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Creato Martedì, 31 Agosto 2021 18:49
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Ultima modifica il Martedì, 31 Agosto 2021 18:51
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Pubblicato Martedì, 31 Agosto 2021 18:49
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Di questo periodo di estrema confusione sappiamo che, il XII Battaglione d’Istruzione si dissolse l’8 Settembre, ma soprattutto sappiamo, grazie a due importantissime testimonianze, una del Dicembre 1943: […] ancora una volta egli si diresse verso la linea del fuoco, ma nei pressi di Isernia la solita polizia lo acciuffò e lo portò al Distretto militare di Campobasso perché venisse arruolato nell'esercito badogliano […] ; ed una del 1945, allorquando il Governo Militare Alleato (A.M.G.) autorizzò la chiamata alle armi di soldati di leva della c.l. 1925: La tardiva chiamata per il servizio di leva militare mi venne notificata dalla stazione dei carabinieri di Venafro al principio del mese di febbraio 1945. Essendo stato distrutto il tronco ferroviario, il giorno della partenza, gli Alleati fecero affluire a Venafro diversi camion militari americani guidati da soldati di colore. I camion erano scoperti e privi di sedili. Per conto del Distretto Militare di Campobasso (occupato dalle forze Alleate) venimmo sistemati provvisoriamente nell’edificio della ex G.I.L. con all’interno abbondante paglia per riposare della continuità dell’operato del Distretto Militare di Campobasso, sotto la direzione Alleata. Tutto passa e tutto passò, anche la guerra, ma non prima, almeno in questo scritto, di ricordare molto brevemente, un avvenimento storico, ai più purtroppo poco conosciuto, e che ebbe vita proprio in Molise. Era il 31 Marzo 1944 quando, il 1° Raggruppamento Italiano Motorizzato, con l’azione condotta vittoriosamente sul Monte Marrone, restituì fiducia e credibilità all’Esercito Italiano, segnandone la rinascita.
Il Comandante, Generale Umberto Utili, che seguì le operazioni dal Palazzo “Battiloro” di Scapoli (IS), così scriveva nel suo primo Ordine del Giorno: Ragazzi in piedi perché questa è l’aurora di un giorno migliore!
di Antonio Salvatore
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Creato Lunedì, 19 Luglio 2021 10:43
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Ultima modifica il Lunedì, 19 Luglio 2021 11:07
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Pubblicato Lunedì, 19 Luglio 2021 10:43
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In quei giorni di estrema confusione e di fame, la Caserma “G. Pepe” subì il suo primo sfregio, nei giorni 8 e 9 Settembre, la popolazione campobassana, con il favore di un caporale e due soldati tedeschi, assaltò la caserma, razziando viveri, vestiario e suppellettili varie. Gli stessi tedeschi, inoltre, sotto l’occhio attento di una cinepresa che filmava la scena, per poi propagandare di come aiutassero gli italiani, dalle finestre dell’ultimo piano, buttarono in strada coperte ed indumenti.
Le truppe alleate, nel frattempo risalivano celermente la penisola senza incontrare, fino a quel momento, grandi difficoltà.
Fu proprio la conformazione geografica del Molise che permise ai tedeschi di approntare in un primo momento tre linee difensive “ritardatrici” (Viktor, Barbara, Bernhard), al fine di rallentare la marcia avversaria, poi, per formare, lungo la catena montuosa delle Mainarde, la prima grande linea difensiva sul suolo italiano, la “Linea Gustav”, per sbarrare la strada all’avanzata alleata. Il Molise, che già assaggiò il sapore della guerra con il bombardamento di Isernia del 10 Settembre e lo sbarco a Termoli, il 3 ottobre, delle Brigate speciali inglesi, fu la porta d’ingresso per l’8a Armata Britannica.
Nella notte tra il 5 e il 6 Ottobre, le forze della 3a Brigata Canadese, ricevettero l’ordine di iniziare immediatamente gli sforzi per l’attraversamento del Fortore, partiva così la fase delle operazioni per la presa di Campobasso.
Le operazioni, rese difficili per la distruzione del ponte 13 Archi da parte da parte dei genieri tedeschi, vide una prima fallimentare azione da parte del “Royal 22° Regiment”, respinto da un Battaglione del 15° Reggimento della 29a Divisione Panzegranadier.
L’attacco successivo, preceduto da un intenso fuoco di artiglieria, vide protagoniste le compagnie d’assalto del “Carleton and York” e quelle del Battaglione “Wst Nova Scotia”, che mossero direttamente verso l’abitato di Gambatesa. Con l’occupazione di Gambatesa e l’arretramento delle forze tedesche, si apriva, attraverso la valle del tappino, la strada verso Campobasso.
Alle ore 9:20 del 14 ottobre, sotto una sottile pioggerellina, i Royal Canadien Regiment, tra due ali di folla festante, entrarono in Campobasso. La città venne prima resa sicura, posizionando sulle sue alture postazioni di artiglieria contraerea e poi trasformata nella sua toponomastica, venne così ribattezzata “Canada Town”.
Purtroppo i guasti alla città, prodotti dai genieri tedeschi, risultarono ingenti.
Le truppe germaniche, ormai in ritirata presso la “Linea Gustav” per rallentare l’avanzata nemica, distrussero la linea ferroviaria Campobasso-Isernia, l’ufficio postale, il gasometro, tutti i mulini della città, e diedero alle fiamme la Caserma “G. Pepe”, procurando ingenti danni.
di Antonio Salvatore
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Creato Lunedì, 14 Giugno 2021 14:35
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Ultima modifica il Lunedì, 14 Giugno 2021 14:35
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Pubblicato Lunedì, 14 Giugno 2021 14:35
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Intanto il fragore dello scoppio si era udito anche a Toro, tanto che mamma Pasqualina e la nuora Maria nel mentre si riscaldavano vicino al camino di casa in calata San Rocco, furono scosse dal rumore proveniente dalla canna fumaria. Non so come ma la notizia della tragedia si diffuse in paese immediatamente. Non potrò mai dimenticare la disperazione di mamma Pasqualina quando arrivò in C.da Ripitella. Dopo qualche ora il corpo di Mercurio venne adagiato sopra dei fasci di erba e cinto sul dorso di un asinello per il mesto ritorno verso Toro. Di li a poco il copioso flusso dei compaesani per rendere omaggio al bambino. Infine, ricordo un episodio ancora molto vivo nella mia memoria: dopo qualche giorno mamma Pasqualina andò nella masseria per far mangiare le mucche ma non riusciva a trovare la chiave del locale dove era riposto il foraggio, ancora straziata dalla sofferenza invocò ad alta voce l’aiuto del figlio, ma assalita dal dolore cadde in un improvviso sonno durante il quale il piccolo Mercurio gli indicò il posto preciso dove cercare la chiave. Quando si svegliò subito cercò nel posto indicato, la chiave era esattamente lì. Precisamente un anno dopo il 29 marzo 1945 nacque il mio primogenito e primo nipote della famiglia Iacobucci, il suo nome fu Mercurio». Abbiamo voluto fortemente rivivere questa dolorosa vicenda, affinché il ricordo del piccolo Mercurio non si perda nell’oblio della memoria.
di Antonio Salvatore
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Creato Venerdì, 28 Maggio 2021 13:58
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Ultima modifica il Venerdì, 28 Maggio 2021 14:01
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Pubblicato Venerdì, 28 Maggio 2021 13:58
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La storia di Mercurio Iacobucci ha inizio il 07 ottobre 1943 durante il passaggio delle truppe tedesche in ritirata verso Campodipietra, Toro e San Giovanni in Galdo. I soldati germanici durante la loro marcia lasciano (se in maniera involontaria o meno, purtroppo non lo sapremo mai) nel podere della famiglia Iacobucci (che si trova a ridosso della strada) un micidiale ordigno attivo. Ordigno che cinque mesi dopo si rivelerà letale per il piccolo Mercurio. Mercurio nel marzo del 1944 ha solo 12 anni, sta pascolando spensieratamente le sue pecore, vede nell’erba un oggetto strano, forse lo scambia per un gioco, si ferma, lo raccoglie, si avvicina ad una pietra, accosta il torace alla pietra per imprimere più forza, impugna con decisione lo strano gioco, lo batte con forza sulla pietra. e… Per non dimenticare questa dolorosa pagina della storia di Toro, abbiamo chiesto alla Sig.ra Incoronata Rossodivita, moglie di Pasquale Iacobucci, fratello di Mercurio, di rivivere quei tragici momenti e raccontarci quell’amaro giorno di settant’anni fa: «faceva molto freddo quel pomeriggio del 28 marzo 1944, Santuccio e Mercurio raccomandati in mattinata da papà Giovannantonio andarono alla masseria in C.da Ripitella per accudire gli animali, Santuccio si occupò delle mucche, mentre Mercurio decise di pascolare le pecore. Ad un tratto uno scoppio fortissimo, Mercurio era morto. La prima persona ad accorrere fu Angelo Fracasso, subito dopo arrivai io ma fui fermata dallo stesso, il quale non mi permise di avvicinarmi. Ricordo ancora il sangue, la giacca che copriva il corpo e i frammenti della bomba, una specie di barattolino con dei fori al cui interno c’era un rocchetto con un filo. Nel frattempo arrivò anche papà Giovannantonio che rientrato da Campobasso era passato per dare un’occhiata ai figli.
di Antonio Salvatore
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Creato Lunedì, 10 Maggio 2021 17:46
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Ultima modifica il Lunedì, 10 Maggio 2021 18:17
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Pubblicato Lunedì, 10 Maggio 2021 17:46
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In questo turbinio di eventi, condito da incertezza, paura, stanchezza e soprattutto voglia di rinascita, è quanto mai interessante la lettura di tre documenti, due cartoline ed un racconto di memorie, riguardanti tre allievi del XII Battaglione d’Istruzione di Campobasso. Nelle due cartoline è chiaramente riscontrabile come, già prima della caduta del Fascismo, quella incrollabile “voglia di vittoria” e ferrea disciplina erano venute meno, anzi, si denota stanchezza e addirittura sfumature di scherno nei riguardi delle Autorità. La prima cartolina, datata 9 Aprile 1943: Faccio progressi. Sono stato consegnato per altri 10 giorni. Motivo: mangiava durante l’istruzione. Sto molto bene. Baci a tutti Raffaele. La seconda cartolina, datata 23 Maggio 1943: Io spero che quando riceverai la presente mi avrai di già spedito il vaglia, in caso contrario ti supplico di farlo subito telegrafico, tu non puoi immaginare quanto si soffre quando si sta per intere settimane senza un soldo. Scrivi presto e a lungo. Baci, Arcangelo. Di assoluto interesse storico riveste il terzo documento, uno scritto di Enzo Santarelli, dove possiamo rilevare che proprio all’interno della Caserma “G. Pepe”, si attuarono le prime forme di “resistenza passiva” dei militari italiani nei confronti del Regime Fascista: All’ inizio del’43 partii con altre reclute, per una prima destinazione meridionale. Indossammo la divisa e ci fu ordinato di cucire le mostrine in una caserma di Chieti, proseguimmo quindi per Campobasso, dove era dislocato il XII Battaglione Istruzione.[…] Ebbe inizio così la nostra carriera di allievi ufficiali di fanteria. […] La grande caserma di Campobasso, quadrata e su due piani, in cui si sarebbe svolta la nostra vita per qualche mese, era adiacente alla piazza Vittorio Emanuele, al centro della parte moderna della città. Fra i giardini e il corso si svolgeva il passeggio delle ore libere; […] Il Molise aveva dato i natali a Gabriele Pepe, […] e un monumento lo ricordava. A quella statua un piccolo gruppo di noi soldati, allievi ufficiali dell’ultima leva del regime, avrebbe fatto riferimento poco più avanti nel disegno di un’insurrezione o rivolta militare soltanto immaginata e rimasta senza traccia. L’istruzione non era certo eccellente: marce fuori città, nella zona di Ripalimosani all’incrocio di un tratturo, primitive ed elementari simulazioni di “avvicinamento” al nemico, esercizi di tiro in un rustico poligono immerso nella campagna. La solita disciplina formale non arricchiva e nemmeno attutiva la noia di quel provvisorio soggiorno. Tuttavia, affiorava tra noi la tra trama di incontri fra gruppi di amici e corregionali, che si andava svolgendo nell’ambito dei singoli reparti. […] Il passare del tempo e gli eventi sui fronti di guerra – la ritirata dall’Africa, lo sbarco in Sicilia; il bombardamento di Roma – intensificarono le nostre reazioni. A una di queste notizie (nel reparto c’era polemica fra il nostro disfattismo e la prudenza degli altri) ricordo che alcuni di noi si abbracciarono sull’alto di una collina in una pausa delle esercitazioni, come segno di gioia per la conferma che ci veniva dai fatti…Una Sera innalzammo in camera un improvviso catafalco per celebrare la resa dell’armata italiana in Tunisia. […] Al piano terra della caserma erano comparse scritte allusivamente antifascista, e inneggianti alla libertà, che suscitarono un vespaio. Quando, per la ricorrenza del 24 maggio, fummo radunati in piazza, con altri pezzi della cittadinanza, ad ascoltare il federale di Campobasso, consistenti grange del nostro battaglione ne seguirono il discorso sdraiandosi provocatoriamente a terra. La prima domenica di giugno fummo convocati nel cortile della caserma per ascoltare un giovane ufficiale (forse tenete Bertolla, un docente universitario di Vicenza) che seppe muoversi sul filo del rasoio parlando dello Statuto del Regno, ma in modo trasparente e senza retorica. […] Il seme che si era formato nella fronda di Campobasso stava dando qualche esile frutto.
di Antonio Salvatore