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Storia militare

Le donne in guerra

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La durata della guerra, il suo trasformarsi in un conflitto logorante e l’enorme numero di morti imposero alle economie e alle società delle nazioni belligeranti un radicale cambiamento, che investì ben presto anche il mondo femminile.
Già dal secondo anno di guerra infatti fu necessario sostituire gli uomini inviati al fronte con le donne, le quali si trovarono così a svolgere per la prima volta lavori “maschili” come conduttrice di tram, postine, casellanti e soprattutto, operaie nelle fabbriche, impiego per il quale furono aperte apposite “scuole professionali”.
Anche se l’impiego di tale manodopera suscitò dello scetticismo, questa venne incoraggiata, tramite un’attenta propaganda dal Gen. 
Dallolio, fautore della modernizzazione dell’apparato produttivo italiano, il quale portò la presenza femminile in molte fabbriche a circa il 50% del totale, in un periodo in cui grazie alle commesse belliche, questa si era enormemente accresciuta giungendo, come nel caso della FIAT, a più che decuplicare il numero dei propri operai (da 1.300 a 16.000).
La partecipazione femminile in guerra non si limitò al solo fronte interno: altre donne si arruolarono nel corpo delle infermiere volontarie o “Crocerossine” che prestarono servizio negli ospedali e nei posti di medicazione delle retrovie come fondamentale supporto al Corpo della Sanità Militare.
Importante fu anche il contributo delle “portatrici carniche”, le 250 donne che trasportavano i rifornimenti ai reparti di prima linea, sugli impervi sentieri carnici, fra cui Maria Polzner, la prima donna a ricevere la medaglia d’Oro al Valor militare. 
Dopo la fine della guerra, nel 1919, ottennero in Italia la capacità giuridica.
 
di Antonio Salvatore
 
   
 

La nazione al fronte

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Sul fronte italiano tramontata nel 1915 la speranza di un rapido sfondamento delle linee nemiche, il Generale Cadorna dovette disporre un sistema di sbarramento analogo a quello nemico, in cui raggruppare le forze necessarie alle successive operazioni. 
Anche il fronte italiano si coprì così di trincee dal passo dello Stelvio all’adriatico. 
La trincea è l’immagine stessa del primo conflitto mondiale. Benché essa sia vecchia quasi quanto la guerra stessa. 
Nessun conflitto fino ad allora ne aveva mai veduto un uso tanto esteso e condizionante per le operazioni belliche. 
Materialmente la trincea è un fossato di profondità, larghezza e lunghezza variabili, nel quale i combattenti possono trovare riparo dai colpi nemici e spostarsi lungo la propria linea di schieramento. 
Nel 1914 la potenza delle artiglierie, la diffusione della mitragliatrice e l’impiego del filo spinato, fino allora utilizzato per le recinzioni del bestiame in America e Australia, resero però la trincea eccezionalmente efficace anche nell’arrestare gli attacchi delle fanterie avversarie, come i combattimenti del 1914-15 dimostrarono a tutti.
L’offensiva e il movimento che fino ad allora erano stati gli elementi principali della guerra moderna, divennero così enormemente costosi in termini di vite umane, e tutte le parti in lotta si ritrovarono immobilizzate in fronti di centinaia di chilometri, dove i soldati si fronteggiavano per mesi nel fango delle trincee, separati dalla “terra di nessuno”.
Sul fronte italiano vi erano due tipologie di trincea, in montagna, dove il terreno era roccioso, essa era più rara e meno profonda e le erano preferite posizioni in cavernao piccoli fortilizi improvvisati. Sul fronte isontino invece, le trincee si moltiplicavano in profondità, con un tracciato a “zig zag”, talvolta rivestite internamente di legname per evitare le frane durante le piogge e interconnesse di camminamenti e cunicoli.
 
di Antonio Salvatore
 
   
 

Il ferro e il fuoco

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La Grande Guerra portò diversi milioni di uomini da tutta l’Italia e di ogni classe sociale a condividere l’esperienza del fronte e della trincea. 
Le condizioni di vita dei sodati differivano notevolmente nei diversi settori del fronte. Pur rimanendo tutte durissime, caratterizzate com’erano dall’esposizione alle intemperie, dalla scarsa igiene, dal pericolo costante del fuoco nemico e dalle infezioni. 
Il tempo trascorreva nell’attesa dell’ordine di attacco, che rappresentava lo spartiacque fra la vita e la morte, fra il successo finale e la prosecuzione della difficile quotidianità della trincea. 
Al fronte il soldato imparava a conoscere tutti gli aspetti della guerra che stava combattendo: dall’uso delle armi (fucile, bomba a mano, baionetta) a quello degli utensili (badile, pinze tagliafili per reticolati), fino al rito del rancio tre volte al giorno, dei turni di guardia e della posta da casa. 
In questa routine fatta di turni di corvee, attese logoranti e occasionali riposi nelle retrovie, la presenza della morte era continua, quasi abituale: quella in combattimento, quella per malattia  o quella per mano dei “cecchini”, come venivano chiamati i tiratori scelti austriaci con una storpiatura del nome dell’imperatore Francesco Giuseppe. 
Il conflitto portò individui comuni a vivere l’esperienza del fronte a fianco di altri destinati alla celebrità, come i “volontari irredenti” Cesare Battisti e Fabio Filzi, entrambi impiccati dagli austriaci dopo la cattura. 
I sottotenenti Alessandro Pertini, Antonio Segni e Giovanni Gronchi, futuri Capo dello Stato, o come il sergente della Sanità Angelo Roncalli, che diventerà Papa Giovanni XXIII, il fante Antonio De Curtis, in arte Totò, che combatté sul fronte francese e il poeta Giuseppe Ungaretti, le cui liriche piene di scarna drammatica e umana compassione saranno l’eredità letteraria più intensa della grande guerra.     
 
di Antonio Salvatore
   
 

1915 il Piave mormorava

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Allo scoppio della Grande Guerra nel luglio 1914 l’Italia dichiarava la propria neutralità, divenendo immediatamente oggetto di offerte da parte dei due schieramenti. 
L’opinione pubblica e il mondo politico erano divisi fra neutralismo e interventismo a fianco dell’Intesa, entrambi diffusi trasversalmente in tutte le forze politiche. 
Gradualmente tuttavia si affermava nel paese anche se non nel Parlamento, il fronte interventista. 
Questo godeva oltre che del favore del re e del contributori celebri intellettuali come Gabriele D’Annunzio, anche del supporto del capo del governo Antonio Salandra e del Ministro degli Esteri Sidney Sonnino, che stavano conducendo un complesso di trattative segrete con i governi britannico e francese, culminati con la firma del “Patto di Londra” il 24 aprile 1915, che sancì ‘ingresso dell’Italia nel fronte dell’Intesa, il 24 maggio. 
Le truppe del Regio Esercito varcarono il confine sotto il comando del generale Cadorna, avanzando verso il fiume Isonzo in direzione di Gorizia e Trieste. 
A causa dell’asprezza del terreno e della tenace opposizione avversaria l’esercito non riuscì però a compiere i progressi sperati nelle prime settimane di guerra. 
Come era già successo sui campi di battaglia europei l’anno precedente. L’anno precedente nell’estate del 1915 anche il fronte italiano si trasformò in un conflitto di posizione fatto di fortificazioni campali, reticolati, intensi bombardamenti e assalti sanguinosi. 
Il generale Cadorna approfittò della sostanziale stasi del fronte per completare la mobilitazione dell’esercito e per spingere il governo ad organizzare l’economia in funzione della guerra e coordinarne la condotta con gli alleati. 
 
di Antonio Salvatore 
   
 

Verso la guerra

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Nel corso del primo conflitto mondiale, nei quattro anni dal maggio 1915 al novembre 1918, furono chiamati a prestare il proprio servizio oltre cinque milioni di italiani. 
Impiegati nei diversi fronti di guerra, gli uomini chiamati alle armi si trovarono ad affrontare sin da subito una quotidianità attraversata dal fango della trincea, dal sibilo dei proiettili, dalla familiare presenza della morte, dall’inebriante profumo della vittoria finale. 
Riproponendo quanto esposto nella mostra itinerante organizzata dall’Esercito nel 2015, in occasione dei cento anni dallo scoppio del conflitto, si ripercorrono, sinteticamente, le fasi più significative che si svilupparono durante la guerra, iniziando dal 1914, anno in cui l’Italia dichiarava la sua neutralità.  
La politica europea all’inizio del novecento era condizionata da gravi tensioni fra le diverse potenze che andavano aggravandosi nel primo decennio del secolo. 
La nazione in ascesa nel continente era l’impero federale tedesco del kaiser Guglielmo II, la cui crescente potenza industriale e militare era temuta dalla Gran Bretagna e dalla Francia, la quale desiderosa di rivincita dopo la sconfitta del 1870, era unita alla Russia da una alleanza militare antitedesca. 
La Russia era a propria volta un paese in crescita demografica e industriale ma, dopo la sfortunata guerra col Giappone del 1905, era alla ricerca di una rivalsa nei Balcani, dove si poneva come protettrice della Serbia, della quale incoraggiava il nazionalismo espansionista. 
Ad essere minacciata dalla politica russa nei Balcani era soprattutto l’Austria-Ungheria, unita alla Germania e all’Italia dal 1882 nella Triplice Alleanza, un patto che impegnava i contraenti a prestarsi aiuto militare in caso di aggressione. 
In quegli anni l’Austria-Ungheria stava tentando di darsi un assetto più stabile trasformando la monarchia da “duplice” (autro-ungarica) in “triplice” (austro-ungarica-slava). 
Fautore di questo progetta era l’erede al trono l’arciduca Francesco Ferdinando, il cui assassino a Sarajevo il 28 giugno 1914 ad opera dei nazionalisti serbi determinò l’esplodere della crisi. 
Il 28 luglio l’Austria-Ungheria dichiarava guerra alla Serbia, accusata di aver organizzato l’attentato. Il 31 la Russia mobilitava l’esercito a difesa della Serbia e la Germania fece altrettanto con l’Austria dichiarando guerra alla Russia il 1° agosto e provocando così l’interveto della Francia il 3 agosto. 
La Germania aveva già pronto un piano di guerra per attaccare la Francia attraverso il territorio neutrale del Belgio. 
L’invasione tedesca del Belgio del 4 agosto provocava l’immediato intervento nel conflitto della Gran Bretagna e del suo impero coloniale. 
La guerra era divenuta mondiale.     
 
di Antonio Salvatore