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Storia militare

Leopolodo Montini, dalla giovinezza alla prima guerra mondiale

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Nell’immane tragedia che rappresenta sempre e comunque una guerra, ci sono degli uomini che si distinguono per valore, eroismo, altruismo e spirito di sacrificio, donando il più delle volte, il bene più prezioso, la vita.
E’ questo il caso del Sottotenente Leopoldo Montini, che da una nostra certosina ricerca risulta essere  l’Ufficiale italiano più giovane ad essere stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Nato a Campodipietra (Campobasso) il 22 febbraio del 1894, da Antonio e da Elvira Panichelli, il giovane Leopoldo dimostra sin da subito, negli studi ginnasiali e liceali (fino alla 2a ginnasiale sotto la direzione paterna; la 3a e la 4a ginnasiale presso il Convitto Nazionale “Mario Pagano” di Campobasso; la 5a ginnasiale e le successive classi liceali presso il Liceo “Pietro Giannone” di Benevento), di adempiere ai propri doveri con abnegazione e onore, ottenendo la Licenza Liceale senza esami, con dispensa dalle tasse e con Menzione Onorevole.
Attratto per la vita delle armi, il 16 dicembre 1912 si arruola come Volontario Allievo Ufficiale ascritto alla 1° Categoria classe 1892, nel 15° Reggimento Fanteria della Brigata “Savona”, con sede nella città di Caserta, dove viene promosso Caporale in data 31 marzo 1913. 
Promosso Sergente nel 40° Reggimento Fanteria “Bologna”, con sede a Napoli, in data 31 luglio 1913, viene nominato Sottotenente di Complemento, Arma di Fanteria, in data 15 marzo 1914.
In data 19 Febbraio 1914 è assegnato al 14° Reggimento Fanteria “Pinerolo”, con sede nella città di Foggia, per il prescritto Servizio di Prima Nomina.
Sebbene ancora ventenne, ottenne delicati incarichi che portò a compimento con energia ed efficacia, da far subito rilevare le sue qualità di gentiluomo e di soldato, sia durante i moti dell’estate del 1914 nelle zone di Cagnano Varano, Lucera, S. Severo e Cerignola, dove  seppe portare calma e ordine, senza fare mai uso delle armi, sia all’indomani del disastroso terremoto della Marsica del 13 gennaio 1915, dove sotto la neve e fra disagi di ogni specie, svolse la sua opera coscienziosa e pietosa a sostegno della martoriata popolazione locale, meritandosi l’affetto dei abitanti e la stima dei Superiori.
Sostenuti brillantemente gli esami per la promozione a Sottotenente in Servizio Permanente, presso la Scuola di Applicazione di Fanteria di Parma, il 16 maggio 1915 ottenne il trasferimento nel ruolo degli Ufficiali in servizio effettivo. 
Nel frattempo nel resto d’Europa divampava la Prima Guerra Mondiale, l’immane tragedia era al suo primo anno di lutti.
Transitato nel ruolo degli Ufficiali in servizio effettivo il Sottotenente Leopoldo Montini (matricola n. 29612), alla dichiarazione di guerra fu assegnato prima al 13° Reggimento Fanteria della Brigata “Pinerolo”, poi all’8a Compagnia del II° Battaglione del 14° Reggimento Fanteria della stessa brigata, schierato lungo la riva sinistra del fiume Tagliamento, pronto a varcare il confine per dare inizio ai combattimenti. 
La Brigata fu impegnata duramente fin dai primi giorni di guerra contro lo sbarramento difensivo austriaco attivo sulle alture di Selz, dove l’eroe molisano, più volte volontario nel condurre squadre di arditi con il compito di far saltare con tubi di gelatina i reticolati nemici, ebbe occasione di distinguersi in un fatto d’arme, in cui, preso tra due fuochi, seppe disimpegnare il suo plotone, acquistando la fama di specialista invulnerabile e ottenendo il 4 luglio 1915, un encomio solenne e una proposta di Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Le notizie del suo ardimento, che mai furono oggetto di vanto da parte del giovane Montini, ma solo questione di mero dovere, come è possibile notare dalle due missive inviate al padre, che preoccupato ne chiedeva riscontro:
«8 luglio 1915
CARISSIMO PAPA’
per ora tutto bene; state sempre senza preoccupazione alcuna e state sicuro che cercherò sempre di fare nel miglior modo il mio dovere nella speranza che voi possiate essere un giorno di me orgoglioso».
 
«11 luglio 1915
CARISSIMO PAPA’
dovrei scrivere più a lungo e dirvi qualche cosa di quello che faccio e di quello che vedo; ma è opera superiore alle mie forze. Vi basti sapere che credo di fare nel miglior modo il mio dovere. Potrei raccontare qualche mia operazione; ma l’apprenderete in seguito».
 
Nel mese di luglio i combattimenti divennero sempre più aspri e cruenti e alla 14a Divisione venne dato l’ordine di attaccare da sud il Monte Sei Busi, e occupare i trinceramenti di Vermiglio e di Selz  iniziava così, il giorno 18 luglio 1915, la seconda battaglia dell’Isonzo.
Al 14° Reggimento Fanteria “Pinerolo” venne affidata la conquista di quota 118 del versante sud di Monte Sei Busi, massicciamente difesa dal fuoco di sbarramento delle mitragliatrici austriache, che arrestò ferocemente l’avanzata dei fanti italiani.
Il 18 luglio 1915, dopo sei giorni di azioni temerarie, ancora una volta e ancora volontariamente, il Sottotenente Leopoldo Montini, dimostrando un rifulgente senso del dovere, alla testa di una squadra di arditi, si proiettò sotto le postazioni nemiche nel tentativo di creare un varco nei reticolati spinati, ma colpito dal fuoco delle mitraglie cadde ferito a morte nel compimento dell’eroica prova.
Alla giovane età di ventuno anni e dopo soli cinquantasei giorni di guerra, il Sottotenente Leopoldo Montini, sacrificherà la vita per l’Unità e la Libertà dell’Italia.
 
di Antonio Salvatore
 

Intervista al cameriere di Hitler

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Addossata alle falde di una imponente cresta rocciosa sorge Villa Santa Maria, un piccolo paese in provincia di Chieti meglio conosciuto come la Patria dei Cuochi per via della rinomata scuola alberghiera. Ma tra tanti cuochi c'è anche un cameriere ottuagenario che ha lavorato in piena seconda guerra mondiale in Germania al famoso Nido delle Aquile prima e poi a Norimberga, servendo a tavola l'uomo più discusso del Novecento ovvero Adolf Hitler. Da anni il signor Salvatore Paolini, nato il 26 luglio del 1924, rilascia interviste a testate giornalistiche di tutto il mondo. Ormai è stanco ma ho voluto concedere un'ultima intervista al sottoscritto anche perché voleva per la prima volta parlare della sua straordinaria esperienza con un giovane.
Il pomeriggio autunnale è riscaldato da un tiepido sole. La fitta vegetazione, l'aria pura e le diverse legnaie rimandano alle descrizioni di paesaggi bucolici. La villa del signor Paolini è poco distante dal centro del paese. Alle 16 in punto come da appuntamento un anziano signore dal volto aggrottato e in abiti formali mi attende dinanzi al cancello. Dopo le dovute presentazioni mi fa entrare nella sua villa immersa nel verde facendomi notare i vari monumenti dedicati alla moglie e poi mi fa accomodare in salotto mostrandomi da subito un documento che attesta la sua onorificenza a Cavaliere della Repubblica. I suoi occhi all'inizio stanchi sembrano man mano ravvivarsi all'udire la mia voce giovanile. Difficilmente riesce a rispettare i tempi e i modi dell'intervista. Preferisce andare a ruota libera ed io non posso fare altro che assecondarlo.
 
 
-Signor Paolini come è arrivato ad essere il cameriere di Hitler?
 
Innanzitutto voglio precisare che io non ero il cuoco del fuhrer bensì il cameriere o meglio uno dei camerieri. Nella mia vita ho sempre lavorato. Da ragazzo dopo aver terminato le scuole elementari ho iniziato a lavorare in un albergo di Villa S.Maria (CH). Poi per ragioni economiche, in quanto volevo guadagnare di più, mi sono spostato a Roma dove ho prestato servizio dal Principe Colonna.
Qualche mese dopo sono andato a lavorare all'Hotel Diana di Roma frequentato di sovente da ufficiali tedeschi i quali mi hanno offerto un lavoro in Germania dove sicuramente il guadagno era elevato anche perché il marco era ben quotato. Così sono andato in Germania a fare il cameriere in un albergo o meglio un centro di cure termali a Bad Mergenthein. Lì ho conosciuto il direttore del Platterhof che mi ha chiesto se volevo andare a lavorare al famoso Nido delle Aquile.
E così sono andato anche se prima mi hanno rilasciato un certificato di appartenenza alla razza ariana. Dei carabinieri sono andati nel mio paese da mio padre a prendere informazioni sulla mia famiglia e soprattutto sui miei ascendenti nella speranza che non vi fosse alcun antenato ebreo.
Così dopo i dovuti accertamenti mi hanno consegnato l'ausweiss ovvero il lasciapassare e sono approdato a Obersalzberg vicino Berchtesgaden nelle alpi bavaresi. Io non sapevo chi avrei incontrato !
Quando ho iniziato a lavorare al Nido delle Aquile ero l'unico cameriere italiano. Servivamo sempre in piatti d'argento e soprattutto con i guanti. Ho servito Hitler diverse volte senza dimenticare che spesso venivano anche altri gerarchi come Goering, Himmler, Bormann, Kesserling, Rosenberg e tanti altri.
 
 
- Come ricorda il Fuhrer?
 
Io da sempre sono un grande ammiratore del popolo tedesco. Hitler per me almeno da un punto di vista privato posso dire che non era affatto arrogante ma piuttosto gentile nei modi ma anche nelle parole. Lui quando veniva già sapeva cosa avrebbe mangiato. Preferiva verdure verdi e patate. Non l'ho mai visto mangiare carne. Era un goloso di torte con la panna montata. Tutte le volte che mi avvicinavo per porgergli la pietanza non mi faceva mai mancare il danke (grazie) ed aveva sempre il sorriso sulle labbra non solo con i suoi commensali ma anche con me e gli altri camerieri. Non l'ho mai sentito alzare la voce. Non era crudele come spesso veniva presentato al di fuori del suo ambiente.
 
 
- Che rapporto ha avuto con gli altri colleghi di lavoro?
 
Mi volevano tutti bene perché quando eravamo insieme io non ho mai fatto commenti sulle questioni politiche ma solo lavorare. Ognuno stimava l'altro per il proprio lavoro.
 
 
- Quanto tempo è rimasto al Nido delle Aquile?
 
Esattamente dal 10 ottobre 1942 al 4/2/ 1943.
 
 
- In quei mesi ha assistito a qualche episodio particolare?
 
Solo una volta come ho avuto modo di dire già in altre interviste ho sentito Bormann che alludendo a Goering che non era più nelle grazie di Hitler, mentre quest'ultimo mangiava un piatto di prosciutto al forno con contorno di piselli ,esclamare: "ich wuBte nicht dass das Schwein sein eigenes Fleisch iBt" (tradotto significa: non sapevo che il maiale mangiasse la propria carne).
 
 
- Avrebbe immaginato di incontrare di nuovo Hitler a Norimberga?
 
Si, in quanto il direttore dell'albergo di Norimberga (Hotel Deutschr Hof Wohnung des Fuhrers) già sapeva che avevo lavorato al Nido delle Aquile. A Norimberga sono rimasto dal 43 fino al 25/4/1945. Lì avevo la mia stanza con il letto di piume e addirittura il telefono in camera. Quando nel 45 l'hotel venne bombardato, io mi ricordo che rimasi tre giorni consecutivi sotto il rifugio. Quando poi sono uscito fuori già non si capiva più nulla anche in Germania. Non sono potuto rientrare in Italia con tutto quel disordine. Allora non ho fatto altro che rifugiarmi in una tenuta tra la Germania e l'Olanda in quanto non potevo più rimanere a Norimberga perché ero in pericolo di vita. Non si poteva andar via quando si voleva, Così sono stato alle dipendenze della signora Krostmann, il cui marito era in servizio militare per cui conduceva lei da sola l'azienda che era molto grande. Ero addetto all'allevamento di vacche, cavalli ecc.. Mi sono dovuto adattare. Non sapevo come fare e dovevo aspettare tempi migliori per tornare in Italia.
 
 
- Quando è rientrato in Italia ?
 
Pochi mesi dopo mi sono recato in Francia a Nimes. Da qui è stato più facile rientrare in Italia. A Roma ho preso un corriera fino ad Agnone dove un contadino con un mulo mi ha accompagnato fino a Villa Santa Maria.
 
 
- Quando poi è rientrato in Italia cosa ha fatto? Che impressione ha avuto del nostro Paese?
 
C'era solo gran disordine. Lavoro non se ne trovava , bisognava arrangiarsi alla giornata. Quando poi le cose si sono stabilizzate sono ritornato in Germania accompagnato da mio nipote. Ho riportato il mio baule con i vestiti e tutto quello che avevo lasciato. Rientrato a Villa S. Maria dopo qualche mese ho trovato lavoro a Roma nei più grandi e lussuosi alberghi della capitale, ma non solo sono stato anche in Venezuela, a Venezia ecc.. ritrovandomi a servire ancora personaggi noti come Churchill, Primo Carnera, il Presidente Leone ecc…
 
- So che in seguito ha amministrato Villa Santa Maria per venti anni essendo stato rieletto sindaco per quattro volte. Cosa ha fatto in quegli anni?
Mi sono messo a lavorare per riportare su il mio paese. Ho costruito strade, la biblioteca comunale ma soprattutto ho fondato la scuola alberghiera vanto dei migliori Chef. Ho apportato la mentalità del popolo tedesco anche a Villa Santa Maria.
Con l'ordine e la disciplina ho amministrato al meglio questo paese. Tra le altre cose ho fatto costruire diverse abitazioni e una centrale elettrica. E poi tante altre opere a favore di questa gente.
 
 
- Alla fine è stato più difficile servire Hitler o amministrare questo paese?
 
Sono state due esperienze belle ma diverse. Comunque ho sempre agito rispettando un codice morale. Il cameriere per me dovrebbe essere ancora oggi maggiormente rispettato. Nella vita conta non soltanto mangiare ma anche chi ti serve a tavola!
 
 

Eccidio di Fornelli, la Germania condannata a 12 milioni di risarcimento

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Ieri è stata una giornata storica per il comune di Fornelli, in provincia di Isernia, che farà giurisprudenza anche per avvenimenti similari in Italia. Il Tribunale della città pentra ha condannato la Germania a indennizzare il Comune ed i familiari delle 6 vittime uccise dai nazisti il 4 ottobre 1943, con una somma pari a 12 milioni di euro, di cui 630.000 spetteranno all’ Amministrazione comunale. La vicenda ebbe inizio con l’uccisione di un soldato tedesco causata da una bomba per evitare razzie di beni di prima necessità da parte dei nazisti. A seguito di questo fatto, il 4 ottobre 1943 l’esercito tedesco, assassinò per impiccagione il podestà, Giuseppe Laurelli ed altri 5 fornellesi: Domenico Lancellotta, Celestino Lancellotta, Michele Petrarca, Giuseppe Castaldi e Vincenzo Castaldi. Dopo la mattanza i corpi delle vittime furono lasciati sul luogo dell’esecuzione fino al 19 ottobre. Il Sindaco del paese, Giovanni Tedeschi, ha commentato l’epilogo del tragico avvenimento: "Questa è una sentenza storica. Finalmente la perseveranza con cui siamo andati avanti, nonostante lo scetticismo e la derisione di alcuni, è stata premiata. Certo ora sarà difficile ricevere il risarcimento, ma andremo avanti facendo tutti i passi successivi". Una pagina oscura per la nostra Nazione finalmente ha avuto giustizia.

di Domenico Pio Abiuso 

 

La Leva, la Reazione ed il miracolo di San Basso

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All'indomani della proclamazione dell'Unità d'Italia (17 marzo 1861), diverse fasce della popolazione dell'Italia meridionale iniziarono ad esprimere il proprio malcontento verso il processo di unificazione. La situazione nel Meridione era tutt'altro che tranquilla, ai problemi di natura  militare legati al non controllo di migliaia di soldati sbandati del disciolto esercito borbonico, si aggiungeva il costante peggioramento economico dei braccianti agricoli, parte consistente della popolazione meridionale, che, causa anche la privatizzazione delle terre demaniali a favore dei vecchi e nuovi proprietari terrieri, si trovarono a fronteggiare una situazione economica, se possibile, ancora peggiore rispetto al passato. Al quadro già esplosivo si aggiunse da parte del neonato Governo italiano l'introduzione della leva obbligatoria di massa, che depauperava di fatto la forza lavoro della classi meno abbienti. Così, alle già operative formazioni armate nate come “reazione” nel 1860, nacquero nel 1861  numerose altre bande, che non riconoscendo la legittimità e l'autorità costituita, si scontrarono ripetutamente con le truppe regolari e a cui seguì una risposta politico-militare fortemente repressiva. Il fenomeno porterà ad una escalation di violenza che culminerà con la promulgazione di provvedimenti legislativi eccezionali e la proclamazione dovunque dello stato d'assedio. Nel 1863 per la “guerra” al brigantaggio saranno impiegati circa 120.00 uomini dell'Esercito Italiano, di cui: 52 reggimenti di fanteria, 6 reggimenti granatieri, 5 reggimenti di cavalleria, 19 battaglioni bersaglieri, rinforzata la Guardia Nazionale, aumentati i reparti di Carabinieri. Ovviamente, anche il Molise, tra le provincie meridionali più fortemente filo borboniche, sarà teatro di violenze e scontri armati tra briganti e truppe regolari e dove non di rado si avvicenderanno “occupazioni” e “liberazioni” di borghi e paesi. L'organizzazione militare del territorio meridionale era articolata in 5 comandi di divisione territoriale e 38 comandi provinciali e di distretto, per la direzione e la responsabilità dell'ordine e della sicurezza pubblica, tramite le quali le autorità amministrative e giudiziarie si servirono per eseguire sentenza di tribunali, riscuotere tributi e ripristinare l'osservanza della legge. Tale articolazione però non risultava sufficiente, tanto da far costituire nelle province più turbolente una apposita organizzazione operativa, articolata in Zone Militari, indipendente e sovrapposta a quella territoriale, con il compito della distruzione della bande brigantesche. In ciascuna delle suddette Zone Militari fu realizzata una rete di presidi fissi nei centri maggiori, con colonne mobili per il controllo delle campagne, inoltre un'aliquota delle forze fu destinata a servizi di presidio e di scorta a diligenze, corrieri postali, autorità civili e militari, la parte rimanente, ripartita in distaccamenti e colonne mobili, provvedeva quotidianamente alla perlustrazione del territorio. Nella provincia di Molise fu istituita la Zona Militare di Campobasso, a Termoli, luogo di svolgimento del nostro "miracolo" era operativa la colonna mobile del 26° Battaglione del 4° Reggimento Bersaglieri. È in questo drammatico quadro tinteggiato dai colori della violenza, della ribellione e soprattutto della povertà, che si staglia il teatrale episodio perpetrato da alcuni marinai di Termoli il giorno 24 settembre 1862, allorquando, facendo credere che S. Basso (Protettore di Termoli) avesse fatto un miracolo, volendo con ciò spiegare che i colpiti nella Leva Militare di Marina non dovessero obbedire alla chiamata di leva, richiamarono al suono delle campane il popolo termolese all'interno della Cattedrale, aizzandoli, aiutati anche da "spontanei" sermoni declamati da alcuni chierici compiacenti, contro la forza pubblica in una improvvisata e mal riuscita forma di Reazione.

di Antonio Salvatore

Fosse Ardeatine: Calvisi, onorare la memoria

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“A 76 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine ricordiamo le vittime della strage perpetrata dai nazisti a Roma e il carico di orrore che quel momento oscuro della storia ha portato con sé.  Mai come in questo momento, in cui tutto il Paese è chiamato ad affrontare una delle più grandi emergenze del Secondo dopoguerra, è necessario ripensare al coraggio, alla forza, allo spirito unitario con cui gli italiani risposero a quei tragici eventi”. – Lo scrive il Sottosegretario alla Difesa, Giulio Calvisi.
“Anche oggi onoriamo la memoria di quei martiri e, insieme a loro, di tutte le vittime della follia totalitaria. Che il loro sacrificio sia sempre monito per tutti noi, soprattutto per le giovani generazioni, per continuare a difendere i valori di libertà, democrazia, solidarietà che pure sono nate da quei momenti bui e che sono base fondante della nostra Costituzione e della costruzione europea” – ha concluso Calvisi.