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Che ne sarà di Zelensky?

In un contesto di grave corruzione interna, con l’insurrezione russa nel Donbass e la perdita del Crimea, un capo di Stato quale Poroshenko che prende tempo sulla possibilità di valutare concretamente la richiesta popolare di adesione alla Nato, un insegnante di storia lotta contro la corruzione prendendo le difese della classe media, tanto da farsi chiamare “servitore del popolo”. Un pericolo reale per il leader Poroshenko, se solo quel professore non fosse il protagonista di una serie tv ucraina. Quell’insegnante, che in realtà è un comico e un attore, però si candida e quelle elezioni le vince per davvero. Il 31 marzo 2019, a sorpresa, Zelensky ottiene oltre il 30% dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali, Poroshenko si attesta al 16%. Zelensky si professa per la pace, tanto da usare un misto di russo e ucraino nel suo discorso inaugurale per chiedere l’unità nazionale. La sua popolarità però cala abbastanza rapidamente per la sua incapacità di risolvere i problemi del Paese. Un rapporto delle Nazioni Unite afferma che “di particolare preoccupazione è la mancanza di responsabilità per minacce e violenze nei confronti di difensori dei diritti umani, operatori dei media e individui che esprimono opinioni online o tentano di partecipare all’elaborazione delle politiche. L’OHCHR ha documentato 29 incidenti contro giornalisti, professionisti dei media, blogger e individui che esprimevano opinioni critiche nei confronti del governo o delle narrazioni tradizionali. Nel 2020-2021, sono stati presi di mira giornalisti investigativi e operatori dei media che si occupavano di argomenti politici come la corruzione e l’attuazione delle restrizioni del Covid-19”. Colui che aveva promulgato leggi per esautorare il potere degli oligarchi come quali Poroshenko, aveva perso la fiducia del popolo con la sua linea politica e con la sua partecipazione nello scandalo dei Pandora Papers, in cui emerse che Zelensky possedeva denaro in conti bancari esteri. La sua parabola discendete si è arenata con la drammatica invasione russa del 24 febbraio, evento che dà nuova linfa alla popolarità del presidente ucraino: cambia la strategia di comunicazione di Zelensky: toglie i panni del politico e assume la parte di un “presidente al fronte”; già a marzo 2022 il suo consenso è risalito all’80%.Nella sua uniforme verde militare, con un atteggiamento e un'enfasi degna dei migliori film di guerra, un presidente attore che sa bene che la sua vittoria passa dalla alleanza con gli Stati esteri, dal favore dell'opinione pubblica e della stampa. La comunicazione di Zelensky è impeccabile: nonostante la situazione di emergenza, la freddezza che traspare dalle sue comunicazioni è rassicurante: accoglie uno ad uno i leader del mondo, dedica ore della sua giornata al telefono, comprende persino l'importanza di prestarsi ai fotografi e ai giornalisti. È invitato nei più importanti eventi dello spettacolo occidentali: Golden Globe, Festival di Cannes, Grammy, Eurovision, Festival del Cinema. Raggiunge l'apice della popolarità internazionale con l'intervista rilasciata nei sotterranei della metropolitana di Kiev allo show di David Letterman. 
In una situazione di emergenza, il leader ucraino ha trovato nelle nuove frontiere della comunicazione, una via per la sopravvivenza. Zelensky ha deciso di documentare quotidianamente, anche con i rischi che esso comportava, la guerra e l'emergenza che il suo Paese stava vivendo. Zelensky è passato dall’essere il primo presidente-influencer della storia, per il massiccio e vincente uso che ha fatto dei social, ad essere “il primo presidente-reporter della storia”. Il leader ucraino ha raccontato il conflitto in prima persona, aggiornando il mondo sull’ evoluzione del conflitto. Egli ha compreso che la vittoria, o quantomeno la resistenza, sarebbe passata attraverso la comunicazione, l’opinione pubblica, il morale del paese. Alcuni lo hanno definito folle a causa del suo tentativo di opporsi a ogni mediazione con Putin, nel suo pretendere un ritiro della Russia quando l’Ucraina sembrava spacciata. Altri lo hanno definito fantoccio della NATO, definendo quella con la Russia una guerra per procura che in realtà voleva combattere la Nato. Nella conferenza stampa di fine anno a Kiev, Volodymyr Zelensky ha dichiarato: "Non stiamo perdendo la guerra con la Russia, anche se non sappiamo quando finirà". Rispondendo ai giornalisti ucraini e internazionali, Volodymyr Zelensky, ha incitato alla resistenza in ogni modo possibile: “Sul campo, con le alleanze e a parole”. In questa frase, vi è tutta la strategia del presidente ucraino: combattere sul campo, stringere alleanze, pronunciare le parole giuste. "L'Ucraina sarà la prossima stella sulla bandiera dell'Ue" ha poi aggiunto Zelensky, indicando la bandiera dell'Unione europea visibile sullo schermo dietro le sue spalle. Il picco della sua popolarità e la narrazione del presidente-eroe hanno portato nel dicembre 2022 il Time a nominare Volodymyr Zelensky persona dell'anno, rimarcando la loro decisione come la più chiara a memoria d'uomo. D'altronde, due giorni prima anche il Financial Time aveva riservato al presidente ucraino lo stesso conferimento. Un anno dopo, però, la parabola di Zelensky è di nuovo calante. Il suo mandato scadrà a marzo ma Zelensky ha escluso la possibilità di elezioni durante la guerra. La sua candidatura alle elezioni post-belliche passerà per la vittoria del conflitto, l’unico risultato con cui Zelenky potrebbe presentarsi alle urne. Gli ultimi sondaggi dell’Istituto di sociologia di Kiev (KIIS) indicano che il 62% degli ucraini sostiene il presidente, contro l’84% dello scorso anno, maggiore fiducia viene riposta nelle forze armate (96%) e nello stesso generale Zaluzhny (88%). Non bisogna poi dimenticare gli oligarchi ucraini che stanno sostenendo economicamente le forze armate, cambiando la loro immagine agli occhi del popolo. Quello che è certo è che la spinta popolare che ha dato la guerra a Zelensky sta svanendo, anche per via del logoramento del conflitto e la sempre meno ed inevitabile attenzione internazionale al conflitto, poiché, come accaduto in Siria e in altre guerre, quando le crisi sono di lunga durata non fanno più notizia.
 
di Daniele Leonardi