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Temi globali

Il business dei malware

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Le finalità dei malware sono molteplici ma, certamente, una delle più comuni è quella di rubare informazioni. Ogni dato sottratto alla vittima è una possibile fonte di guadagno. Da una ricerca “Symantec 2013” (Symantec 2011), azienda leader nella produzione di software destinato a salvaguardare la sicurezza dei computer da attacchi informatici, risulta evidente come l’economia nascosta dietro il furto di dati per- sonali possa portare a guadagni notevoli. Ma qual è realmente la portata del fenomeno? Quanto guadagno c’è dietro un malware? Uno studio effettuato presso l’Università di Mannheim, Germania in collaborazione con Vienna University of Technology, Austria (Thorsten Holz 2008) ha analizzato il mercato legato ai malware “Limbo“ e “Zeus“, tra ottobre e aprile 2008, i numeri sono incredibili, non solo per il guadagno ma anche e soprattutto per l’impressionante numero di dati personali rubati da queste due applicazioni malevoli. In soli 6 mesi, questi malware, hanno permesso un guadagno tra i 700.000 e i 6.000.000 di dollari. E’ evidente come il mercato dei malware sia una realtà allettante per molte persone, un’economia sommersa che vale: 105 miliardi di dollari, (Schipka 2007) con decine di migliaia di partecipanti. I numeri sono davvero notevoli, le 5 società più ricche al mondo (Meoni 2013), in termini di utili, non riescono a tenere il ritmo. Neanche la “Exxon-Mobil“, principale compagnia petrolifera al mondo, con i suoi 44,88 miliardi di dollari, riesce a colmare questa distanza. Ma se questo è comprensibile, sorprende constatare come la “malware economy“ si inserisca di forza nel mercato di quei crimini mondiali cosiddetti “tradizionali”.. Solo il traffico di droga riesce a fruttare, coi i suoi 320 miliardi di dollari, un “utile“ maggiore. Il codice malevolo si colloca al secondo posto staccando notevolmente il traffico di persone e la “contraffazione“. La Malware Economy S.p.a. sembra non conoscere crisi: i criminali utilizzano tecniche del mercato libero per costruire e strutturare un business corrotto. Questa economia sommersa presenta le stesse peculiarità di un’economia tradizionale: divisione del lavoro, concorrenza, marketing e così via, il tutto accelerato dalle crescenti potenzialità e risorse offerte dalla rete. Ciò che sorprende è il livello di specializzazione di questo mercato, paragonabile a un centro commerciale con molteplici negozi, ognuno dedicato a una tipologia di prodotto, che competono tra di loro offrendo il miglior prezzo e il miglior servizio possibile. Proviamo, ora, a vedere come si sviluppa il mercato di un cyber-crime. Il primo passo viene compiuto dai “malware Writers“ che sviluppano virus, spyware e trojan per infettare sistemi informatici. Gli sviluppatori di malware, tuttavia, non vendono direttamente i loro prodotti, lì immettono sul mercato e li offrono per “scopi educativi“ o di ricerca, garantendosi in questo modo una sorta di immunità da procedimenti giudiziari. La presenza di nuovi virus (o lo studio di nuovi virus) attira l’attenzione di una seconda figura: i “Malware Distributor“, che fungono da intermediari. Essi setacciano il mercato alla ricerca di nuovi codici malevoli: per 250$ riescono ad acquistare malware personalizzati secondo le proprie esigenze e  aggiungendo 25$ al mese possono garantirsi anche un’assistenza costante, in modo da poter usufruire di continui aggiornamenti che permetteranno al malware di sfuggire ai rilevamenti di antivirus. Questi intermediari, che acquistano i malware da programmatori, si affidano a dei “Botnet Owner“, “gestori di botnet“, per diffonderli nella rete. Una botnet (S. Ippolito Carlo 2010) è una rete di computer infettati che vengono controllati da remoto da un altro computer. Questi “sistemi vittima“ sono normalmente poco protetti e appartengono, quasi sempre, a persone ignare di quello che sta accadendo, che diventano strumenti in mano a criminali informatici. Queste botnet sono utilizzate da professio- nisti dello spam per inviare massicci quantitativi di posta elettronica attraverso l’installa- zione di software nascosto che trasforma tali computer in server di posta ad insaputa dell’utilizzatore. Una volta che il malware è diffuso il “Malware Distributor“ può comodamente aspettare le informazione e le identità digitali rubate. Una volta ottenuti i dati il criminale può iniziare a venderli. “Un’identità“ viene venduta per circa 5$, essa comprende il nome completo della vittima, i dati del passaporto, carta di identità o patente di guida, numeri di carta di credito e coordinate bancarie. Il servizio messo a disposizione dai questi “cyber-ladri“ identificati come “Identity collector“ è molto raffinato, essi possono offrire le identità digitali rubate in base a diversi criteri: nazione di provenienza, posizione lavorativa, credito presente sulle carte di credito, etc. Vi sono anche categorie di intermediari specializzati: “Credit card User“. Essi trasformano le identità rubate direttamente in contanti, comprano informazioni come numeri di carte di credito rubate e le utilizzano tramite un “drop service“ (servizio a goccia). Questa struttura si occupa di acquistare beni di consumo e di rivenderli tramite siti realizzati ad hoc o direttamente a dei drop. Un “drop“ è una persona che riceve beni acquistati tramite carte di credito rubate, normalmente sono anche loro criminali o semplici creduloni allettati da facili guadagni. Questo servizio è tanto efficace quanto semplice. L’intermediario acquista dei beni tramite le carte di credito rubate, normalmente telecamere, cellulari, computer, su siti on-line e li invia ai “drop“, che a sua volta li rivende, subito on-line. Questo meccanismo è un po’ come lavare le carte di credito rubate. In sistema tanto articolato e capillare non poteva mancare un “Guarantee Service“, questo servizio di garanzia, interposto tra le diverse figure criminali, offre una forma di assicurazione. Un fornitore di “drop service“, ad esempio, può utilizzare questa struttura per garantire al “credit card“ user un pagamento anche se gli acquirenti di prodotti risulteranno insolventi. Un “Guarantee Service“ fornisce, soprattutto, un servizio di deposito a garanzia, funge da intermediario tra venditore e acquirente, tutto passa attraverso di lui: merce venduta e pagamento. Se tutto rispetta gli accordi presi, il pagamento viene sbloccato e i prodotti inoltrati al destinatario. Normalmente un “Guarantee Service”, per questa tipologia di servizio, trattiene il 2-3% del valore della transazione. Questa tipologia di servizi mette in evidenza come questo mercato si stia raffinando e sviluppando, diventando una realtà preoccupante. Un altro segno della crescente “economia“ legata ai malware è il continuo miglioramento della qualità del “codice malevolo“. Gli autori di malware lavorano sodo per testare i loro prodotti contro i software anti-virus. Offrono garanzie che un determinato virus o trojan non verrà rilevato tramite l’antivirus corrente. Se i produttori aggiornano il loro software, l’autore del malware fornirà una nuova versione capace di eludere le nuove tecniche di rilevamento. I programmi anti-virus convenzionali si basano su Firme per rilevare i malware. Una firma è simile ad un frammento di DNA che identifica il virus e lo separa dai dati reali. Come un nuovo malware viene alla luce, fornitori di anti-virus aggiornano la loro lista di “firme“ e i malware writers rispondono creando un nuovo virus.

di Vincenzo Lena

 

La polarizzazione etnica in Iraq e l’avanzata delle forze dell’ISIL

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La creazione del governo iracheno potrebbe essere l’unica soluzione all’avanzata delle forze estremiste dell’ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) nel nord del paese. Da parte americana e di altri paesi esteri, tra cui il Regno Unito, si chiede a Maliki di fare un governo di emergenza che preveda una maggiore autorità per i sunniti e per i curdi, ma Maliki, il cui blocco ha vinto le elezioni dello scorso aprile, ha pubblicamente dichiarato che questo sarebbe un attentato alla costituzione e si è impegnato a formare un nuovo governo entro il 1 luglio. La responsabilità della classe politica irachena nell’insorgenza di questa nuova crisi e, in primis, del governo in carica, è grande: essi hanno fallito nel raggiungere una formula costituzionale adatta a superare i contrasti riguardanti la distribuzione dei poteri e delle risorse, il federalismo e le relazioni stato-regioni oltre che il sentimento dominante di alienamento da parte dei sunniti e le relazioni tra gli organi del potere esecutivo e legislativo. Dopo la caduta di Saddam Hussein la minoranza sunnita del paese è stata messa in disparte dal governo e questo ha portato alla nascita ed al progressivo intensificarsi di una serie di proteste contro quella che viene definita una persecuzione settaria. Da parte sunnita, le proteste si sono intensificate già dalla fine del 2012 in seguito all’arresto per ragioni politiche di 10 guardie del corpo del ministro delle finanze iracheno Rafia al-Issawi, preminente personaggio politico sunnita di Anbar. Qualche mese prima il vice presidente Tariq al-Hashemi era stato costretto a fuggire in Turchia per scampare ad una condanna a morte per l’accusa di aver avuto un ruolo in una serie di 150 attentati ed attacchi avvenuti fra il 2005 ed il 2011. Durante il 2013 la protesta dei sunniti è stata intensa, contro ingiustizia, marginalizzazione, politicizzazione del sistema giudiziario e mancanza di rispetto della costituzione e, soprattutto, contro il primo ministro al-Maliki accusato di creare fratture settarie tra sunniti e sciiti e di essere al soldo dell’Iran. Di questa protesta si sono avvantaggiati il gruppo terroristico affiliato ad Al Qaida, chiamato “Stato Islamico Iracheno” (ISI), le Brigate Rivoluzionarie del 1929 e l’Esercito Naqshbandi, i quali hanno operato perché il diffondersi e l’intensificarsi del dissenso sunnita si trasformasse in insorgenza. Come risultato nel 2013 circa 10.000 persone, soprattutto civili, erano stati uccisi in tutto il paese. Nel 2007, gli americani avevano capito che solo l’alleanza con i sunniti avrebbe permesso loro di avviare il paese verso la stabilizzazione, ma la lezione è stata dimenticata dal governo iracheno. Più di 1000 persone sono già state uccise ed altre 1000 ferite da quando ISIL ha iniziato, due settimane fa, la sua avanzata sul suolo iracheno. Molte sono state le esecuzioni sommarie di soldati dell’Esercito iracheno e delle forze di polizia, ma altrettante sono le vittime civili. Inoltre ci sono già migliaia di famiglie che stanno lasciando il nord del paese per sfuggire all’avanzata estremista. Oggi le notizie riportano di centinaia di abitanti sciiti e turkmeni dei villaggi vicino a Mosul, che è stata presa dai militanti di ISIL all’inizio di giugno, stanno cercando di entrare nelle aree controllate dai curdi. Dal punto di vista militare gli Stati Uniti, che per ora hanno escluso un intervento di terra, hanno cominciato ad inviare i primi di 300 consiglieri che dovranno supportare l’esercito iracheno sia in fase di raccolta dell’intelligence e valutazione dell’insorgenza sia nella creazione di un centro operativo. Essi dovranno valutare la coesione delle forze di sicurezza irachene, stimare la minaccia e fare raccomandazioni su come ottimizzare la risposta. Ci si aspetta che i risultati di questa attività possano arrivare attraverso la catena di comando entro due o tre settimane. Alcune missioni di ricognizione aerea statunitensi stanno sorvolando ogni giorno le aree più critiche e stanno fornendo informazioni all’esercito iracheno. Da queste rivelazioni è chiaro che i combattenti di ISIL continuano a solidificare le loro posizioni man mano che avanzano, che non hanno alcun problema nell’attraversare il confine tra Siria ed Iraq e che continuano a premere verso il centro ed il sud dell’Iraq costituendo un pericolo reale per Baghdad. E’ notizia recente che i militanti di ISIS abbiano catturato la più grande raffineria irachena a Beji, a nord di Tikrit. Un portavoce di ISIS ha dichiarato ieri, 29 giugno, ad Al Jazira che è stato creato una califfato (obiettivo strategico di ISIS) che va da Aleppo in Siria fino alla provincia di Diyala in Iraq e che il capo di ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi, è il nuovo califfo ed il leader di tutti i musulmani nel mondo. Intanto, nel perseguirle il suo obiettivo, ISIS sta probabilmente facendo convergere gli obiettivi strategici, prima divergenti, del regime di Bashar al Assad, dell’Iran, degli Stati Uniti e dell’Iraq in una cooperazione contro una minaccia alla sicurezza regionale, anche se il rifiuto degli USA di avviare fin da subito iniziative militari sta lasciando spazio agli aiuti militari di altri paesi, come la Russia, che ha consegnato all’Iraq 10 jet da combattimento Sukhoi (Su-25). D’altra parte, l’avanzata jihadista sta dando una nuova direzione anche ai rapporti tra Kurdistan ed Iraq. All’avanzare dei combattenti verso Kirkuk, città petrolifera da tempo contesa dal Kurdistan all’Iraq, i Peshmerga curdi sono entrati nella città e ne hanno assunto il controllo per difenderla: per il Primo Ministro del Governo Regionale del Kurdistan Barzani, quella offerta da ISIS è un’occasione speciale per dimostrare la propria capacità di difendere gli interesse delle aree rivendicate dal paese e per utilizzare la capacità militare dei Peshmerga come una leva per ottenere dal Governo Iracheno indipendenza nella vendita del gas prodotto dalle regione. E’ ancora presto per capire cosa succederà ma questo è il momento della ponderazione. Un intervento militare dell’Iran rischierebbe di esacerbare la crisi perché sarebbe visto come un’occupazione persiana/sciita in un territorio arabo sunnita; un intervento di terra degli USA è stato escluso da Obama e, comunque, anche un intervento aereo mirato o l’uso di forze speciali non avrebbero alcuna utilità senza un ruolo effettivo dell’esercito e della polizia iracheni e senza un governo capace di fare le riforme necessarie. Da più parti si comincia a riparlare di federalismo e di tre regioni come unica soluzione per tenere insieme lo stato Iracheno.

 

di Elisabetta Trenta

 

 

Il risultato delle elezioni provinciali in Iraq: crescente polarizzazione intorno alle linee settarie

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Il 20 giugno si sono svolte le elezioni provinciali nei governatorati di Ninewa ed Anbar dove, per motivi di sicurezza, non era stato possibile svolgerle il 20 aprile, quando si è votato in 12 delle 18 Province irachene. A questo punto mancano solo le province del Kurdistan, Erbil, Sulahimaniya e Duhok, dove si voterà a settembre, e quella di Kirkuk dove è impossibile votare dal 2005 a causa della complicata geografia etnica. I risultati della prima tornata elettorale, confermati a fine maggio dall'Independent High Electoral Commission (IHEC), hanno rivelato un cambiamento dei rapporti di potere nel paese e l’emergere di una forte area di opposizione per la coalizione sciita guidata dal Primo Ministro Nuri Al-Maliki. La State of Law Alliance infatti ha perso molte posizioni a favore degli altri due principali partiti sciiti, l' Islamic Supreme Council of Iraq(ISCI) di Ammar al-Hakim e il partito Sadrista di Muqtad al-Sadr.

Questo risultato è frutto dell'ampia area di dissenso nei confronti del governo attuale il quale, non solo raccoglie le proteste dei sunniti, che si sentono marginalizzati e perseguitati, ma è sgradito anche alle altre componenti sciite a causa della politica di eccessivo monopolizzazione del potere da parte di al-Maliki.

Una delle cause della violenza infinita in Iraq va ricercata nella centralizzazione del potere a livello governativo. E’ stato un errore dell’Iraq dopo Saddam quello di identificare vincitori e vinti e  dare tutto il potere ai vincitori. Questo gli americani lo sapevano ed, infatti, nella costituzione irachena è presente il principio del federalismo. Ciò nonostante dal 2008 al-Maliki ha ri-centralizzato il potere, affidandosi ad una cerchia sempre più stretta di consiglieri sciiti che, temendo una “controrivoluzione”, hanno di fatto messo in piedi un sistema autoritario come quello che avevano combattuto. La cerchia di al-Maliki ha potere sulla selezione di tutti i comandanti militari, controlla la corte federale e si è impadronito della banca centrale. Il braccio esecutivo sta togliendo tutti i controlli che furono messi per garantire che non riemergesse una nuova dittatura.

Le richieste più insistenti fatte dalle opposizioni anti-Maliki dei curdi e dei sunniti sono molto chiare; L’opposizione chiede:

  • la delega dell'autorità fiscale al Kurdistan Regional Government (KRG) e alle province;
  • l’implementazione di un sistema di controlli sul potere esecutivo, in particolare potenziando le funzioni del parlamento e istituendo una giustizia indipendente;
  • un processo di riconciliazione nazionale, che dia giustizia alle vittime del regime di Saddam, ma che netta fine alle violenze indiscriminate contro i sunniti.

E’ per queste ragioni che Nuri al Maliki, pur avendo ottenuto il maggior numero di seggi, soprattutto a Baghdad e Bassora,  ne ha perso circa un terzo rispetto alle elezioni provinciali del 2009. ISCI invece, che non essendo stato al potere negli ultimi anni ha raccolto il malcontento della popolazione e lo ha utilizzato in campagna elettorale, ha riconquistato alcune posizioni mentre Sadr è tornato primo partito a Maysan anche se in generale non ha fatto molti progressi. In Najaf la vincitrice è stata una lista locale, come già nel 2009, mentre a Diyala la lista sciita unita è stata la vincitrice ottenendo 12 seggi. L'esito del voto nei governatorati è indicativo di una crescente polarizzazione delle posizioni su base settaria ed infatti i partiti secolari, come la lista Iraqiyya di Allawi, hanno ottenuto risultati deludenti.

Per quanto riguarda i partiti d’ispirazione sunnita, la lista Mutahiddun, formata da una costola di Al-Iraqiyah e guidata da Osama al-Nujayfi, ha conseguito un ottimo risultato a livello nazionale, a dimostrazione che le linee settarie si stanno definendo e che l’influenza dei moderati diminuisce. La lista, composta di molti partiti che facevano parte di Al Iraqiya nel 2010, ha dei legami con il movimento di protesta, è supportata dall’elite religiosa sunnita e dai media sunniti sia Iracheni sia pan arabi.

Dato il ritardo del voto in Anbar e Ninewa, Salah al-Din e Diyala erano le province dove si concentrava il voto sunnita. In Salah al-Din una lista sunnita locale, l’Iraqiyya Masses Alliance, guidata dal governatore provinciale Ahmed Al-Juburi, ha vinto guadagnando sette seggi su ventinove, nonostante il suo leader sia considerato vicino a Nouri al Maliki. Il partito, che non aveva partecipato alle votazioni precedenti e che ha ottenuto la maggioranza relativa rispetto alle coalizioni sciite e sunnite, è stato seguito dal Mutahidun.

Probabilmente sia a Baghdad sia a Salah al-Din la posizione anti Maliki del Mutahidun gli ha permesso di vincere sette seggi rispetto a Arab Iraqiyya di Saleh al-Mutlag che invece ne ha persi. Al-Mutlag infatti aveva lavorato più vicino ad al Maliki rispetto agli altri politici iracheni sunniti e, forse a questo è dovuta la sua performance in Baghdad. In Diyala e Babilonia, al-Mutlag ha formato delle coalizioni con al-Nujaifi. Insieme hanno vinto un seggio nuovo in Babilonia e dieci in Diyala. Come già accennato, a Diyala entrambi i due partiti sunniti hanno perso rispetto alla coalizione sciita congiunta. Diyala è stata la vera novità di queste elezioni. Infatti, se nel 2009 Mutahidun, Arab Iraqiyya, e la coalizione Curda  avevano ottenuto ventuno seggi su ventinove, nel 2013 le forze congiunte della maggiore coalizione sciita hanno guadagnato una maggioranza relativa di dodici seggi contro solo tre seggi andati nel 2009 alla sola SLA.  

Di seguito, il risultato finale delle elezioni del 20 aprile. I numeri tra parentesi sono il numero di seggi che il partito aveva ottenuto nelle elezioni del 2009.

 

Fonte tabella: http://www.iraq-businessnews.com/tag/elections/page/2/ 

 

In queste settimane si stanno definendo i governi locali. Quasi tutti sono frutto di alleanze tra le varie formazioni e non in tutte le province è stata seguita la stessa logica. Maliki ha mantenuto il controllo nei luoghi sacri di Karbala e Najaf, anche se a Najaf un’alleanza Sadr/ISCI avrebbe avuto i voti per guidare il governo. Mentre a Muthanna, dove Maliki avrebbe potuto governanre da solo, si è alleato con ISCI ed ha tenuto per sè la posizione del governatore mentre un consigliee di ISCI è diventato presidente del Consiglio.

A Diyala invece è stato fatto un accordo per cui i Curdi e la lista locale Iraqiyya hanno formato il governo con l’appoggio di Sadr, ma non degli altri sciiti della lista sciita unita (soprattutto consiglieri di SLA inclusi membri di BADR e Fadhila).

Al Maliki ha consolidato la sua  posizione nei governatorati di Dhi Qar, Babele e Salahaddin. D’altra parte ha perso Baghdad e Bassora e questo mette un punto interrogativo su quali saranno le alleanze in vista delle prossime elezioni nazionali del 2014.

La tabella sottostante riassume la dinamica delle alleanze.

 

 Fonte tabella: http://www.iraq-businessnews.com/tag/elections/

 

Si attendono ora i risultati ufficiali del voto in Ninewa ed Anbar, aree nelle quali le proteste dei sunniti contro il governo di al-Maliki sono state più forti anche per via dell’influenza della vicina Siria.  In Anbar hanno votato il 49.7 % degli aventi diritto mentre a Ninewa soltanto il 37.5%. Questa disaffezione per il voto è un fattore indicativo della frustrazione dei sunniti e del loro ritiro dal processo politico ed apre ancor più le porte  all’opposizione armata.

I risultati del voto indicheranno chi saranno i protagonisti futuri della politica sunnita inoltre dalla performance dei partiti sunniti alleati di al-Maliki potranno essere colte informazioni per capire quale sarà la strategia del primo ministro per le prossime elezioni.

 

di Elisabetta Trenta

 

 

La guerra vista da Ennio Remondino

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“La guerra viene raccontata dal vincitore. Ed è in atto una digitalizzazione delle comunicazioni” così ha dichiarato l’ex corrispondente Rai Ennio Remondino durante la lectio magistralis tenuta all’Università del Molise lo scorso 29 ottobre. Fino a qualche decennio fa la televisione era un prodotto costoso, e solo in pochi potevano farla, oggi è alla portata di tutti o quasi. La guerra da sempre è una scelta politica, si combatte per conquistare i migliori territori fino a raggiungere l’odierna guerra "umanitaria". La bugia è un obbligo istituzionale, è fatta per ingannare l'avversario. Da sempre non c'è mai stata una sconfitta, ma una ritirata strategica, come ad esempio "la rotta di Caporetto". La guerra di Troia è stata combattuta per il possesso dello stretto dei Dardanelli, e narrata da un "contaballe", Omero, che non era contemporaneo ai fatti accaduti. Il De bello gallico è il racconto del primo genocidio di cui si ha notizia, ed è stato scritto dal protagonista, Cesare, senza l'intervento di Vercingetorige. Nella guerra di Crimea la Regina Vittoria doveva impedire allo Zar di sconfiggere il traballante Impero Ottomano e affacciarsi sul Mediterraneo. La guerra costa tasse, ed ha bisogno di convincimento, di imbonimento. Nella prima guerra mondiale si è combattuto con armamenti consolidati, e la narrazione dei fatti era data via telegrafo, con i tempi del telegramma. La seconda guerra mondiale è stata decisa e vinta nei cieli, e lo strumento di comunicazione era la radio, col quale si può sapere chi ha vinto la battaglia. La censura militare era strumento di salvaguardia. Nel 1945 è arrivata la bomba atomica che ha cambiato tutto il modo di confliggere. Gli Usa l'hanno usata per sperimentarla e non per accelerare la fine della guerra. E dopo la bomba atomica è arrivata la televisione. La guerra del Vietnam era nata per essere vinta, ma è stata persa per ragioni comunicative. La famosa immagine della bambina vietnamita che scappa dai bombardamenti costringe gli USA ad arrendersi. Per vincere anche nella comunicazione si possono comprare i giornalisti, si può disporre di satelliti e di reti televisive. Oggi non esiste più l'effetto "paperino": una volta il collegamento TV passava per numerosi satelliti, per cui il reporter doveva attendere in onda che arrivassero le domande, oggi invece c'è il collegamento diretto; e dai mass-media si passa alla massa dei media. E le potenzialità dell'inganno sono infinite e banali. La strage di Rakak, in Jugoslavia è stata presentata come una strage di civili, in realtà erano combattenti uccisi in due giorni di scontri, e radunati in seguito; il colpo alla fronte venne inflitto post mortem. E' il meccanismo della guerra che impone l'inganno. Oggi si usano anche gli antropologi culturali, che sanno come comportarsi con un sunnita, uno sciita, un reporter; tra i giornalisti e gli scrittori ci sono molte spie, ed è in uso la guerra delle ragazze. Oggi si usa la diretta permanente, per cui il risultato può essere quello della liberazione di Bassora, una città occupata e liberata "cento volte", con ripetute smentite che evidenziano le bugie raccontate. Si creano le condizioni per impedire l'esercizio della professione del giornalista. Le guerre in televisione nascono orfane e muoiono senza figli: dopo la guerra non se ne parla più, per non far scoprire le vere ragioni che l'hanno determinata. Oggi più nessuno parla della Siria, ed in questo la Libia ci ha spiegato un sacco di cose. La scena dell'abbattimento della statua di Saddam, in Iraq, è stata realizzata con un campo stretto, intorno c'era ben poca gente, ma nell'immagine diffusa pare che vi fosse una gran folla. Per penetrare il bunker di Milosevic, in Jugoslavia, sicuramente sono state usate testate all'uranio impoverito, con una grande quantità, forse qualche etto in ogni missile, ma questo non è stato rivelato.

 

di Antonio Frate

 

 

Immigrazione e guerra

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Il fenomeno migratorio è in forte aumento e lo dimostra il rapporto curato dall’Alto commissario delle Nazioni Unite. Nel 2012 la Germania ha accolto quasi 600 mila immigrati, la Francia circa 218 mila e la nostra Italia che ha ospitato 65 mila profughi. A provocare le migrazioni è soprattutto l’incubo della guerra, infatti il 50% degli immigrati, provengono da Afghanistan, Somalia e Iraq. E’ da segnalare che solo il 10% arriva in Italia in modo irregolare. L’ultimo caso risale al 19 Giugno scorso, quando 100 africani, nel tentativo di raggiungere l’Italia, sono rimasti aggrappati in mare a una gabbia per tonni. Su 100 purtroppo 7 sono morti annegati. “Il viaggio della speranza” lo definiscono in molti, perché esiste una linea sottile che divide la speranza dalla disperazione. Speranza di avere una vita migliore in Paesi che hanno bisogno, anche del loro aiuto e, disperazione di evadere da quel contesto “limitato” e scarno di possibilità di crescita. “La tragedia può abbattersi su migliaia di famiglie, costringendoli ad abbandonare la propria casa e il proprio paese” - queste le parole del Presidente Giorgio Napolitano, in occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, il quale ha voluto sottolineare il rispetto e la dignità umana dell’immigrato e che la Comunità Internazionale ha il dovere di impegnarsi affinché i diritti fondamentali della persona siano tutelati. Gli fa eco il ministro dell’Interno Angelino Alfano il quale ribadisce che “E’ opportuno intervenire al più presto su regolamenti inerenti al fenomeno e porre fine a queste nuove forme di schiavismo.”

 

di Christian Giovanni Zaami