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Storia militare

Storia del Distretto Militare di Campobasso (prima parte)

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Con il Regio Decreto del 13 Novembre 1870, che prevedeva il riordinamento della Organizzazione Territoriale del Regno e che sopprimeva di fatto i 69 Comandi Militari provinciali e i numerosi Comandi di Piazza, nascevano, in applicazione delle disposizioni emanate dal Ministro della Guerra Cesare Ricotti, i 45 Comandi del Distretto Militare (numero che salì a 62 nel 1861), ai quali vennero affidate le operazioni relative al reclutamento, alla mobilitazione, all’istruzione delle classi di leva e di congiunzione tra l’istituzione militare ed il territorio.
Ovviamente fondamentale è stato da sempre il ruolo dei Distretti Militari circa l’alimentazione dei quadri della truppa, almeno fino al 2005, anno della sospensione della leva obbligatoria.
Contrariamente all’esempio degli eserciti Tedesco, Francese e Britannico, dove i Reggimenti o Battaglioni (con più forza durante la Prima Guerra Mondiale) erano provenienti dalla stessa zona di reclutamento, quello italiano, ritenuto uno dei più importanti se non il più importante, crogiolo per sviluppare negli italiani un unico sentimento nazionale e forse, anche per separare soldati e popolazione civile in eventuali azioni repressive, era alimentato, indipendentemente dal nome della brigata, da uomini provenienti da diverse regioni d’Italia. 
Per i reparti alpini invece, fu previsto il reclutamento locale, in quanto era indispensabile, in caso di emergenza alle frontiere, avere l’immediata disponibilità di uomini reclutabili in zona.
Nel quadro organizzativo connesso a questo riordino è legata la nascita, nel 1871, del Distretto Militare di Campobasso, a cui venne assegnato il numero 46°, al comando del Col. Pietro Sery (01.11.1871 – 01.11.1875), a quella data però, Campobasso non possedeva, come abbiamo visto, una vera e propria caserma, tant’è che per i primi dieci anni il Distretto Militare venne contenuto nell’ex Convento di Santa Maria delle Grazie prima e nel Convento dell’Annunziata poi.
La necessità di costruire un edificio adeguato alle esigenze funzionali del Distretto Militare si certificano già in una Sessione straordinaria del Consiglio Provinciale di Molise [....] 
 
di Antonio Salvatore
 

Campobasso, il monumento a Gabriele Pepe

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Le gesta dell’eroe furono così luminose che il desiderio dei molisani di renderle immortali fece sì che, negli ultimi anni del 1800, nascesse un comitato allo scopo di far erigere, nella città di Campobasso, un monumento a lui dedicato. Nel 1903, questo grande desiderio della popolazione, ricevette una decisiva accelerazione a causa del fortissimo sdegno, che si propagò per tutto il Molise, per la scandalosa profanazione della tomba del Pepe da parte dell’arciprete (non molisano) di Civitacampomarano, il quale fece buttare i mortali resti del Generale, in un volgare ed anonimo immondezzaio. Come autore della scultura fu scelto il calabrese Francesco Jerace (1853 – 1937), con il quale, il 2 Aprile 1912, fu stipulato il contratto per la realizzazione dell’opera e ne fissava l’inaugurazione per l’estate del 1913 ed il prezzo in lire 29.000 (più lire 2.600 per palmario). Tra le spese occorse per la realizzazione dell’opera, ricordiamo quella di lire 2.000 erogata dai Sigg. Guerriero e Tucci per l’esecuzione della ringhiera.
Invece, tra le tantissime somme incassate, riportiamo le più sostanziose:
- Ministero dell’Interno (contributo dello Stato) Lire 20.000
- Provincia di Campobasso Lire  4.000
- Municipio di Campobasso Lire  2.000
- da vendita biglietti conferenze letterarie Lire 955,15
- Municipio di Civitacampomarano Lire 500
- Società Campobassana di New York Lire 440
- Somma da tempo giacente destinata ad un monumento ai Martiri di Castelpetroso e stornata a pro del monumento a G. Pepe Lire 403,45
Totale somme incassate: Lire 37.321,20; totale somme spese: Lire 37.321,20.
Il 27 Luglio 1913, con l’illustre presenza di Emanuele Filiberto di Savoia Duca d’Aosta, per espresso incarico del Re Vittorio Emanuele III, che lo volle come suo rappresentante, il monumento al Generale Gabriele Pepe fu scoperto, tra i fragorosi applausi e la commozione generale, quindi, il Sen. Francesco D’Ovidio lesse il primo di una lunga serie di discorsi. Tra le numerosissime autorità presenti quella mattina a Campobasso  si ricordano: il Ministro della Guerra Gen. Spingardi, con il Col. Montasini; il Vice Presidente della Camera dei Deputati On. Carcano con i segretari On. Baslini e On. De Amicis; il Segretario del Senato On. Prampero; i sette Deputati del Molise, On. Cannavina, On. Cimorelli, On. Leone, On. Magliano, On. Mosca, On. Pietravalle, On. Spetrino: il Com. del VII Corpo d’Armata di Ancona, Gen. Barattieri; il Com. della Divisione di Chieti, Col. Amenduni; il Comandante della Legione dei Carabinieri oltre ad una nutrita schiera di Ufficiali e di soldati. Inoltre le autorità cittadine, i rappresentanti dei Comuni della Provincia e rappresentanti delle scuole e delle società locali. La cerimonia d’inaugurazione del monumento al Ge. Gabriele Pepe ebbe talmente risalto che la notizia fu riportata anche dal famoso giornale “La Tribuna Illustrata”, che nell’Agosto del 1913 così scriveva: Il giorno 28 si è solennemente inaugurato a Campobasso il monumento al generale Gabriele Pepe, opera dello scultore Jerace. Delle nostre fotografie quella di sinistra rappresenta l’arrivo del Duca di Aosta, del Ministro della Guerra e delle altre Autorità alla piazza ove si svolse la cerimonia; la incisione di destra  rievoca invece il momento dello scoprimento della bella opera monumentale. E’ curioso notare, come la data di inaugurazione del monumento riportata nell’articolo sia  errata (“28” anziché  “27”).  Al termine della cerimonia, il corteo delle Autorità, con a capo il Duca d’Aosta, percorrendo il Corso Vittorio Emanuele III raggiunse la Caserma “Gen. Pepe” per presenziare ad una ulteriore inaugurazione, quella della lapide in memoria del S. Ten. Vittorio Verdone, Medaglia d’Oro al valor militare, ancora oggi presente sulla facciata dell’edificio militare.
 
di Antonio Salvatore
 

Il Gen. Gabriele Pepe (seconda parte)

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L’affronto non poteva avere altro epilogo se non un duello, che si svolse il 19 Febbraio del 1826 fuori porta San Frediano a Firenze. Così, dalla lettera scritta da Gabriele Pepe al fratello il 21 Marzo 1826: 
Forse ti è noto che un tale Lamartine pubblicò l’anno scorso una sua poesia,  in cui versava vituperi a piene mani sull’Italia. […] il Governo Granducale,  per i riguardi debiti a un diplomatico francese, non concedea il permesso della stampa. In questo stato di cosa uscissi il mio Cenno, ed uscì sol perché la zampata data  al poeta dell’Ultimo Canto di Childe Harold passò inosservata dalla Censura. […] Alcuni giorni dopo della pubblicazione, Lamartine mi scrive chiedendo se  il verso di Omero, da me citato sul suo conto, era stato vibrato alla sua poesia o alla sua persona […]. A questa prima lettera successe un’altra, in cui rinnovava la richiesta, ed io rinnovai la negativa. Finalmente in una terza mi domandò un abboccamento. Non potendomi rifiutare gli feci sapere che io ero reperibile in mia casa ogni giorno fino all’una pomeridiana. Venne gli infatti il dì 13 febbraio: lo ricevei con la tutta possibile cortesia; […] Tratta vasi con un francese, il quale aveva dipinto come assassini, buoni a dar solo pugnalate di notte a tradimento. Bisognava dunque fargli vedere col fatto che gli italiani sono più cavalieri dei francesi […]. Venne dunque Lamartine, e mi chiese a voce quella spiegazione. Gli dissi che avendola due volte rifiutata per iscritto, gli inspirerei poca buona idea dandola oralmente. Allora mi aggiunse che si vedeva costretto a richiedermela con le armi in  mano. A questa proposizione risposi che io ero sempre ai suoi ordini. Voleva egli battersi in quel giorno stesso, mi rifiutai, poiché andava esso al quanto zoppo per essere caduto da cavallo giorni innanzi. Io non mi misurerò con voi, aggiunsi, se non quando sarete perfettamente sano e padrone del completo esercizio di tutte le vostre membra […]e  risolvemmo di misurarci la mattina del 19 prima delle 11. Gli dissi l’imbarazzo del padrino e che a me non conveniva compromettere chicchessia. Il vostro, soggiunsi, sarà anche il mio. […] Lamartine volle assolutamente un quarto. Sceglietemelo voi stesso dunque, ed io l’avrò come se fosse scelto da me medesimo.  Mi nominò allora e fece chiamare un tale Villemill che io non punto   conosceva e che  vidi per la prima volta. Eccomi dunque un po’ troppo azzardosamente solo fra tre incogniti; fra tre non italiani, […] solo e senza aver neppure la spilla della camicia per arme. Ti dico questa circostanza perché è stata quella che ha fatto gran senso a tutti,  a italiani e forestieri.I due secondi armati con pistola, ed avevano due spade. Queste non si travavan uguali; e perciò volevasi estrarre a sorte a chi spettasse la  più lunga. Ma il tuo fratello, nel presentargli le sorti, le strappa ambedue dalle mani di  Villemille; chiede la più corta, la prende e si mette in guardia. Dopo secondi di dibattimento, l’avversario aveva stoccata al braccio destro. Chiestogli se fosse pago e risposto che lo era, buttai la spada e gli fasciai la ferita col mio fazzoletto. Ciò fatto rientrammo in città […].  Ma già la Polizia sapeva tutto: […] mi intimò gli arresti nella mia stessa abitazione […]. In un momento si sparse la nuova per Firenze con tutti i particolari; e tutta Firenze  prese caldissima parte per me. Molti signori toscani, quasi tutti i Ministri Esteri, tutta la Legazione francese, e molti forestieri di distinzione s’impegnarono in mio favore pregando il Governo onde non mi facesse la menoma molestia. Le circostanze del non aver voluto compromettere alcuno dei miei compatriotti, dell’essermi affidato solo fra tre incogniti e della scelta della spada più corta, stordivano tutti. Lo stesso ambasciatore di Francia, il Marchese La Maisonfort, mi mandò la sua carrozza facendomi sapere che era essa a mia disposizione per condurmi in casa sua come luogo di sicurezza, qualora mi si volesse imprigionare o cacciare […]. Siamo risultati amici con Lamartine. […] che egli in seguito dell’affare ha pubblicato un foglietto di nobilissimo disinganno sul conto dell’Italia.
L’aver difeso con tanta fierezza l’onore dell’Italia e l’aver dibattuto in duello fulgida lealtà cavalleresca sarà considerato tra i primi bagliori di quella nuova aurora risorgimentale che si staglierà scintillante nei cieli d’Italia. Nel 1836 rientrò a Napoli, in seguito gli fu conferito il grado di Generale con l’incarico di Comandante della Guardia Nazionale. Il soldato, scrittore, politico e soprattutto patriota Gabriele Pepe morì nella sua Civitacampomarano il 26 Luglio 1849.
 
di Antonio Salvatore
 

Il Gen. Gabriele Pepe (prima parte)

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Soldato, scrittore, politico, Gabriele Pepe è sicuramente tra i personaggi più illustri della storia del Molise e non solo. Nato a Civitacampomarano in provincia di Campobasso il 7 Dicembre 1779, Gabriele Pepe rappresenta ancora oggi un luminoso esempio della grandezza e del coraggio di un molisano che già si sentiva italiano. La sua vita avventurosa, costellata da numerosi fatti d’arme, ha inizio allorquando, abbracciata la causa repubblicana tra le fila della Legione Sannita fu condannato a morte, (pena commutata per la sua giovane età nell’esilio perpetuo) all’indomani della restaurazione della monarchia borbonica. Con l’arrivo dell’Esercito Napoleonico si arruolò nella Legione Italiana, ma anche questa volta la sua fiamma repubblicana fu spenta nel 1801 con l’ennesima restaurazione dei Borbone. Lasciato il servizio militare nel 1802, fu richiamato da Giuseppe Napoleone nei quadri del 1° Reggimento con il grado di Primo Tenente nel 1806 ed impiegato nella repressione del primo brigantaggio. Nel 1808, con i gradi di Capitano, farà parte del Corpo dell’Esercito nella spedizione di Spagna, dove verrà insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine delle Due Sicilie. Negli anni successivi, con i gradi di capo Battaglione partecipò, nel 1815, alla campagna delle Marche e Romagna e con quelli di Colonnello, in seguito al richiamo di Ferdinando I,  gli vennero affidati i seguenti incarichi: nel 1818 il comando della provincia di Capitanata, nel 1819 in Calabria e nel 1920 il 6° Reggimento Cavalleggeri con sede a Siracusa. Nel 1820 la vita di Gabriele Pepe prende una svolta decisiva, infatti, a seguito della promulgazione della Costituzione del 7 Luglio, il Col. Pepe verrà eletto, per la sua Regione, come Deputato al Parlamento del regno di Napoli. Purtroppo, il suo mandato elettorale durò meno di un anno,  infatti, il 23 Marzo 1821, con l’ingresso a Napoli delle truppe austriache, la Costituzione venne abolita e il Pepe condannato all’esilio perpetuo, prima a Brunn, in Moravia, poi a Firenze dove, come vedremo, il patriota molisano scriverà una tra le pagine  più belle di orgoglio patrio.
Dunque, esiliato nella città toscana, dove viveva in totale ristrettezza economica, riuscì comunque frequentare gli ambienti culturali fiorentini, all’interno dei quali la sua fama divenne immortale anche per il duello ingaggiato, prima sul filo di un pennino, poi su quello della spada, con il segretario della delegazione francese in Toscana, il poeta Alphonse De Lamartine.
L’oggetto del contendere fu una rima scritta nell’”Ultimo canto del pellegrinaggio di Aroldo”, dove il francese definì gli italiani «de la poussière humaine», indicando l’Italia come «la terra dei morti».
All’offesa del francese, il Pepe rispose con un articolo pubblicato nelle colonne del “Cenno”, opuscolo divulgato nel Granducato di Toscana: […] di tale goffaggine sarebbe stato capace solo un poetastro come quel rimatore dell’Ultimo Canto di Childe Harold, il quale si sforza […] di supplire all’estro ond’è vacuo ed ai concetti degni dell’estro, con baie contro l’Italia, che chiameremmo ingiurie, ove, come diceva Diomede, i colpi dei  fiacchi e degli imbelli potessero mai ferire […].
 
di Antonio Salvatore
 

Nazario Sauro e il Molise (seconda parte)

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Come ti sei ritrovato a vivere in un piccolo borgo molisano come San Giovanni in Galdo? 
A causa e del mio lavoro ho passato lungo tempo della mia vita in giro per il mondo, una volta in pensione e soprattutto grazie al matrimonio di mia figlia Alessandra con Luca Milano, figlio del Dott. Giuseppe Milano di San Giovanni in Galdo, ho scoperto questo tranquillo paesino molisano, dove, dal 2014 oramai vivo stabilmente.
Cosa ti raccontavano a casa delle gesta di tua nonno Nazario Sauro?
A dir la verità non se parlava spesso a casa, era soprattutto quando andavamo a Venezia da mia nonna Nina (Caterina Steffè) che mi raccontava di nonno Nazario:
«Caro Nina,
non posso che chiederti perdono per averti lasciato con i nostri cinque bimbi ancora col latte sulle labbra; e so quanto dovrai lottare e patire per portarli e lasciarli sulla buona strada, che li farà proseguire su quella di suo padre: ma non mi resta a dir altro, che io muoio contento di aver fatto soltanto il mio dovere d'italiano. Siate pur felici, che la mia felicità è soltanto quella che gli italiani hanno saputo e voluto fare il loro dovere. Cara consorte, insegna ai nostri figli che il loro padre fu prima italiano, poi padre e poi uomo. Nazario.»
Di contro, ricordo, anche con qualche insofferenza, quando da piccolo, unitamente a mio cugino, Enrico Toti, eravamo "costretti" dall'altra nonna, Emma Toti Lombardozzi, a partecipare con lei a tutte le feste e ricorrenze militari a cui era invitata a partecipare.
Insomma sei diventato esperto di cerimonie militari?
Come dicevo, da piccolo ho "dovuto" presenziare a tantisssime cerimonie, però da grande ce ne sono due che ricordo con particolare emozione, il varo a Monfalcone (GO) il 12 marzo  1967 del sottomarino Enrico Toti, di cui ho conservato il collo di bottiglia (capostipite della classe Toti, attualmente è esposto al Museo della scienza e della tecnologia di Milano) e il varo sempre a Monfalcone (GO) il 09 ottobre 1976 del sottomarino Nazario Sauro (capostipite della prima serie della classe Sauro, attualmente è una nave museo ormeggiato nel porto antico di Genova).
Quindi sei un marinaio mancato?
Diciamo che non sono molto portato ad indossare una divisa, l'unica che ho indossato è stata quella durante l'anno di leva come S. Ten di complemento nell'Aeronautica Militare.
Non ti nascondo che l'aver scelto di indossare una divisa di color blu e non bianca, ha fatto storcere la bocca a più di qualche persone in famiglia.
Il tuo cognome ti ha consentito di conoscere anche tante persone?
In effetti ho avuto modo di conoscere diverse persone importanti, tra cui Giulio Andreotti, Alcide De Gasperi e Rodolfo Graziani, di quest'ultimo mio padre ne fu Aiutante di Campo in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale, e in seguito ne curò tutta l'organizzazione difensiva durante il cosiddetto “Processo Graziani”.
Quale eredità morale ti ha trasmesso la consapevolezza di essere il nipote di Nazario Sauro?
Credo la più grande, lottare per la libertà. Ricordo ancora quando da ragazzino partecipai nel novembre del 1953 alle manifestazioni per Trieste Libera, che vennero duramente represse a suon di manganellate dalla Polizia civile alle dipendenze del Governo Militare Alleato, e poi ricordo con lucida memoria quando da studente universitario presso la Facoltà di Architettura di Roma, partecipai nel marzo del 1968 alla “battaglia” di Valle Giulia. Stavamo vivendo il famoso '68.
 
Il pomeriggio volge al termine, una stretta di mano e una promessa di risederci ancora allo stesso tavolino. 
A seguito di una piccola indagine da me condotta sulla toponomastica di San Giovanni in Galdo, ho constatato che non esiste nessuna strada/piazza o luogo pubblico dedicato all'Eroe italiano Nazario Sauro.
Alla luce di quanto appena appreso, sarebbe a dir poco interessante, nonché lungimirante, pensare ad una futura dedicazione.
 
di Antonio Salvatore