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Storia militare

1917: l'anno degli imperi centrali

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Nel 1917, malgrado l’ingresso in guerra degli USA il 6 aprile, la situazione dell’Intesa peggiorò decisamente. 
Dopo il sanguinoso stallo di Verdun, cui fece seguito il fallimento dell’offensiva francese allo Chemin des Dames in Russia la rivoluzione di marzo (febbraio nel calendario russo) rovesciò la monarchia instaurando un debole Governo provvisorio a sua volta abbattuto nel novembre (ottobre) dal partito bolscevico di Vladimir Lenin. 
Questo evento causò di fatto l’uscita della Russia dal conflitto. Gli austro-tedeschi poterono così dispiegare gran parte delle proprie forze contro l’Italia, progettando per l’ottobre 1917 una grande offensiva congiunta. 
Per tutto il 1917 il Regio Esercito aveva sferrato decise offensive, giungendo nel settore isontino a far retrocedere la linea nemica quasi a ridosso di Trieste. 
Tali attacchi anche se portarono l’Austria-Ungheria sull’orlo del collasso, costarono però oltre 100.000 morti e 200.000 feriti alle divisioni italiane. 
L’attacco austro-tedesco scattato nella notte del 24 ottobre colse lo schieramento italiano in un momento di crisi e riuscì a sfondarne le difese nell’alto Isonzo fra Plezzo e Tolmino, presso la cittadina di Caporetto. 
Precedute da un breve e violento bombardamento, le unità alpine tedesche si infiltrarono a fondo valle alle spalle della II Armata italiana, occupando i capisaldi della seconda linea di resistenza e costringendo così l’intero schieramento italiano ad una drammatica ritirata per evitare l’accerchiamento. 
Il sacrificio delle nostre retroguardie riuscì tuttavia a consentire alla IIIa Armata schierata sul basso Isonzo di ritirarsi dapprima sul Tagliamento poi sul Livenza e infine, dal 9 novembre dietro il Piave, scelto come ultima posizione di difesa. 
Su questa linea il Regio Esercito, sotto la guida del Generale Armando Diaz, che aveva sostituito Cadorna al Comando Supremo dall’8 novembre, riuscì a respingere la seconda offensiva nemica (Novembre-Dicembre), in quella che fu chiamata “La battaglia di arresto”.   
 
di Antonio Salvatore
 
 
 

I soldati dell'aquila bicipite

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Prima dello scoppio della Grande Guerra l’esercito Austro-Ungarico era composto dall’esercito comune (Heer o Gemainsamearmee). 
Dagli eserciti nazionali austriaco (Landwehr) ed ungherese (Honved) e dalle forze delle rispettive riserve territoriali nazionali, (Landstrum e Nepfolkeles). 
Ad esclusione delle riserve, ciascuno dei due eserciti aveva una propria organizzazione con differenti bacini di reclutamento. 
In totale le armate dell’Imperatore Francesco Giuseppe comprendevano 16 comandi di Corpo d’Armata divisi in 49 Divisioni. 
Quando l’Italia scese in guerra nel 1915, i soldati austroungarici avevano alle spalle un anno di combattimenti, ed avevano già in parte adeguato le proprie strutture e soprattutto l’organizzazione logistica al nuovo tipo di guerra che si stava combattendo. 
Grande attenzione era messa da parte austriaca nel combinare nelle grandi unità reparti di sicuro affidamento tedeschi, croati, bosniaci e ungheresi, con altri più incerti, come cecoslovacchi, romeni e italiani, evitando sempre che un tratto esteso di fronte fosse tenuto da soldati di una sola provenienza. 
Benché composto da soldati di una decina di nazionalità e condizionato dalle difficoltà economiche dell’impero, l’esercito austroungarico era comunque uno strumento solido e di grande tradizione. 
Il principale pilastro, assieme alla burocrazia statale della compagine imperiale asburgica, che nonostante tutto poté sostanzialmente contare sulla fedeltà di quasi tutte le sue forze armate fino alla fine del 1918.   
 
di Antonio Salvatore
 
 
   
 

La guerra "bianca"

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L’esercito italiano combatte gran parte della Grande Guerra in montagna, dove vennero schierate non solo le truppe alpine, reclutate nel Nord Italia, ma anche reparti formati da soldati originari del Centro Sud, che in molti casi non avevano mai visto la neve.
La guerra in montagna, o “Guerra bianca”, racchiude in sé diverse battaglie come le operazioni sul Grappa, sull’Adamello e l’attacco al monte Ortigara, alcune delle quali rimaste nella memoria della tradizione militare italiana. 
Meno conosciuta fu la cosiddetta “Battaglia di mine” nella quale furono utilizzati quasi centomila chili di esplosivo da ambo le parti con l’intento di far saltare le posizioni nemiche di vetta attraverso gallerie minate.
La montagna presentava poi enormi difficoltà dal lato logistico: le truppe esposte al freddo avevano bisogno di un maggior numero di rifornimenti e i collegamenti per le prime linee montane, difficili per la scarsezza di strade carrozzabili, obbligavano all’utilizzo intensivo del trasporto umano oltre che di quello animale. 
Ancora più problematica era l’asprezza dei luoghi, soprattutto nella stagione del disgelo, quando i torrenti esondavano, le slavine minacciavano di travolgere uomini e attrezzature e la neve “marcia” nascondeva ai soldati i crepacci e le forre del terreno fino ad allora coperti dalla crosta di ghiaccio.
 
di Antonio Salvatore
   
 

1916: le grandi spallate

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Il 1916 fu l’anno in cui gli stati belligeranti cercarono di delineare una strategia per colpire i punti vulnerabili dello schieramento avversario.
L’Austria-Ungheria sconfitta la Serbia con l’aiuto tedesco alla fine del 1915, tentò sul fronte italiano un altro colpo risolutivo, attaccando nel settore trentino in modo da prendere alle spalle le armate italiane che da quasi un anno investivano le posizioni austriache sull’Isonzo. 
L’attacco denominato Frujaroffensive (Offensiva di primavera) ma noto come Stafexpedition (Spedizione punitiva), iniziò alla metà di maggio, mettendo in crisi il centro dello schieramento italiano sull’altopiano di Asiago. 
Il pronto rischieramento di una armata dal fronte isontino a quello trentino, effettuato per la prima volta con il massiccio utilizzo dei mezzi motorizzati, riuscì tuttavia a respingere l’avanzata nemica e a stabilizzare il fronte sulle linee iniziali.
L’attacco Austro-Ungarici venne a breve seguito dalla controffensiva italiana sia in Trentino, sul monte Ortigara, sia sull’Isonzo in direzione di Gorizia, che venne conquistata da parte della seconda armata del Generale Luigi Capello l’8 agosto 1916.
La Russia dopo aver conseguito all’inizio della guerra una limitata vittoria in Pomerania contro i tedeschi e una importante serie di successi contro i turchi nel Caucaso e gli Austro-Ungarici in Galizia, subì poi un seguito di durissime sconfitte ad opera dell’esercito del Kaiser. 
Nel giugno 1916 l’esercito russo portò ancora una vittoriosa offensiva russa in Galizia ma, logorato dalle perdite, venne costretto ad indietreggiare nuovamente nell’autunno da un violento contrattacco nemico. 
L’insuccesso e l’altissimo tributo di vite scossero definitivamente la fiducia del popolo nella guida dello Zar, e portarono il paese alla grave crisi nazionale che culminerà nella rivoluzione del 1917.
Il 21 novembre moriva a Vienna Francesco Giuseppe d’Asburgo, il vecchio imperatore salito al trono nel 1848, gli succedeva il nipote Carlo I.
In Francia, tedeschi e francesi si affrontarono da Febbraio a Dicembre in sanguinosissimi e sterili assalti attorno alla città fortificata di Verdun, ciascuno nella speranza di portare l’altro all’esaurimento delle risorse e della volontà di combattere. 
I morti furono quasi un milione.
 
di Antonio Salvatore
 
 

Le armi della modernità

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La Grande Guerra fornì l’occasione per applicare al campo militare molte invenzioni della scienza e della tecnica del XX secolo.
La prima di queste invenzioni fu il mezzo aereo nella sua duplice versione del dirigibile usato specialmente dai tedeschi, e dell’aeroplano, che ebbe invece una grande diffusione in tutti i paesi belligeranti. 
L’aeroplano, inventato nel 1903dai fratelli Wright, era già stato sperimentato nel primo decennio del ‘900 per scopi di osservazione e per i primi bombardamenti: la possibilità di osservare e attaccare il nemico in modo imprevedibile portò però, in pochi anni allo sviluppo di apparecchi appositamente costruiti per il bombardamento, la distruzione di altri aerei e la ricognizione.
Enormemente stimolata dal conflitto fu anche l’industria meccanica e motoristica, dalla cui interazione nacque il carro armato. 
Impiegato per la prima volta dai britannici in Francia nel 1916, il tank, come venne chiamato in codice, venne sviluppato nonostante lo scarso successo iniziale, dacché rappresentava un mezzo efficace per superare il trinomio trincea-reticolato-mitragliatrice. 
Molto impiegato alla fine della guerra, anche se senza risultati sensazionali, il tank sarà, come l’aeroplano, il protagonista dei conflitti futuri. 
Un’arma che è ancora oggi legata allo scenario della Grande Guerra furono gli aggressivi chimici. 
Utilizzati largamente da tutti i belligeranti, i gas potevano avere un effetto sia impedente, sia letale ed ebbero inizialmente una grande efficacia, anche per il loro devastante impatto psicologico. In seguito, tuttavia, si constatò che la dotazione di maschere protettive ai soldati, oltre all’azione del vento e dell’umidità riduceva molto l’efficacia delle sostanze. 
Benché sempre temibile, il gas non fu l’arma risolutiva della guerra e non sarà più così impiegata nei conflitti futuri.
Importante fu invece l’evoluzione delle comunicazioni militari, via radio o telefoniche, il cui sviluppo sarà poi fondamentale per lo sviluppo della futura idea di “guerra-lampo”.
 
di Antonio Salvatore