Storia militare
Leopolodo Montini, dalla giovinezza alla prima guerra mondiale
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- Creato Giovedì, 13 Gennaio 2022 15:24
- Ultima modifica il Giovedì, 07 Luglio 2022 14:05
- Pubblicato Giovedì, 13 Gennaio 2022 17:24
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Nell’immane tragedia che rappresenta sempre e comunque una guerra, ci sono degli uomini che si distinguono per valore, eroismo, altruismo e spirito di sacrificio, donando il più delle volte, il bene più prezioso, la vita.
E’ questo il caso del Sottotenente Leopoldo Montini, che da una nostra certosina ricerca risulta essere l’Ufficiale italiano più giovane ad essere stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Nato a Campodipietra (Campobasso) il 22 febbraio del 1894, da Antonio e da Elvira Panichelli, il giovane Leopoldo dimostra sin da subito, negli studi ginnasiali e liceali (fino alla 2a ginnasiale sotto la direzione paterna; la 3a e la 4a ginnasiale presso il Convitto Nazionale “Mario Pagano” di Campobasso; la 5a ginnasiale e le successive classi liceali presso il Liceo “Pietro Giannone” di Benevento), di adempiere ai propri doveri con abnegazione e onore, ottenendo la Licenza Liceale senza esami, con dispensa dalle tasse e con Menzione Onorevole.
Attratto per la vita delle armi, il 16 dicembre 1912 si arruola come Volontario Allievo Ufficiale ascritto alla 1° Categoria classe 1892, nel 15° Reggimento Fanteria della Brigata “Savona”, con sede nella città di Caserta, dove viene promosso Caporale in data 31 marzo 1913.
Promosso Sergente nel 40° Reggimento Fanteria “Bologna”, con sede a Napoli, in data 31 luglio 1913, viene nominato Sottotenente di Complemento, Arma di Fanteria, in data 15 marzo 1914.
In data 19 Febbraio 1914 è assegnato al 14° Reggimento Fanteria “Pinerolo”, con sede nella città di Foggia, per il prescritto Servizio di Prima Nomina.
Sebbene ancora ventenne, ottenne delicati incarichi che portò a compimento con energia ed efficacia, da far subito rilevare le sue qualità di gentiluomo e di soldato, sia durante i moti dell’estate del 1914 nelle zone di Cagnano Varano, Lucera, S. Severo e Cerignola, dove seppe portare calma e ordine, senza fare mai uso delle armi, sia all’indomani del disastroso terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915, dove sotto la neve e fra disagi di ogni specie, svolse la sua opera coscienziosa e pietosa a sostegno della martoriata popolazione locale, meritandosi l’affetto dei abitanti e la stima dei Superiori.
Sostenuti brillantemente gli esami per la promozione a Sottotenente in Servizio Permanente, presso la Scuola di Applicazione di Fanteria di Parma, il 16 maggio 1915 ottenne il trasferimento nel ruolo degli Ufficiali in servizio effettivo.
Nel frattempo nel resto d’Europa divampava la Prima Guerra Mondiale, l’immane tragedia era al suo primo anno di lutti.
Transitato nel ruolo degli Ufficiali in servizio effettivo il Sottotenente Leopoldo Montini (matricola n. 29612), alla dichiarazione di guerra fu assegnato prima al 13° Reggimento Fanteria della Brigata “Pinerolo”, poi all’8a Compagnia del II° Battaglione del 14° Reggimento Fanteria della stessa brigata, schierato lungo la riva sinistra del fiume Tagliamento, pronto a varcare il confine per dare inizio ai combattimenti.
La Brigata fu impegnata duramente fin dai primi giorni di guerra contro lo sbarramento difensivo austriaco attivo sulle alture di Selz, dove l’eroe molisano, più volte volontario nel condurre squadre di arditi con il compito di far saltare con tubi di gelatina i reticolati nemici, ebbe occasione di distinguersi in un fatto d’arme, in cui, preso tra due fuochi, seppe disimpegnare il suo plotone, acquistando la fama di specialista invulnerabile e ottenendo il 4 luglio 1915, un encomio solenne e una proposta di Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Le notizie del suo ardimento, che mai furono oggetto di vanto da parte del giovane Montini, ma solo questione di mero dovere, come è possibile notare dalle due missive inviate al padre, che preoccupato ne chiedeva riscontro:
«8 luglio 1915
CARISSIMO PAPA’
per ora tutto bene; state sempre senza preoccupazione alcuna e state sicuro che cercherò sempre di fare nel miglior modo il mio dovere nella speranza che voi possiate essere un giorno di me orgoglioso».
«11 luglio 1915
CARISSIMO PAPA’
dovrei scrivere più a lungo e dirvi qualche cosa di quello che faccio e di quello che vedo; ma è opera superiore alle mie forze. Vi basti sapere che credo di fare nel miglior modo il mio dovere. Potrei raccontare qualche mia operazione; ma l’apprenderete in seguito».
Nel mese di luglio i combattimenti divennero sempre più aspri e cruenti e alla 14a Divisione venne dato l’ordine di attaccare da sud il Monte Sei Busi, e occupare i trinceramenti di Vermiglio e di Selz iniziava così, il giorno 18 luglio 1915, la seconda battaglia dell’Isonzo.
Al 14° Reggimento Fanteria “Pinerolo” venne affidata la conquista di quota 118 del versante sud di Monte Sei Busi, massicciamente difesa dal fuoco di sbarramento delle mitragliatrici austriache, che arrestò ferocemente l’avanzata dei fanti italiani.
Il 18 luglio 1915, dopo sei giorni di azioni temerarie, ancora una volta e ancora volontariamente, il Sottotenente Leopoldo Montini, dimostrando un rifulgente senso del dovere, alla testa di una squadra di arditi, si proiettò sotto le postazioni nemiche nel tentativo di creare un varco nei reticolati spinati, ma colpito dal fuoco delle mitraglie cadde ferito a morte nel compimento dell’eroica prova.
Alla giovane età di ventuno anni e dopo soli cinquantasei giorni di guerra, il Sottotenente Leopoldo Montini, sacrificherà la vita per l’Unità e la Libertà dell’Italia.
di Antonio Salvatore
Intervista al cameriere di Hitler
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- Creato Lunedì, 10 Gennaio 2022 16:53
- Ultima modifica il Lunedì, 10 Gennaio 2022 16:53
- Pubblicato Lunedì, 10 Gennaio 2022 16:53
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Addossata alle falde di una imponente cresta rocciosa sorge Villa Santa Maria, un piccolo paese in provincia di Chieti meglio conosciuto come la Patria dei Cuochi per via della rinomata scuola alberghiera. Ma tra tanti cuochi c'è anche un cameriere ottuagenario che ha lavorato in piena seconda guerra mondiale in Germania al famoso Nido delle Aquile prima e poi a Norimberga, servendo a tavola l'uomo più discusso del Novecento ovvero Adolf Hitler. Da anni il signor Salvatore Paolini, nato il 26 luglio del 1924, rilascia interviste a testate giornalistiche di tutto il mondo. Ormai è stanco ma ho voluto concedere un'ultima intervista al sottoscritto anche perché voleva per la prima volta parlare della sua straordinaria esperienza con un giovane.
Il pomeriggio autunnale è riscaldato da un tiepido sole. La fitta vegetazione, l'aria pura e le diverse legnaie rimandano alle descrizioni di paesaggi bucolici. La villa del signor Paolini è poco distante dal centro del paese. Alle 16 in punto come da appuntamento un anziano signore dal volto aggrottato e in abiti formali mi attende dinanzi al cancello. Dopo le dovute presentazioni mi fa entrare nella sua villa immersa nel verde facendomi notare i vari monumenti dedicati alla moglie e poi mi fa accomodare in salotto mostrandomi da subito un documento che attesta la sua onorificenza a Cavaliere della Repubblica. I suoi occhi all'inizio stanchi sembrano man mano ravvivarsi all'udire la mia voce giovanile. Difficilmente riesce a rispettare i tempi e i modi dell'intervista. Preferisce andare a ruota libera ed io non posso fare altro che assecondarlo.
-Signor Paolini come è arrivato ad essere il cameriere di Hitler?
Innanzitutto voglio precisare che io non ero il cuoco del fuhrer bensì il cameriere o meglio uno dei camerieri. Nella mia vita ho sempre lavorato. Da ragazzo dopo aver terminato le scuole elementari ho iniziato a lavorare in un albergo di Villa S.Maria (CH). Poi per ragioni economiche, in quanto volevo guadagnare di più, mi sono spostato a Roma dove ho prestato servizio dal Principe Colonna.
Qualche mese dopo sono andato a lavorare all'Hotel Diana di Roma frequentato di sovente da ufficiali tedeschi i quali mi hanno offerto un lavoro in Germania dove sicuramente il guadagno era elevato anche perché il marco era ben quotato. Così sono andato in Germania a fare il cameriere in un albergo o meglio un centro di cure termali a Bad Mergenthein. Lì ho conosciuto il direttore del Platterhof che mi ha chiesto se volevo andare a lavorare al famoso Nido delle Aquile.
E così sono andato anche se prima mi hanno rilasciato un certificato di appartenenza alla razza ariana. Dei carabinieri sono andati nel mio paese da mio padre a prendere informazioni sulla mia famiglia e soprattutto sui miei ascendenti nella speranza che non vi fosse alcun antenato ebreo.
Così dopo i dovuti accertamenti mi hanno consegnato l'ausweiss ovvero il lasciapassare e sono approdato a Obersalzberg vicino Berchtesgaden nelle alpi bavaresi. Io non sapevo chi avrei incontrato !
Quando ho iniziato a lavorare al Nido delle Aquile ero l'unico cameriere italiano. Servivamo sempre in piatti d'argento e soprattutto con i guanti. Ho servito Hitler diverse volte senza dimenticare che spesso venivano anche altri gerarchi come Goering, Himmler, Bormann, Kesserling, Rosenberg e tanti altri.
- Come ricorda il Fuhrer?
Io da sempre sono un grande ammiratore del popolo tedesco. Hitler per me almeno da un punto di vista privato posso dire che non era affatto arrogante ma piuttosto gentile nei modi ma anche nelle parole. Lui quando veniva già sapeva cosa avrebbe mangiato. Preferiva verdure verdi e patate. Non l'ho mai visto mangiare carne. Era un goloso di torte con la panna montata. Tutte le volte che mi avvicinavo per porgergli la pietanza non mi faceva mai mancare il danke (grazie) ed aveva sempre il sorriso sulle labbra non solo con i suoi commensali ma anche con me e gli altri camerieri. Non l'ho mai sentito alzare la voce. Non era crudele come spesso veniva presentato al di fuori del suo ambiente.
- Che rapporto ha avuto con gli altri colleghi di lavoro?
Mi volevano tutti bene perché quando eravamo insieme io non ho mai fatto commenti sulle questioni politiche ma solo lavorare. Ognuno stimava l'altro per il proprio lavoro.
- Quanto tempo è rimasto al Nido delle Aquile?
Esattamente dal 10 ottobre 1942 al 4/2/ 1943.
- In quei mesi ha assistito a qualche episodio particolare?
Solo una volta come ho avuto modo di dire già in altre interviste ho sentito Bormann che alludendo a Goering che non era più nelle grazie di Hitler, mentre quest'ultimo mangiava un piatto di prosciutto al forno con contorno di piselli ,esclamare: "ich wuBte nicht dass das Schwein sein eigenes Fleisch iBt" (tradotto significa: non sapevo che il maiale mangiasse la propria carne).
- Avrebbe immaginato di incontrare di nuovo Hitler a Norimberga?
Si, in quanto il direttore dell'albergo di Norimberga (Hotel Deutschr Hof Wohnung des Fuhrers) già sapeva che avevo lavorato al Nido delle Aquile. A Norimberga sono rimasto dal 43 fino al 25/4/1945. Lì avevo la mia stanza con il letto di piume e addirittura il telefono in camera. Quando nel 45 l'hotel venne bombardato, io mi ricordo che rimasi tre giorni consecutivi sotto il rifugio. Quando poi sono uscito fuori già non si capiva più nulla anche in Germania. Non sono potuto rientrare in Italia con tutto quel disordine. Allora non ho fatto altro che rifugiarmi in una tenuta tra la Germania e l'Olanda in quanto non potevo più rimanere a Norimberga perché ero in pericolo di vita. Non si poteva andar via quando si voleva, Così sono stato alle dipendenze della signora Krostmann, il cui marito era in servizio militare per cui conduceva lei da sola l'azienda che era molto grande. Ero addetto all'allevamento di vacche, cavalli ecc.. Mi sono dovuto adattare. Non sapevo come fare e dovevo aspettare tempi migliori per tornare in Italia.
- Quando è rientrato in Italia ?
Pochi mesi dopo mi sono recato in Francia a Nimes. Da qui è stato più facile rientrare in Italia. A Roma ho preso un corriera fino ad Agnone dove un contadino con un mulo mi ha accompagnato fino a Villa Santa Maria.
- Quando poi è rientrato in Italia cosa ha fatto? Che impressione ha avuto del nostro Paese?
C'era solo gran disordine. Lavoro non se ne trovava , bisognava arrangiarsi alla giornata. Quando poi le cose si sono stabilizzate sono ritornato in Germania accompagnato da mio nipote. Ho riportato il mio baule con i vestiti e tutto quello che avevo lasciato. Rientrato a Villa S. Maria dopo qualche mese ho trovato lavoro a Roma nei più grandi e lussuosi alberghi della capitale, ma non solo sono stato anche in Venezuela, a Venezia ecc.. ritrovandomi a servire ancora personaggi noti come Churchill, Primo Carnera, il Presidente Leone ecc…
- So che in seguito ha amministrato Villa Santa Maria per venti anni essendo stato rieletto sindaco per quattro volte. Cosa ha fatto in quegli anni?
Mi sono messo a lavorare per riportare su il mio paese. Ho costruito strade, la biblioteca comunale ma soprattutto ho fondato la scuola alberghiera vanto dei migliori Chef. Ho apportato la mentalità del popolo tedesco anche a Villa Santa Maria.
Con l'ordine e la disciplina ho amministrato al meglio questo paese. Tra le altre cose ho fatto costruire diverse abitazioni e una centrale elettrica. E poi tante altre opere a favore di questa gente.
- Alla fine è stato più difficile servire Hitler o amministrare questo paese?
Sono state due esperienze belle ma diverse. Comunque ho sempre agito rispettando un codice morale. Il cameriere per me dovrebbe essere ancora oggi maggiormente rispettato. Nella vita conta non soltanto mangiare ma anche chi ti serve a tavola!
Lettera di F. D'Ovidio al garibaldino Guerzoni
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- Creato Lunedì, 13 Dicembre 2021 13:57
- Ultima modifica il Lunedì, 13 Dicembre 2021 13:57
- Pubblicato Lunedì, 13 Dicembre 2021 13:57
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Tra le interessanti curiosità storico-letterarie di cui siamo venuti in possesso, vi è una lettera autografa firmata dall’illustre filologo, glottologo e letterato, Francesco D’Ovidio, indirizzata allo scrittore, storico e patriota garibaldino, Giuseppe Guerzoni.
Nato a Campobasso il 5 dicembre 1849, e fratello dello stimato scienziato, il matematico Enrico, Francesco D’Ovidio fu tra i più importanti studiosi italiani dei problemi di storia della cultura. Insegnante di latino e greco a Bologna nel 1873, al Liceo Parini di Milano nel 1974, nel 1876 passò all’insegnamento universitario, andando ad occupare la cattedra di Storia comparata delle lingue e delle letterature neolatine a Napoli , dove svolse tutta la sua carriera accademica.
Nominato senatore dal 1905, socio nazionale (1897) e presidente (1916-20) dell’Accademia dei Lincei.
Tra le sue pubblicazioni più notevoli, figurano importanti lavori sulle lingue romanze (Sull’origine dell’unica forma flessionale del nome italiano, 1872; Sulla più antica versificazione francese, 1920), sulle origini della letteratura italiana (Il Contrasto di Cielo d’Alcamo, 1910; Il Ritmo cassinese, 1912), su Dante (Sul trattato De vulgari eloquentia, 1873; Studii sulla Divina Commedia, 1901; Nuovi studii danteschi, 1906), sul Manzoni (Studii manzoniani e i Nuovi studii manzoniani, 1928), e saggi su molti altri problemi e figure della letteratura italiana (Studii sul Petrarca e sul Tasso, post., 1926).
Ebbe parte attiva, oltre che nella vita accademica, anche in quella intellettuale e politica dell’epoca, soprattutto attraverso la sua assidua collaborazione a quotidiani e riviste - tra l’altro, scrisse sulla "Perseveranza", sul "Corriere della Sera", sul "Giornale d’Italia" e sulla "Nuova Antologia".
Francesco D’Ovidio morirà a Napoli il 24 novembre del 1925.
Giuseppe Guerzoni (Mantova, 1835 – Montichiari, 1886), fu patriota, scrittore e soprattutto il maggiore biografo di Giuseppe Garibaldi, del quale fu anche segretario.
Laureato in Filosofia e saldo nei suoi ideali risorgimentali, nel 1849 partecipò alla difesa di Brescia, assediata dagli austriaci.
Volontario nel 1859 tra i Cacciatori delle Alpi, combatté a San Fermo della Battaglia, dove fu ferito e decorato al valore, nel corso della Seconda guerra di indipendenza italiana.
Arruolatore di volontari nel 1860 a Brescia, seguì Garibaldi nella Spedizione dei Mille; prese parte alla Battaglia di Milazzo, dove si distinse venendo promosso maggiore e decorato con una seconda medaglia al valore, combatté poi fino a Capua e alla Battaglia del Volturno.
Partecipò ancora alla campagna del 1866 durante la Terza guerra di indipendenza nello Stato Maggiore di Garibaldi, alla battaglia di Mentana del 1867 e alla campagna per la presa di Roma del 1870, al seguito della colonna Bixio.
Nel corso di questi anni fu destinatario anche di delicati incarichi diplomatici, tra i quali, quello di incaricato mazziniano a Bucarest nel 1863, nel tentativo di convincere i rivoluzionari romeni ad un’intesa con gli ungheresi e come segretario di Garibaldi durante la visita in Inghilterra nell’aprile del 1864.
Fu deputato dal 1865 al 1874, professore universitario dal 1876 al 1884 e scrittore; tra le sue opere figurano dei drammi, degli studi critici e delle biografie, tra le quali quella di Nino Bixio, e soprattutto una delle più importanti biografie di Garibaldi pubblicata in due volumi nel 1882.
Proprio a seguito di questa importantissima pubblicazione, l’intellettuale molisano, Francesco D’Ovidio, il 5 luglio 1882, indirizza al garibaldino Guerzoni, una patriottica missiva, volta a rivolgere le più vive congratulazioni per l’opera appena pubblicata sull’Eroe dei due Mondi:
«Napoli, Ventaglieri 74,
5 luglio 1882
"Il vostro 'Garibaldi' aspettato da me con impazienza e infine con dispetto, per la certezza che per esso avrei dovuto deporre per due giorni ogni altra faccenda, è subito venuto a piombare sul mio tavolino appena arrivato a Napoli. E come mi aspettavo, io mi ci sono sprofondato giorno e notte, sicché in men di due giorni l'ho letto tutto, e qua e là anche riletto. E finita la lettura, non so resistere alla tentazione di scrivervi (dopo tanto tempo!) per congratularmi con voi d'un così bello e vostro libro. Che dico, per congratularmi? Per ringraziarvi con tutto il cuore, e mandarvi un abbraccio con tutta l'anima. Voi avete trovata, o per dir meglio il vostro affetto oculato per Garibaldi ve l'ha fatta trovare, un'intonazione così giusta, così vera, così poetica e così critica insieme, così affettuosa e così libera, così patriottica. Avete scritto con l'entusiasmo del garibaldino, con l'acume assennato dello storico, con la severità rispettosa dell'amico indipendente, col garbo finissimo dell'artista. Molte parti del vostro libro m'han commosso fino alle lagrime. Io ero fanciullo il 1860; avevo dieci anni. Ma ho pianto e gridato e cantato anch'io in questa Napoli il 7 settembre, quando l'Eroe v'è entrato" ».
di Antonio Salvatore
Lettera inedita di Juno Borghese dal carcere di Regina Coeli
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- Creato Lunedì, 08 Novembre 2021 13:53
- Ultima modifica il Venerdì, 06 Maggio 2022 11:55
- Pubblicato Lunedì, 08 Novembre 2021 13:53
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Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese (Artena, 6 giugno1906–Cadice, 26 agosto 1974), conosciuto come Junio Valerio Borghese, fu uno dei combattenti italiani più arditi del secondo conflitto mondiale e tra le figure più controverse del secondo dopoguerra. Intrapresa la carriera militare come Ufficiale nella Regia Marina, partecipò a diverse imprese di sabotaggio ai danni dei britannici nel Mar Mediterraneo, tra le quali, la più nota è sicuramente “l’impresa di Alessandria”, come comandante del sommergibile Scirè.
L’operazione di sabotaggio, nome in codice “G.A. 3”, si svolse tra il 18 e il 19 dicembre del 1941 nel porto di Alessandria d’Egitto, quando dallo Scirè, posizionato nei pressi del porto, uscirono a cavallo di tre mezzi d’assalto subacquei (SLC 221, SLC 230, SLC 223), chiamati in gergo maiali, i sei uomini destinati all’azione: Tenente di Vascello Luigi Durand De la Penne, Capo Palombaro Emilio Bianchi, Capitano del Genio Navale Antonio Marceglia, Sottocapo Palombaro Spartaco Schergat, Capitano delle Armi Navali Vincenzo Martellotta, Capo Palombaro Mario Marino.
L’impresa, da tutti considerata impossibile, portò all’affondamento e al danneggiamento delle corazzate Queen Elizabeth e Valiant, del cacciatorpediniere Jervis e della petroliera Sagona, procurando così un colpo durissimo alla flotta britannica operativa nel Mediterraneo; a questo proposito, Churchill scrisse: «…sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo…».
Dopo l’8 settembre del 1943, Borghese aderì alla Repubblica Sociale Italiana, proseguendo la guerra al fianco delle truppe germaniche, svolgendo inoltre la funzione di Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Nazionale Repubblicana.
Arrestato dopo il 25 aprile 1945 e condannato a dodici anni di reclusione con l’accusa di “collaborazionismo”, fu liberato dopo tre anni di prigionia per effetto dell'amnistia “Togliatti”.
Dal 1951 al 1953 venne nominato Presidente Onorario del Movimento Sociale Italiano.
Tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale, si fece ideatore e animatore, in collaborazione con Avanguardia Nazionale, di un fallito colpo di Stato, passato alla storia come "golpe Borghese".
Nel corso della sua detenzione presso il Carcere Giudiziario romano di Regina Coeli, in risposta a una missiva ricevuta dalla mamma di un marinaio caduto e appartenete all’equipaggio del sommergibile Scrirè, il Borghese scrisse una lettera, ad oggi inedita, di cui si riporta la trascrizione:
«Regina Coeli - Roma
30 . XII . ’48
Mia gentile e valorosa Signora _ non so dirvi quanto mi abbia commosso la Vostra lettera, scritta sulla carta intestata del nostro indimenticabile e indimenticato “Scirè” _ e che mi ha portato, attraverso alla sacra parola di una Mamma, la voce dei miei Prodi ragazzi _ i quali giacciono, con le [---] in un punto non identificato, nel fondo del Mediterraneo Orientale; ma i cui spiriti sento vicini a me; sono Essi che mi hanno guidato nel scegliere la via dell’onore l’8 sett. ’43 _ e sono Essi che mi hanno tracciato la linea di condotta nella mia difesa processuale, ispirata non all’odio, ma solo all’amore costante verso la nostra Italia per la quale hanno dato tutto, e offerto serenamente la vita.
Non so se dai giornali avete potuto seguire il processo: malgrado la cattiveria e la bassezza dei nostri nemici, che sono i nemici della Patria, sono riuscito a fare, proprio nell’aula della Corte d’Assise, la più bella celebrazione delle imprese dello “Scirè” e del suo valoroso equipaggio _ e una esaltazione della Marina Italiana _ Questo era il mio dovere: la sentenza che daranno i giudici non ha importanza: ma tengo più di tutto al giudizio che, dall’Al di là daranno su di me Enzo ed i suoi camerati _ e, in questo mondo, Voi e con Voi le altre Mamme e Spose che per l’Italia hanno dato tutto. _ Né mi lamento della mia sorte, quando penso ai miei sommergibilisti che, offrendo la loro vita, hanno fatto per l’Italia tanto più di quello che posso aver fatto io _
Nel Vostro inconsolabile dolore vi dia qualche conforto, cara Signora, sapere che il Comandante del vostro Enzo Vi è sempre vicino con l’animo, e che Enzo non è morto invano, se è qui fra noi ad ispirarci e guidarci sulla via dell’onore e del bene _ Mi creda, sempre Vostro
Valerio Borghese »
di Antonio Salvatore
Da Pietro Micca all'arma del genio
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- Creato Lunedì, 11 Ottobre 2021 13:56
- Ultima modifica il Venerdì, 15 Aprile 2022 07:58
- Pubblicato Lunedì, 11 Ottobre 2021 13:56
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Tra le diverse Armi cha hanno costituito in passato e costituiscono oggi più che mai l’attuale Esercito Italiano, troviamo l’Arma del Genio.
La sua centenaria storia ha i suoi inizi con la compagnia minatori del regno Sabaudo che si distinse per l'episodio di Pietro Micca nell'assedio di Torino del 1706 da parte dei francesi.
Il Corpo Reale degli Ingegneri, nell'Armata Sabauda, è stato formato l'11 giugno 1775.
Il 9 dicembre 1798, a seguito dell'occupazione francese, il Corpo viene sciolto, con scioglimento dal giuramento di fedeltà al Re di Sardegna.
Nel 1814 ha inizio la ricostruzione del Corpo, completata nel maggio 1816 con la costituzione del Corpo Reale del Genio Militare e Civile; tale denominazione viene modificata nel 1823 in Corpo Reale del Genio.
Il 1º Reggimento del Genio fu costituito dal Re Carlo Alberto di Savoia nel 1848 e comprendeva due battaglioni con una compagnia minatori e quattro compagnie zappatori.
In occasione della spedizione in Crimea (1855-56) si aggiunsero alle compagnie zappatori un drappello di Pontieri; nella campagna del 1860-61 nelle Marche, nell'Umbria e nell'Italia Meridionale si distinse anche un reggimento Ferrovieri.
Con l'ordinamento dell'Esercito del 1861 alcune specialità del Genio facevano parte dell'Arma di artiglieria, ma presto se ne distaccarono in seguito all'aumento ed allo specificarsi delle loro attribuzioni.
Queste consistevano essenzialmente nel supportare le truppe combattenti eseguendo tutti i lavori necessari al buon andamento della campagna.
L'Arma del Genio nacque effettivamente solo il 24 gennaio 1861, e sarà articolata negli anni successivi da diverse specialità: artieri, guastatori, zappatori, ferrovieri, specialisti, minatori, pontieri, aerostieri, fotoelettricisti, fotografi, idrici, lanciafiamme, teleferisti, fototelegrafisti, radiotelegrafisti, guide fluviali, manovratori, idraulici, colombaie fisse e mobili.
Il 23 dicembre 1900, con Regio decreto legge, fu concessa all'Arma la Bandiera di guerra.
Tra le innumerevoli e gloriose battaglie a cui gli uomini del Genio sono stati chiamati a partecipare c’è anche quella combattuta a Cefalonia, nell’antico e stupendo mare della Grecia.
Inquadrati nella 33a Divisione Fanteria da montagna "Acqui" e sotto il Comando Genio Divisionale i genieri italiani erano presenti con la 31a Compagnia Genio Artieri, la 33a Compagnia Genio Telegrafisti e Radiotelegrafisti (T.R.T.), la 31a Sezione Genio Fotoelettricisti, la 158a Compagnia Genio Lavoratori e la 215a Compagnia Genio Lavoratori.
Ad oggi le fonti storiche presenti non ci permettono di tracciare una puntuale analisi circa le azioni operative dei reparti del Genio durante i giorni dei combattimenti, sappiamo però, che molti caddero in combattimento e molti altri furono purtroppo oggetto della “rappresaglia” tedesca, tra cui il Magg. Federico Filippini, Comandante del Genio Divisionale, fucilato il giorno 25 settembre presso la famigerata Casetta Rossa.
Con il distacco nel 1952 della componente "collegamenti" fino a divenire l'Arma delle Trasmissioni, e ridimensionata già con la ristrutturazione del 1975, attualmente l'Arma comprende: sette reggimenti guastatori, un reggimento pionieri, un battaglione guastatori paracadutisti, un battaglione guastatori alpini, un reggimento pontieri ed un reggimento ferrovieri. I reparti del Genio operano sia in territorio nazionale che in quello estero “teatri operativi” dove riscuotono puntualmente l’ammirazione e la stima sia delle popolazioni locali, che degli eserciti alleati.
di Antonio Salvatore