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Storia militare

Ottobre 1943, il passaggio delle truppe tedesche e alleate lungo la Valle del Tappino (seconda parte)

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[…]; Giuseppina Simonelli, frequentavo la terza elementare e all’uscita di scuola ricordo l’arrivo dei soldati tedeschi, rimasi sbalordita alla vista dei carri armati;  Giuseppe Iosue, arrivarono dal fiume Tappino e la cosa che mi è rimasta più impressa fu la presenza di due carri armati, uno venne posizionato in via Occidentale, l’altro tra Piazza del Piano e l’imbocco di via Marconi;  Diomede Ciaccia, ricordo che tra i primi mezzi tedeschi ad arrivare c’era un camion che trasportava un cannone, il quale venne posizionato nei pressi del Convento e da lì sparava verso Jelsi. Ricordo che questo cannone sostò a Toro un solo giorno; Olga Pietracatella, eravamo tutti terrorizzati tanto che venne fermato persino l’orologio da parete che avevamo in cucina per evitare che battesse le ore, così   da   evitare   qualsiasi   rumore in   casa.   E   ancora   sulla   permanenza   dei  tedeschi   in   paese: Giuseppina   Simonelli,  i   graduati   requisirono   la   casa   di   mio   zio,   il   sacerdote   Don  Giovanni Simonelli, utilizzandola come alloggio e dalla quale, al momento di andare via, sottrassero calici e altri oggetti sacri di valore. Ricordo che un giorno, armi in pugno, presero cinque ragazzi toresi e gli ordinarono   di   riempire   diverse   taniche   di  acqua   presso   il   pozzo   dei   Magno;  Giuseppe  Iosue, ricordo la continua e quotidiana richiesta di animali; Diomede Ciaccia, ricordo che la situazione era tranquilla e  serena,  infatti furono  organizzate  anche  delle  cene  con gli Ufficiali tedeschi  a  cui partecipavano mio padre, il Podestà, il Segretario Comunale, Don Achille Magno e l’Arciprete di Toro, il quale usando la lingua latina riusciva a fungere da interprete. Questo clima di dialogo venne bruscamente interrotto dai tedeschi al momento dell’arrivo di un nuovo Ufficiale, giunto in paese a bordo di un sidecar. Il 9 ottobre, con obbiettivo Gildone, due battaglioni della 3a Brigata di fanteria canadese avanzarono lungo la Statale 17: il primo Royal 22° Regiment prendendo la direzione di Jelsi raggiunse ed entrò nella cittadina di Riccia, ormai abbandonata dal nemico. Il giorno seguente, mentre i tedeschi su autorizzazione di Kesselring arretravano la linea difensiva di circa 7 chilometri, la  Compagnia  C del  West Nova Scotia, nel tentativo   di  superare   il   torrente   Carapello,  venne duramente impegnata dal fuoco proveniente da postazioni di mitragliatrici che causarono diverse vittime. La mattina  dell’11  ottobre vennero prese le alture  oltre  il torrente  e la cima  di  monte Gildone, da dove, una volta posizionate le proprie artiglierie, iniziarono i tiri verso Campobasso, trai vari edifici centrati ci furono la caserma dei Carabinieri, il convitto Mario Pagano e il Seminario Vescovile al cui interno venne colpito a morte il Vescovo della città, Monsignor Secondo Bologna. […]

di Antonio Salvatore

1861, l'esercito Italiano a Campobasso (seconda parte)

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Con la breccia di Porta Pia e quindi la presa di Roma da parte dell’Esercito Italiano, il 21 settembre 1870, venne considerato ufficialmente concluso il fenomeno del brigantaggio. La città di Campobasso, dal 1861 fino agli ultimi anni del diciannovesimo secolo, oltre ad essere stata sede del 36° Reggimento Fanteria (Brigata Pistoia), al comando del Col. Gustavo Mazè de la Roche, 1861-62, registrerà, tra i reparti militari impiegati nella lotta al brigantaggio e quelli utilizzati come truppe di presidio le presenze del: C.do della Sotto Zona Militare di Campobasso, C.do della Zona Militare di Campobasso, C.do delle Truppe nella Provincia di Campobasso, 5° Rgt. Fanteria, 29° Rgt. Fanteria, 37° Rgt. Fanteria, 45° Rgt. Fanteria, 50° Rgt. Fanteria, 55° Rgt. Fanteria, Rgt. Lancieri di Milano, Rgt. Lancieri di Montebello, 6° Rgt. Granatieri, distaccamento del 2° Rgt. Granatieri, Btg. della Divisione “Chieti”. A completezza dell’informazione precisiamo che l’altro centro molisano ad essere stato sede di un Reggimento dell’Esercito Italiano è la città di Isernia con il 45° Rgt. Fanteria (Brigata Reggio), 1862-1864. Ma dove furono alloggiati i numerosi soldati transitati nel capoluogo molisano? Tra gli edifici resi disponibili dalla “secolarizzazione” dei beni ecclesiastici, furono individuati e destinati ad acquartieramento di truppe militari: l’ex Convento di Santa Maria delle Grazie, l’ex Convento di Santa Maria dell’Annunziata detto della Pace e l’ex Chiesa della Trinità. Costruito nel 1510 per servire come infermeria a tutta la comunità monastica della provincia minoritica di S. Angelo del Gargano, l’ex Convento di Santa Maria delle Grazie, raso al suolo prima dal terremoto del 26 Luglio 1805 e soppresso poi nel 1809, fu destinato a Caserma nel 1810.
Contiguo alla Caserma chiamata “Delle Grazie” nel 1846 fu inaugurato l’Ospedale Civile e Militare. Legato al quartiere di “Santa Maria delle Grazie” risulta particolarmente interessante, ai fini di questa ricerca, il documento datato 29 Marzo 1896 con cui la Giunta Municipale di Campobasso autorizza il mandato di pagamento di Lire 700.85 occorse per soddisfare la richiesta di lavori per il: «riattamento del selciato delle due scuderie A. e B. del quartiere S. Maria delle Grazie».  Richiesta pervenuta dal Comando del 2° Reggimento “Granatieri di Sardegna”, Distaccamento di Campobasso. Citando il 2° Reggimento “Granatieri di Sardegna” non possiamo non ricordare la figura del compositore Giuseppe Manente, molisano d’adozione dal paese di Guglionesi, dove ancora oggi riposano le sue spoglie mortali. Costruito nel 1589 e più volte soppresso (1806, 1809, 1867), il Convento di Santa Maria dell’Annunziata detto della Pace, venne destinato ed adattato e destinato a Caserma militare dal 1809 al 1880. Durante la Prima Guerra Mondiale (1915-18), la chiesa della Pace fu di nuovo requisita per ospitarvi i prigionieri di guerra. Terminato il conflitto, fu trasformata in deposito per la benzina dal quale, il 21 Marzo 1922, si sviluppò un incendio che distrusse sia la chiesa che il Convento, causando la morte di tre persone.  Il tragico episodio, dal quale nacque poi un contenzioso tra l’autorità ecclesiastica e quella militare, risolto a favore della prima, portò alla restituzione di quello che rimaneva del complesso religioso al Vescovo Mons. Alberto Romita che, a sua volta, lo cedette ai Padri Cappuccini.  Il nuovo Tempio, dedicato al Sacro Cuore di Gesù, fu consacrato il 10 Ottobre 1931. Tra gli ex edifici religiosi trasformati in Caserme militari, il più importante e più volte oggetto di spinose e serrate trattative tra le autorità civili, religiose e militari è, sicuramente, quello della ex chiesa della Trinità.  Edificata nel 1504 e distrutta dal terremoto del 1805 la chiesa, dopo anni di difficili e tormentati lavori di ricostruzione, nel 1860 venne destinata ad alloggiamento di truppe regolari e deposito militare. 
Dopo circa quarant’anni, in cui l’ex edificio religioso diede albergo a migliaia di soldati italiani, il 31 Dicembre 1899 la chiesa fu riaperta al culto.  L’ultimo arresto nelle sue funzioni nell’esercizio del culto si registra durante la Grande Guerra, dove la Chiesa della Trinità fu adibita ad ospedale militare.  Nel 1927 la Chiesa della Trinità fu elevata a Cattedrale di Campobasso. Relativi alle vicende appena descritte risultano alcuni documenti, tra i quali: un documento del Consiglio Comunale di Campobasso, datato 27 Ottobre 1885, nel quale si dà comunicazione di due note, tra cui, quella del Tenete Generale Comandante della Divisione Militare di Chieti per il rinnovo del contratto per l’occupazione della Caserma della trinità: Il Presidente comunica al Consiglio una lettera del Comandante della Divisione Militare di Chieti in data 6 ottobre 1885 N° 4369, con la quale viene si giustificato a questo Municipio che il numero limitato dei militari attualmente acquartierati nella Caserma Trinità, dipende dal fatto che sono sotto le armi due sole Classi di Leva, ma quando con Novembre e Dicembre prossimo venturo sarà chiamata alle armi la Classe 1865, aumenterà la forza di questo Presidio e quindi la detta Caserma verrà occupata completamente. Ne sarebbe possibile riunire nel quartiere occupato dal Distretto le compagnie di Battaglione di Fanteria, non avendo il Distretto che i locali sufficienti per la chiamata delle Classi sotto le armi, eventualità non prevedibile a tempo fisso, ma che potrebbe succedere all’improvviso, ed è questo lo scopo pel quale a tutti i distretti sono assegnati locali esuberanti ai bisogni ordinari. Ne sarebbe conveniente sotto l’aspetto igienico, di discipline e di servizio, tenere senza una indeclinabile necessità la truppa permanentemente alloggiata in baracconi di legno. Per tali considerazioni il Sig. Comandante la Divisione Militare di Chieti dichiara non essere possibile dar corso favorevole alla richiesta di restituire a quest’Amm.ne Com.le il quartiere della Trinità.
Altro documento meritevole di attenzione è quello del Consiglio Comunale di Campobasso, datato 28 Novembre 1882, con il quale il Consiglio rinnova all’unanimità, per alzata di mano, al Genio Militare, il fitto dell’ex chiesa della Trinità per un ulteriore anno.  Il fitto, che ammontava a Lire 450, sarà l’ultimo stipulato e avrà la sua scadenza il 31 Dicembre 1893. Altresì interessante è, infine, un documento stilato dal Vescovo di Boiano, Mons. Francesco Maccarone, in data 26 Ottobre 1893, ed indirizzato al Prefetto della Provincia di Molise Comm. Luigi Vandiol, al quale il religioso chiese la restituzione della chiesa della Trinità: Campobasso aveva la sua chiesa intitolata alla SSma Trinità edificata nel centro della città, assai ampia e rispondente ai bisogni del popolo, ricostruita dal Comune dopo il terremoto del 1805 mediante dazio appositamente imposto sul pesce fresco e salato, dazio che si sta pagando dai cittadini di Campobasso dal 1825, e che in progresso di tempo è stato aumentato, massime poi al presente. Questo cespite di entrata è destinato unicamente alla chiesa, e non può essere altrimenti investito. Verso l’anno 1860 la chiesa in dissesto fu occupata dalle milizie mobili del Regio Esercito quivi convenute per la repressione del brigantaggio; ma cessato il bisogno, anziché restituirli al culto, continua a rimanere a disposizione dell’autorità militare la quale ne serve per pochi giorni all’anno in occasione della chiamata della leva, mentre per tale bisogno qualunque altro locale, agevole a trovarsi in detta città sarebbe acconcio. […] S. V. Illustrissima a trovar modo come provvedere altri locali per uso eventuali della truppa e contemporaneamente disporre che la chiesa della SSma Trinità mi sia nel più breve tempo possibile restituita libera e vuota: facendomi però salvo il diritto di prendere dal Comune l’adempimento dell’obbligo che esso ha di ripristinare al culto la detta chiesa mediante tutte le necessarie riparazioni occorrenti.
 
di Antonio Salvatore
 

Ottobre 1943, il passaggio delle truppe tedesche e alleate lungo la Valle del Tappino (prima parte)

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Sono trascorsi poco meno di ottant’anni da quel cupo ottobre 1943, quando anche il Molise fu attraversato dalla triste realtà della guerra, anche se, purtroppo, un amaro prologo già si era conosciuto con il tragico bombardamento alleato di Isernia il 10 settembre. Una delle direttrici strategiche per il passaggio delle truppe dell’8a Armata Britannica per la presa di Campobasso, fu la Valle del Tappino, infatti il 3 ottobre i tedeschi aprirono il fronte sul Fortore organizzandosi ad operare con la 29a Divisione Panzergranadier sulla direttrice Gambatesa-Campobasso per ostacolare l’avanzata nemica sul capoluogo. Nella notte tra il 5 ed il 6 ottobre, visti gli aspri combattimenti che si svolgevano lunga la costa a seguito dello sbarco alleato a Termoli, alla 3a Brigata canadese venne dato l’ordine perentorio di iniziare l’attraversamento del Fortore. Attraversamento che non si presentava facile per la distruzione del ponte “13 archi” e per il controllo della Valle del Tappino da parte di un battaglione del 15° Reggimento della 29a Divisione Panzergranadier. Il primo tentativo fu operato, senza successo, da una compagnia del Royal 22° Regiment, la quale fu respinta da un pesante fuoco nemico. La mattina del 7 ottobre alle ore 06.30, precedute dai i tiri dell’artiglieria del 66° Medium Regiment R.A., le compagnie d’assalto Carleton and York e quelle del battaglione West Nova Scotia, mossero par la cattura di Gambatesa e di Toppo Fornelli (altura nei pressi di Gambatesa). La battaglia fu cruenta e l’assalto fermato dall’accanita resistenza tedesca grazie all’apporto di due cannoni semoventi. Durante la notte però ai soldati tedeschi fu dato l’ordine dal proprio Comando di lasciare il paese e indietreggiare di qualche chilometro. Fu proprio il giorno 7 ottobre che reparti della 29a Divisione Panzergranadier in ritirata entrarono in Campodipietra, San Giovanni in Galdo e Toro, ecco alcune testimonianze: Nicola Rossodivita, ricordo che arrivarono dalla Fondovalle del Tappino in un giorno freddo e piovoso. Noi abitavamo in una delle prime case del paese e ricordo in maniera molto nitida che un soldato bussò alla nostra porta, era tutto bagnato e chiese qualcosa da mangiare, mio padre il quale parlava qualche parola di tedesco, in quanto era stato a lavorare come muratore in Germania, tra cui anche a Berchtesgaden nella villa di montagna di Hitler, il famoso Nido dell’Aquila, diede lui una pagnotta di pane, il soldato ricambiò regalandoci la sua cintura, che ho conservato per molti anni.

di Antonio Salvatore

1861, l'esercito italiano a Campobasso

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La presenza di reparti dell’Esercito Italiano a Campobasso ed in Molise risale, ovviamente, a partire dal 1861, anno della proclamazione dell’Unità d’Italia (17 Marzo 1861), allorquando, diversi contingenti militari vennero inviati nelle regioni meridionali d’Italia per combattere quel fenomeno che verrà definito “brigantaggio post unitario”, fenomeno che, ancora oggi, risulta essere una ferita non del tutto sanata o forse non del tutto pacatamente analizzata e studiata. Nato dalla fusione della “Armata Sarda” con gli altri eserciti operativi degli altri Stati preunitari, il Regio Esercito Italiano vide compiuta la sua denominazione il 4 Maggio 1861 con la nota n. 76 in cui il Ministro Manfredi Fanti: «rende noto a tutte le Autorità, Corpi ed uffici Militari che d’ora in poi il Regio Esercito dovrà prendere il nome di Esercito Italiano, rimanendo abolita l’antica denominazione di “Armata Sarda”». La presenza militare nel Meridione, all’indomani della proclamazione dell’Unità d’Italia, era di circa 20.000 uomini, costituenti il VI Corpo d’Armata che, al comando del Generale Giovanni Durando, erano per lo più schierati nella città di Napoli e nei capoluoghi di provincia. La delicata situazione politica internazionale suggeriva una forte presenza armata lungo il fiume Mincio, confine naturale con l’Impero Austro-Ungarico e, pertanto, questa situazione si rifletteva in una debole presenza dell’esercito nelle altre regioni italiane e soprattutto in quelle meridionali, la cui difesa era affidata principalmente alla Guardia Nazionale, che spesso risultava ancora male organizzata. La situazione nel Meridione però, era tutt’altro che tranquilla, infatti, ai problemi di natura economica, politica, sociale e non di meno militare, legato al non controllo di migliaia di soldati sbandati del disciolto esercito borbonico, si aggiunse l’introduzione da parte del Governo di nuove leggi e soprattutto nuove tasse molto gravose per le fasce più deboli della popolazione, rendendola così ancor più insofferente. Così, alle già operative formazioni armate nate come “reazione” nel 1860 si aggiungono, nel 1861, numerose bande, che non riconoscendo la legittimità e l’autorità del nuovo Governo Italiano, si scontrano ripetutamente con le truppe regolare e a cui seguì una risposta politico militare fortemente repressiva. Il fenomeno porterà ad una escalation di violenza che culminerà con la promulgazione di provvedimenti legislativi eccezionali e la proclamazione ovunque dello stato d’assedio. Nel 1863 per la “guerra” al brigantaggio saranno impiegati circa 120.000 uomini dell’Esercito Italiano di cui: 52 reggimenti di fanteria, 6 reggimenti granatieri, 5 reggimenti di cavalleria, 19 battaglioni di Bersaglieri, verrà rinforzata la Guardia Nazionale e aumentati i reparti di Carabinieri. Ovviamente, anche il Molise, tra le provincie meridionali fortemente filo borboniche, così come riportato dalla prima pagina di uno dei più importanti giornali dell’epoca: «Campobasso capoluogo della provincia di Molise, centro della reazione borbonica», sarà  teatro di violenze e scontri armati tra briganti e truppe regolari e dove non di rado si avvicenderanno “occupazioni” e “liberazioni” di borghi e paesi. La città di Campobasso, in qualità di capoluogo della Provincia di Molise e soprattutto come sede delle Carceri Giudiziarie, sarà testimone del passaggio di numerosi reparti militari che nella stessa città insedieranno la loro base logistica e di comando. Di particolare interesse sono le memorie di un giovane ed erudito ufficiale del 36° Reggimento Fanteria. Angiolo De Witt, a cui il 17 Luglio 1862 venne dato l’ordine di condurre a Campobasso circa 600 sbandati, come abbiamo visto così erano chiamati i soldati del disciolto Esercito Borbonico. Il De Witt così commenta: Cammina, cammina eravamo presso al termine della seconda ed ultima tappa, e   Campobasso, luogo della nostra nuova destinazione, si preannunziava a noi coi suoi vigneti e con i radi casini di campagna, che ci appari,vano e sparivano con tarda vicenda. Avvertimmo in lontananza un attruppamento di persone che ci veniva incontro, le vedette mi mandarono a dire per mezzo di un soldato, che venne a noi a passo di corsa, essere alle viste un distaccamento di truppa regolare, io supponi che cosa poteva essere, e fatto fare alto all'avanguardia, mandai un altro soldato al capitano per informarlo dell'incontro; infatti il grosso del battaglione in pochi minuti ci raggiunse per formare con noi una sola colonna su quattro righe. Dopo brevi istanti giunse al nostro orecchio il suono di una fanfara militare che si partiva da quel drappello, il quale pervenuto ad incontrarsi con noi riconoscemmo essere un mezzo battaglione del 36° nostro reggimento in testa al quale erano lo stesso colonnello e molti ufficiali. In mezzo degli evviva all'Italia ed al Re fu fatto delle due colonne una schiera sola, ed al suono della bella gi gu gi entrammo in Campobasso alle ore 7 di sera.[…] Pochi curiosi di quella città erano a vederci arrivare, e quei pochi ci dimostravano la più fredda indifferenza, eppure eravamo andati colaggiù per difendere le loro persone ed i loro averi molto pericolanti […]. Queste memorie ci restituiscono anche uno spaccato di come si presentava la città di Campobasso in quegli anni. Del resto, Campobasso è una città di circa diecimila anime, a sufficienza commerciale, e però provveduta di comodi alberghi, di caffè, e di vari fondachi, cose tutte, che rendono quel soggiorno preferibile a molte altre località del napoletano. Eranvi, in quell'epoca, un tribunale, una prefettura, una collegiata, molti conventi, un avanzo di fortilizio, ed un capace nonché ben costruito stabilimento penitenziario, munito di ponte levatojo, e di profondi fossi all'intorno, e diviso in quattro sezioni bastionate, dalle alte vette delle quali, con poche sentinelle potevansi sorvegliare tutte le aree esterne, dove allora si ammucchiava una folla di circa millecinquecento detenuti, fra briganti, manutengoli e reazionari. Dallo scritto di Angiolo De Witt infine, è rintracciabile anche l’aspetto sociologico, quasi “classista” degli Ufficiali dell’epoca infatti, nel raccontare un episodio accaduto a Colletorto tra una Compagnia di Fanteria e la popolazione locale, è interessante notare come l’autore epiteti con la parola “cafoni” gli abitanti del paese e utilizzi l’aggettivo “italiani” esclusivamente per i soldati.  Il colto Ufficiale però, non poteva immaginare che duemila anni prima, proprio gli avi di quei “cafoni” avevano dato vita e significato alla parola “Italia”. Con la breccia di Porta Pia e quindi la presa di Roma da parte dell’Esercito Italiano, il 21 settembre 1870, venne considerato ufficialmente concluso il fenomeno del brigantaggio.
 
di Antonio Salvatore
 

La Leva, la Reazione ed il miracolo di San Basso

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All'indomani della proclamazione dell'Unità d'Italia (17 marzo 1861), diverse fasce della popolazione dell'Italia meridionale iniziarono ad esprimere il proprio malcontento verso il processo di unificazione. La situazione nel Meridione era tutt'altro che tranquilla, ai problemi di natura  militare legati al non controllo di migliaia di soldati sbandati del disciolto esercito borbonico, si aggiungeva il costante peggioramento economico dei braccianti agricoli, parte consistente della popolazione meridionale, che, causa anche la privatizzazione delle terre demaniali a favore dei vecchi e nuovi proprietari terrieri, si trovarono a fronteggiare una situazione economica, se possibile, ancora peggiore rispetto al passato. Al quadro già esplosivo si aggiunse da parte del neonato Governo italiano l'introduzione della leva obbligatoria di massa, che depauperava di fatto la forza lavoro della classi meno abbienti. Così, alle già operative formazioni armate nate come “reazione” nel 1860, nacquero nel 1861  numerose altre bande, che non riconoscendo la legittimità e l'autorità costituita, si scontrarono ripetutamente con le truppe regolari e a cui seguì una risposta politico-militare fortemente repressiva. Il fenomeno porterà ad una escalation di violenza che culminerà con la promulgazione di provvedimenti legislativi eccezionali e la proclamazione dovunque dello stato d'assedio. Nel 1863 per la “guerra” al brigantaggio saranno impiegati circa 120.00 uomini dell'Esercito Italiano, di cui: 52 reggimenti di fanteria, 6 reggimenti granatieri, 5 reggimenti di cavalleria, 19 battaglioni bersaglieri, rinforzata la Guardia Nazionale, aumentati i reparti di Carabinieri. Ovviamente, anche il Molise, tra le provincie meridionali più fortemente filo borboniche, sarà teatro di violenze e scontri armati tra briganti e truppe regolari e dove non di rado si avvicenderanno “occupazioni” e “liberazioni” di borghi e paesi. L'organizzazione militare del territorio meridionale era articolata in 5 comandi di divisione territoriale e 38 comandi provinciali e di distretto, per la direzione e la responsabilità dell'ordine e della sicurezza pubblica, tramite le quali le autorità amministrative e giudiziarie si servirono per eseguire sentenza di tribunali, riscuotere tributi e ripristinare l'osservanza della legge. Tale articolazione però non risultava sufficiente, tanto da far costituire nelle province più turbolente una apposita organizzazione operativa, articolata in Zone Militari, indipendente e sovrapposta a quella territoriale, con il compito della distruzione della bande brigantesche. In ciascuna delle suddette Zone Militari fu realizzata una rete di presidi fissi nei centri maggiori, con colonne mobili per il controllo delle campagne, inoltre un'aliquota delle forze fu destinata a servizi di presidio e di scorta a diligenze, corrieri postali, autorità civili e militari, la parte rimanente, ripartita in distaccamenti e colonne mobili, provvedeva quotidianamente alla perlustrazione del territorio. Nella provincia di Molise fu istituita la Zona Militare di Campobasso, a Termoli, luogo di svolgimento del nostro "miracolo" era operativa la colonna mobile del 26° Battaglione del 4° Reggimento Bersaglieri. È in questo drammatico quadro tinteggiato dai colori della violenza, della ribellione e soprattutto della povertà, che si staglia il teatrale episodio perpetrato da alcuni marinai di Termoli il giorno 24 settembre 1862, allorquando, facendo credere che S. Basso (Protettore di Termoli) avesse fatto un miracolo, volendo con ciò spiegare che i colpiti nella Leva Militare di Marina non dovessero obbedire alla chiamata di leva, richiamarono al suono delle campane il popolo termolese all'interno della Cattedrale, aizzandoli, aiutati anche da "spontanei" sermoni declamati da alcuni chierici compiacenti, contro la forza pubblica in una improvvisata e mal riuscita forma di Reazione.

di Antonio Salvatore