubblicato Lunedì, 13 Marzo 2017 14:06
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Da oltre 70 anni, da quel famoso 2 settembre 1945, la parola guerra mondiale non sembra più caratterizzare i nostri giorni, o meglio, non fa più parte del nostro immaginario collettivo. Tuttavia questa teoria resta solo una nostra percezione, dal momento che ad essere terminati non sono i conflitti, ma solo le antiche strategie belliche. Non scendere più in trincea con l’elmetto non significa vivere in un’epoca di pace. Alla base dei recenti conflitti vi è la lotta per le risorse: Il petrolio alimenta le ricchezze di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait e Qatar. Più in generale il petrolio, e la rincorsa alle risorse limitate, sono il male dei nostri giorni. Il fenomeno delle guerre ambientali insieme alla tecnologia militare si arricchisce in diversi frangenti del cosiddetto “denial of information”, ossia la negazione delle informazioni o la mancata condivisione. «Negare l’informazione è un atto di guerra fondamentale» denuncia il generale Fabio Mini. Un esempio pratico è il devastante terremoto e maremoto di Sumatra del 2004, nel quale persero la vita oltre 100.000 persone. Si parla di uno dei più catastrofici disastri naturali dell’epoca moderna, ma possiamo davvero parlare di disastro naturale? Restano molti dubbi sul mancato avvertimento dell'imminente arrivo dell'onda mortale, soprattutto in India e Sri Lanka, dove ha provocato 55.000 morti. Se le popolazioni costiere fossero state avvertite in tempo sarebbe bastato uno spostamento di cinquecento metri verso l'interno per non cadere vittime dello tsunami, dal momento che l'onda ha impiegato circa tre ore ad attraversare il Golfo del Bengala prima di infrangersi violentemente contro le coste indiane e singalesi. Oggi parliamo di guerre ambientali, ma quali sono le nuove strategie adoperate nei nuovi conflitti? Innanzitutto l’intenzionale modifica all’ambiente, il possesso dell’ambiente, del meteo, il condizionamento dell’economia e dei cicli politici. Quella che caratterizza i giorni nostri è una guerra asimmetrica, preventiva, che si combatte nei mercati finanziari. Non siamo più nel Novecento, ed oggi “Europa” non significa più 5 potenze mondiali, ma l’Europa è una e sola, e la pace che contraddistingue da 70 anni l’Europa non è da sottovalutare, ma non bisogna credere di vivere in un’isola felice, perché viviamo nel tempo della guerra, anche se non la stiamo combattendo direttamente in casa nostra.
di Daniele Leonardi