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Storia militare

Nazario Sauro e il Molise (seconda parte)

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Come ti sei ritrovato a vivere in un piccolo borgo molisano come San Giovanni in Galdo? 
A causa e del mio lavoro ho passato lungo tempo della mia vita in giro per il mondo, una volta in pensione e soprattutto grazie al matrimonio di mia figlia Alessandra con Luca Milano, figlio del Dott. Giuseppe Milano di San Giovanni in Galdo, ho scoperto questo tranquillo paesino molisano, dove, dal 2014 oramai vivo stabilmente.
Cosa ti raccontavano a casa delle gesta di tua nonno Nazario Sauro?
A dir la verità non se parlava spesso a casa, era soprattutto quando andavamo a Venezia da mia nonna Nina (Caterina Steffè) che mi raccontava di nonno Nazario:
«Caro Nina,
non posso che chiederti perdono per averti lasciato con i nostri cinque bimbi ancora col latte sulle labbra; e so quanto dovrai lottare e patire per portarli e lasciarli sulla buona strada, che li farà proseguire su quella di suo padre: ma non mi resta a dir altro, che io muoio contento di aver fatto soltanto il mio dovere d'italiano. Siate pur felici, che la mia felicità è soltanto quella che gli italiani hanno saputo e voluto fare il loro dovere. Cara consorte, insegna ai nostri figli che il loro padre fu prima italiano, poi padre e poi uomo. Nazario.»
Di contro, ricordo, anche con qualche insofferenza, quando da piccolo, unitamente a mio cugino, Enrico Toti, eravamo "costretti" dall'altra nonna, Emma Toti Lombardozzi, a partecipare con lei a tutte le feste e ricorrenze militari a cui era invitata a partecipare.
Insomma sei diventato esperto di cerimonie militari?
Come dicevo, da piccolo ho "dovuto" presenziare a tantisssime cerimonie, però da grande ce ne sono due che ricordo con particolare emozione, il varo a Monfalcone (GO) il 12 marzo  1967 del sottomarino Enrico Toti, di cui ho conservato il collo di bottiglia (capostipite della classe Toti, attualmente è esposto al Museo della scienza e della tecnologia di Milano) e il varo sempre a Monfalcone (GO) il 09 ottobre 1976 del sottomarino Nazario Sauro (capostipite della prima serie della classe Sauro, attualmente è una nave museo ormeggiato nel porto antico di Genova).
Quindi sei un marinaio mancato?
Diciamo che non sono molto portato ad indossare una divisa, l'unica che ho indossato è stata quella durante l'anno di leva come S. Ten di complemento nell'Aeronautica Militare.
Non ti nascondo che l'aver scelto di indossare una divisa di color blu e non bianca, ha fatto storcere la bocca a più di qualche persone in famiglia.
Il tuo cognome ti ha consentito di conoscere anche tante persone?
In effetti ho avuto modo di conoscere diverse persone importanti, tra cui Giulio Andreotti, Alcide De Gasperi e Rodolfo Graziani, di quest'ultimo mio padre ne fu Aiutante di Campo in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale, e in seguito ne curò tutta l'organizzazione difensiva durante il cosiddetto “Processo Graziani”.
Quale eredità morale ti ha trasmesso la consapevolezza di essere il nipote di Nazario Sauro?
Credo la più grande, lottare per la libertà. Ricordo ancora quando da ragazzino partecipai nel novembre del 1953 alle manifestazioni per Trieste Libera, che vennero duramente represse a suon di manganellate dalla Polizia civile alle dipendenze del Governo Militare Alleato, e poi ricordo con lucida memoria quando da studente universitario presso la Facoltà di Architettura di Roma, partecipai nel marzo del 1968 alla “battaglia” di Valle Giulia. Stavamo vivendo il famoso '68.
 
Il pomeriggio volge al termine, una stretta di mano e una promessa di risederci ancora allo stesso tavolino. 
A seguito di una piccola indagine da me condotta sulla toponomastica di San Giovanni in Galdo, ho constatato che non esiste nessuna strada/piazza o luogo pubblico dedicato all'Eroe italiano Nazario Sauro.
Alla luce di quanto appena appreso, sarebbe a dir poco interessante, nonché lungimirante, pensare ad una futura dedicazione.
 
di Antonio Salvatore
 

Nazario Sauro e il Molise (prima parte)

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Cosa lega la figura del famoso irredentista istriano al Molise? Quale arcana alchimia unisce il questa piccola regione a uno dei più importanti eroi della nostra storia?  La risposta è Nazario Sauro, nipote dell’eroe e residente attualmente a San Giovanni in Galdo (CB). Grazie all’intermediazione di Angela Simile, riesco ad incontrare un simpatico architetto romano in pensione, il suo nome, Nazario Sauro.  
Nazario Sauro nato a Roma il 28 febbario 1942, figlio di Italo il quartogenito dei cinque figli (Nino, Libero, Anita, Italo e Albania) della Medaglia d’oro al Valor Militare, Nazario:
 
«Caro Nino,
tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere d'italiano. Diedi a te, a Libero ad Anita a Italo ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l'ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa patria, giura o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l'età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani! I miei baci e la mia benedizione. Papà. Dà un bacio a mia mamma che è quella che più di tutti soffrirà per me, amate vostra madre! e porta il mio saluto a mio padre.»
(Nazario Sauro, Venezia, 20 maggio 1915 - Lettera testamento ai figli)
 
Durante la nostra conversazione vengo a sapere una notizia molto, molto interessante, ad oggi del tutto sconosciuta, all'interno del cimitero comunale di San Giovanni in Galdo è collocata la tomba della zia Albania, sulla cui lapide risalta l'epitaffio «Ultima figlia dell'Eroe Nazario Sauro»  Ma le sorprese non finiscono quì, in quanto mi racconta il nostro architetto che anche in linea materna vanta parentele a dir poco importanti, la mamma è la figlia della sorella dell'eroe Enrico Toti, e non aggiungiamo altro.
 
di Antonio Salvatore
 

Il cimitero militare di Venafro

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Costruito nel 1945 ad opera del Genio Militare Francese, nei pressi di Venafro (IS) si trova il cimitero di guerra francese. Esteso in un’area di 70.000 mq, ospita le sepolture di circa 7000 soldati francesi, marocchini, algerini e tunisini, oltre ad alcuni africani non meglio identificati, caduti in gran parte durante la battaglio di Cassino (gennaio – maggio 1944), asprissima e cruenta battaglia che vide protagonista anche il Corpo di Spedizione Francese (Corps Expeditionnaire Francais), composto dalla 1° Divisione della Francia Libera. Dalla 2° Divisione Marocchina di Fanteria (DIM – Division in fanterie Marocaine, 13.895 uomini, di cui 6.578 europei e 7.317 indigeni), della 3° Divisione Algerina di Fanteria (DIA – Division in fanterie Algerienne, con i suoi 16.840 uomini, tra i quali 6.354 bianchi  e 6.835 indigeni) e dalla 4° Divisione di Montagna Marocchina (DIM – Division Marocaine de Montagne, 19.252 uomini, di cui 6545 europei e 12.707 indigeni). Per essi sono stati eretti due monumenti, una cappella europea di Andrè Chatelin, Gran Premio di Roma, ed un minareto, decorato con piastrelle ceramiche azzurre,  che risaltano sul bianco calce delle mura, e con alcune iscrizioni tra le quali la più significativa, tradotta in italiano. È sicuramente questa: “Durante la guerra italiana – durata dall’inverno del 1362 all’estate del 1363 – cadde una divisione appartenente al Nord – Africa del paese delle Monarchie tunisina, dell’Algeria e del Marocco. 488 soldati”.
Si notano le date che fanno riferimento al calendario islamico lunare che computa 1 mesi alternati di 29 e 30 giorni a partire dall’anno 622. Al suo interno vi sono alcune tombe, di cui una al Milite Ignoto musulmano, e tre dedicate a Militi con nome, uno Tunisino, uno Algerino, uno Marocchino. Nel cimitero le file delle tombe sono tagliate in due da un viale, al centro del quale vi è un altare con due iscrizioni, alla fine del viale vi è il minareto racchiuso in un recinto quadrato. Tutte le tombe sono disposte approssimativamente secondo l’asse Nord – Est Sud – Ovest, con le lapidi rivolte a Nord-Est, ad eccezione di alcune tombe, poste dietro il minareto, di soldati ebrei (riconosciuti dalla stella a sei punte sulla lapide) e animisti (sulla lapide hanno un “agnostico” sole stilizzato). Questa disposizione delle tombe suggerisce la possibilità che i caduti musulmani, qualora siano stati disposti sul fianco destro, abbiano il volto rivolto a Sud-Est, cioè pressappoco  in direzione della Mecca, secondo la prescrizione della legge islamica, ma non possiamo sapere in che posizione siano stati effettivamente sepolti. Le tombe musulmane (con la mezzaluna sulla lapide) vengono nell’ordine, dopo quelle cristiane (con la croce); tra le quali anche quella di una donna: Marie-Alphonsine Loretti, di 28 anni, infermiera volontaria e conduttrice di ambulanze del III battaglione di Sanità, cadde sotto un improvviso bombardamento dell’artiglieria tedesca il 5 febbraio 1944 nei pressi di Sant’Elia Fiumerapido, come recita la motivazione di concessione della Medaille Militaire. Vi sono inoltre delle tombe di ufficiali musulmani all’interno del recinto. Su ciascuna lapide è riportato il nome (se noto) e la dicitura “morto per la Francia”W. È da notare che anche fra le tombe cristiane sono riconoscibili nomi arabi e africani.
 
di Antonio Salvatore
 
 
 

Da Pietro Micca all'arma del genio

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Tra le diverse Armi cha hanno costituito in passato e costituiscono oggi più che mai l’attuale Esercito Italiano, troviamo l’Arma del Genio. 
La sua centenaria storia ha i suoi inizi con la compagnia minatori del regno Sabaudo che si distinse per l'episodio di Pietro Micca nell'assedio di Torino del 1706 da parte dei francesi. 
Il Corpo Reale degli Ingegneri, nell'Armata Sabauda, è stato formato l'11 giugno 1775. 
Il 9 dicembre 1798, a seguito dell'occupazione francese, il Corpo viene sciolto, con scioglimento dal giuramento di fedeltà al Re di Sardegna. 
Nel 1814 ha inizio la ricostruzione del Corpo, completata nel maggio 1816 con la costituzione del Corpo Reale del Genio Militare e Civile; tale denominazione viene modificata nel 1823 in Corpo Reale del Genio. 
Il 1º Reggimento del Genio fu costituito dal Re Carlo Alberto di Savoia nel 1848 e comprendeva due battaglioni con una compagnia minatori e quattro compagnie zappatori. 
In occasione della spedizione in Crimea (1855-56) si aggiunsero alle compagnie zappatori un drappello di Pontieri; nella campagna del 1860-61 nelle Marche, nell'Umbria e nell'Italia Meridionale si distinse anche un reggimento Ferrovieri. 
Con l'ordinamento dell'Esercito del 1861 alcune specialità del Genio facevano parte dell'Arma di artiglieria, ma presto se ne distaccarono in seguito all'aumento ed allo specificarsi delle loro attribuzioni. 
Queste consistevano essenzialmente nel supportare le truppe combattenti eseguendo tutti i lavori necessari al buon andamento della campagna. 
L'Arma del Genio nacque effettivamente solo il 24 gennaio 1861, e sarà articolata negli anni successivi da diverse specialità: artieri, guastatori, zappatori, ferrovieri, specialisti, minatori, pontieri, aerostieri, fotoelettricisti, fotografi, idrici, lanciafiamme, teleferisti, fototelegrafisti, radiotelegrafisti, guide fluviali, manovratori, idraulici, colombaie fisse e mobili. 
Il 23 dicembre 1900, con Regio decreto legge, fu concessa all'Arma la Bandiera di guerra. 
Tra le innumerevoli e gloriose battaglie a cui gli uomini del Genio sono stati chiamati a partecipare c’è anche quella combattuta a Cefalonia, nell’antico e stupendo mare della Grecia. 
Inquadrati nella 33a Divisione Fanteria da montagna "Acqui" e sotto il Comando Genio Divisionale i genieri italiani erano presenti con la 31a Compagnia Genio Artieri, la  33a Compagnia Genio Telegrafisti e Radiotelegrafisti (T.R.T.), la 31a Sezione Genio Fotoelettricisti, la 158a Compagnia Genio Lavoratori e la 215a Compagnia Genio Lavoratori. 
Ad oggi le fonti storiche presenti non ci permettono di tracciare una puntuale analisi circa le azioni operative dei reparti del Genio durante i giorni dei combattimenti, sappiamo però, che molti caddero in combattimento e  molti altri furono purtroppo oggetto della “rappresaglia” tedesca, tra cui il Magg. Federico Filippini, Comandante del Genio Divisionale, fucilato il giorno 25 settembre presso la famigerata Casetta Rossa. 
Con il distacco nel 1952 della componente "collegamenti" fino a divenire l'Arma delle Trasmissioni, e ridimensionata già con la ristrutturazione del 1975, attualmente l'Arma comprende: sette reggimenti guastatori, un reggimento pionieri, un battaglione guastatori paracadutisti, un battaglione guastatori alpini, un reggimento pontieri ed un reggimento ferrovieri. I reparti del Genio operano sia in territorio nazionale che in quello estero “teatri operativi” dove riscuotono puntualmente l’ammirazione e la stima sia delle popolazioni locali, che degli eserciti alleati.
 
di Antonio Salvatore
 
 

Storia del Distretto Militare di Campobasso (dodicesima parte)

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Di questo periodo di estrema confusione sappiamo che, il XII Battaglione d’Istruzione si dissolse l’8 Settembre, ma soprattutto sappiamo, grazie a due importantissime testimonianze, una del Dicembre 1943: […]  ancora una volta egli si diresse verso la linea del fuoco, ma nei pressi di Isernia la solita polizia   lo   acciuffò   e   lo   portò   al   Distretto   militare di Campobasso perché   venisse   arruolato nell'esercito badogliano […] ; ed una del 1945, allorquando il Governo Militare Alleato (A.M.G.) autorizzò la chiamata alle armi di soldati di leva della c.l. 1925: La   tardiva   chiamata   per   il   servizio   di  leva militare mi venne notificata dalla stazione dei carabinieri di Venafro al principio del mese di febbraio 1945. Essendo stato distrutto il tronco ferroviario, il giorno della partenza, gli Alleati fecero affluire a Venafro diversi camion militari americani guidati da soldati di colore. I camion erano scoperti e privi di sedili. Per conto del Distretto   Militare   di   Campobasso  (occupato   dalle  forze Alleate)  venimmo sistemati provvisoriamente nell’edificio della ex G.I.L. con all’interno abbondante paglia per riposare della continuità dell’operato del Distretto Militare di Campobasso, sotto la direzione Alleata. Tutto passa e tutto passò, anche la guerra, ma non prima, almeno in questo scritto, di ricordare molto brevemente, un avvenimento storico, ai più purtroppo poco conosciuto, e che ebbe vita proprio in Molise. Era il 31 Marzo 1944  quando, il 1°  Raggruppamento   Italiano  Motorizzato,   con   l’azione condotta   vittoriosamente sul Monte   Marrone,   restituì   fiducia  e   credibilità all’Esercito  Italiano, segnandone la rinascita.
Il Comandante, Generale Umberto Utili, che seguì  le   operazioni  dal Palazzo “Battiloro” di Scapoli (IS), così scriveva nel suo primo Ordine del Giorno: Ragazzi in piedi perché questa è l’aurora di un giorno migliore!
 
di Antonio Salvatore