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Lo Yemen, gli Houthis e gli altri.
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- Creato Mercoledì, 24 Novembre 2010 11:00
- Ultima modifica il Mercoledì, 07 Novembre 2012 20:58
- Pubblicato Domenica, 28 Novembre 2010 14:00
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LONDRA. La geografia e il clima spesso interpretano alla perfezione le caratteristiche geopolitiche di un paese. Un po’ come quando la foschia copre i picchi delle sue taglienti montagne, lo Yemen passa in secondo piano sulla scena internazionale fino a quando un inquietante evento non ne richiama l’attenzione.
La Repubblica Unita dello Yemen, l’unica con una simile forma di governo nella penisola araba, è politicamente frammentata ed economicamente provata. Tra le sue aguzze montagne e gli aridi deserti vivono quasi ventiquattro milioni di persone.
L’AQAP (Al-Qaeda in the Arabian Peninsula) si descrive come il difensore della popolazione yemenita contro l’intromissione Americana nel paese. Forti contraddizioni e contrasti d’ogni genere sono all’ordine del giorno.
La storia, ancora una volta, può aiutarci a chiarire molti aspetti: lo Yemen, originariamente, era geograficamente diviso in due parti – il nord e il sud.
La parte settentrionale, sottomessa all’Impero Ottomano fino al 1918, divenne indipendente solo con i primi cenni della caduta di quest’ultimo (avvenuta nel 1922). Prese così vita il Regno Mutawakkilita dello Yemen.
Una seconda rivoluzione, questa volta appoggiata dal presidente dell’Egitto Gamal Abdel Nasser, avvenne nel 1962 con la presa della città più importante, San’a, che verrà poi istituita capitale della Repubblica Araba dello Yemen.
Solo la Siria e l’Egitto, facenti parte della Repubblica Araba Unita (RAU), supportarono l’appena nata Repubblica Yemenita. L’Arabia Saudita ed altri paesi, invece, si schierarono a favore dell’antica monarchia. Queste due opposte posizioni generarono uno scontro ideologico, ed economico, che s’inasprì con gli anni, sfociando in una vera e propria guerra civile che perdurò fino al 1967. E’ solo nel 1970, infatti, che l’Arabia Saudita riconobbe la Repubblica Yemenita come tale.
In maniera diversa, lo Yemen del sud fu colonizzato dall’Impero Britannico sin dalla seconda metà dell’Ottocento, ma nel 1967 quest’ultimo, osteggiato da forze rivoluzionarie interne, si ritirò, lasciando spazio all’emergente partito comunista. Ed è proprio questo cambiamento che permise l’instaurazione nel 1970 della nuova Repubblica Democratica dello Yemen. Un regime comunista popolare che, riunendo tutte le fazioni sotto il Partito Socialista Yemenita, strinse contatti con la Cina, l’Unione Sovietica e Cuba.
Nel 1990, dopo aver governato per dodici anni (1978-1990) nel nord della Repubblica Araba, Abdallah Saleh riuscì in un’epocale impresa: sfruttando il declino sempre più imminente dell’Unione Sovietica, unì lo Yemen del Nord a quello del Sud nella Repubblica Unita dello Yemen.
Si guardi ai dati storici fin qui elencati e si cerchi ora di comprendere quale sia lo stato attuale di un paese unitosi solo vent’anni fa. Ancora oggi uno tra i paesi più poveri del mondo arabo, lo Yemen risente di forti pressioni interne: nel nord, precisamente nell’area di Sa’dah, al confine con l’Arabia Saudita, vi sono gli Houthis, un gruppo ribelle di 10.000 soldati sciiti-Zaidisti (una branca dello sciismo) che devotamente segue le orme del suo leader, Hussein Badreddin al-Houthi, venuto a mancare nel 2004.
Ancor più importante, inoltre, sembra essere il sentimento etnico-religioso al quale gli Houthis sono legati. Il governo yemenita segue una politica filo-americana e accusa il gruppo ribelle sciita di supportare il governo Iraniano, a sua volta per la maggior parte sciita. Il Capo di Stato, Saleh, ha stretto una forte collaborazione con l’America nella “guerra al terrore” per combattere Al-Qaida. Un’alleanza che Saleh e il suo debole governo hanno dovuto pagare a caro prezzo: pare di capire che nell’ultimo mese Al-Qaida abbia ucciso settanta tra soldati e poliziotti.
Difficile dunque per l’intera comunità internazionale riuscire a intuire se al-Qaida stia effettivamente cercando di impadronirsi con il terrore di importanti punti strategici nello Yemen o se si tratti di scontri tra i diversi gruppi armati. A sud di Sa’dah, vi è la capitale San’a. Da qui si dirama la geopolitica interna. Il governo deve far fronte non solo alle continue sommosse da parte degli Houthis, ma anche alle aree circostanti indicate come roccaforti di al-Qaida.
La vastissima area che si espande a sud e sud-est del paese, dove i moti secessionisti comunisti continuano ininterrottamente, è anch’essa teatro di diversi scontri tra le forze rivoluzionarie e l’esercito Yemenita. Oltre alle infiltrazioni di pirati somali, facilitate dalla presenza del Golfo di Aden nell’Oceano Indiano, lo Yemen paga al sud i movimenti riconducibili al fondamentalismo islamico. Così come nella parte occidentale del paese (e quella circostante la capitale, San’a), anche nel sud al-Qaida opera indisturbata.
Non ci si deve dimenticare, infatti, che Osama Bin Laden è originario di Wadi Dawan, una valle deserta nello Yemen centrale. Non lontanissimo dalla città famosa per i suoi palazzi fatti da mattoni di fango, sorge, sempre nella zona meridionale secessionista del paese, la presunta base d’addestramento di al-Qaida.
Dunque, se gli Houthis, come appare, risultano essere un gruppo sovversivo ed anarchico, difficilmente domabile visto il loro estremo attaccamento allo sciismo, la galassia sunnita fondamentalista di al-Qaida sembra celare, in realtà, molti più pericoli. Non sarà, infatti, un gruppo in continua rivoluzione con il quale è difficoltoso trattare, ma, comunque, nasconde un’organizzazione ben strutturata con un organismo terroristico assai più elaborato.
Quale dei due metodi sia peggiore, se una continua serie d’attacchi disordinati o degli attentati scrupolosamente studiati, è incerto. Cosa è certo, invece, è che né gli Houthis, né al-Qaida porteranno lo Yemen ad una situazione politicamente ed economicamente stabile.
Se è vero, quindi, che gli Houthis sono legati e supportano il governo Iraniano, con il quale è storicamente difficile scendere a compromessi -forse proprio in virtù della loro fede sciita-, allora il governo Yemenita dovrà concentrare le sue attenzioni sul gruppo ribelle Zaidista più di quanto avesse mai pensato.
di Giulio Gambino (The Post Internazionale)
Poco più di 20 milioni di euro i fondi assegnati al Ministero della Difesa per il 2010
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- Creato Mercoledì, 20 Ottobre 2010 15:00
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Documento allegato:Nota aggiuntiva allo stato di previsione per l'anno 2010
fonte: Redazione
L'oro dei pazzi
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- Creato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:31
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- Pubblicato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:31
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Il prestito del Poyais ancora oggi resta il solo prestito di un paese immaginario collocato sul mercato azionario di Londra. |
Tutto cominicò nel 1821 quando il cacicco di Poyais, un piccolo territorio al confine dell’attuale Nicaragua, giunse a Londra. Nella City riuscì a collocare 600000 sterline di prestito poayesiano, con un dividendo del 6 per cento, grazie alla collaborazione di Sir John Perring, l’ex sindaco di Londra. Il successo fu straordinario e le obbligazioni salirono sul mercato oltre il prezzo di collocamento. Ma quando nel 1823 duecento colonizzatori furono spediti verso la capitale del Poyais, invece di trovare una ricca città, soffrirono la fame ed il freddo e molti morirono. Solo cinquanta colonizzatori, alla fine, riuscirono a tornare in Gran Bretagna, ma il cacicco era fuggito in Francia con la sua famiglia, portando con sé i proventi delle obbligazioni.
di Antonio Simeone
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L'ANALISI - Continuiamo ad essere dei conquistadores
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- Creato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:23
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- Pubblicato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:23
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Crediamo che i politici dei paesi emergenti siano dei pazzi. |
Ma non è così, infatti quando la crisi finanziaria colpi l’Asia nella fine degli anni ’90 le politiche di quei paesi furono l’opposto di quelle adottate dagli Usa nei periodi di forte recessione, infatti, per inverso, si aumentavano i tassi di interesse, piuttosto che diminuirli cercando di alimentare una probabile ripresa. I vari politici conoscevano le varie teorie macroeconomiche di Keynes per fronteggiare la crisi ma non potevano attuarle perché non erano loro a decidere il da farsi ma il Fondo Monetario Internazionale, che consigliò all’economie di questi paesi misure fortemente antipopolari, contro la crescita, aumentando le tasse e alzando i tassi di interesse. Il tracollo fu inevitabile. Il Fondo Monetario Internazionale si aspettava in questo modo che gli investitori esteri avrebbero lasciato i mezzi monetari nei paesi asiatici ma questo non successe e la crisi fece piazza pulita dei sogni di prosperità del popolo asiatico.
di Antonio Simeone
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Etica, di questo ha bisogno la finanza
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- Creato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:18
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- Pubblicato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:18
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La società di rating Fitch ha abbassato la valutazione del debito pubblico della Spagna e della Grecia e così le borse sono crollate nuovamente. |
Papandreu, il primo ministro della Grecia, ha dichiarato che per la prima volta dal 1974 è a rischio la sovranità del paese e si è detto pronto a riportare il deficit al 3 % nel 2012. Il debito pubblico greco , però, ad oggi risulta essere superiore al 12 %, se Papandreu riuscisse nel suo intento Achille e Ulisse non sarebbero tanto più eroici di lui.
di Antonio Simeone
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Il virus della crisi
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- Creato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:13
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- Pubblicato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:13
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Con il termine carry trade ci si riferisce ad una delle tante strategie di investimento che si possono realizzare sui mercati finanziari internazionali. |
Carry trade significa prendere a prestito capitali di una data valuta per investire gli stessi in strumenti finanziari e in beni reali denominati in altre valute e che abbiano un rendimento superiore al costo del finanziamento. Questo fa maturare un profitto che è dato dalla differenza tra il rendimento dell' investimento e il costo del finanziamento. L'operazione di carry trade è profittevole se le valute scelte godano di un rapporto più o meno stabile nel tempo e soprattutto nel periodo che va dal momento in cui viene acceso il prestito e in quello dove viene restituito, altrimenti le eventuali perdite di cambio ridurrebbero o annullerebbero i guadagni realizzati.Negli ultimi dieci anni è risultato conveniente indebitarsi in yen, in quanto la Banca centrale del Giappone ha ridotto i tassi di interesse al minimo e ha contestualmente cercato di aumentare la quantità monetaria e per effetto di questa politica lo yen si è addirittura deprezzato rispetto alle altre valute. L'indebolimento è stato determinato dal fatto che l'indebitamento in yen porta a vendere questa moneta ed è stata continuamente venduta contro l'acquisto di un'altra valuta.
di Antonio Simeone
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Il perché dei fondi sovrani
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- Creato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:02
- Ultima modifica il Mercoledì, 07 Novembre 2012 20:57
- Pubblicato Sabato, 02 Ottobre 2010 13:02
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Perché paesi in via di sviluppo piuttosto che aumentare le loro riserve creano dei fondi, cosiddetti sovrani?
E perché la Cic ( China Investment Corporation), il fondo sovrano del governo cinese ha ritenuto opportuno investire in banche e multinazionali americane, anche perdendoci? E perché continua a farlo? C'è, altresì, da chiedersi se i fondi sovrani sono uno strumento politico più che finanziario. A queste domande cercheremo di rispondere e partiamo proprio dalla crisi che sta fronteggiando l'intero mondo finanziario.
La Cina, anche se in parte, è l'artefice della crisi, in quanto, il surplus commerciale derivante dalle maggiori esportazioni non è stato utilizzato come di consueto a rivalutare la valuta ma ha preso la strada del fondo, ovvero, è entrata a far parte del fondo sovrano cinese. Ora con lo yuan (la valuta cinese) che è rimasta costante, anche i prodotti esportati sono rimasti più convenienti e questo ha favorito l'abbassamento dell'indice di inflazione negli Usa, conseguentemente i tassi di interesse si sono abbassati e la domanda di mutui cresciuta in modo esponenziale, e poi il boom.
Nel 2008 il surplus commerciale cinese ha reso circa 2000 miliardi di dollari, 1300 dei quali sono stati destinati all'investimento negli Stati Uniti.
Un fondo sovrano è un insieme di mezzi monetari, finanziari e non controllati da un Governo che investe le suddette attività per perseguire un profitto a lungo termine. Uno studio condotto dalla Fondazione Eni E.M. Ha affermato, però, che i due terzi dei fondi presi a campione presentavano rendimenti negativi in media del -18.17% e i dati sono usciti prima che la crisi facesse il suo corso.
Il timore di molti economisti è che i suddetti Governi utilizzino il fondo sovrano per acquistare, controllare o gestire, aziende e non ritenute di interesse strategico e non per acquisire un profitto o un rendimento importante. I fondi sono, tuttora, in continua crescita e ad oggi una ventina di questi gestiscono circa 3 trilioni di dollari, i pessimisti credono che le guerre si inizieranno a fare prima nel campo finanziario e poi sul campo di battaglia, ma questa è solo un'opinione e anche difficile da condividere, basti pensare che i suddetti fondi hanno contribuito a contenere la crisi ed è anche grazie a loro che molti giganti non sono caduti. Certo, il tema è piuttosto nebuloso e l'affermazione di Geo Xiquing, Ceo del fondo sovrano cinese non ci schiarisce le idee: "Faremo del nostro meglio, ma tenete presente che in Cina la trasparenza non è considerata un problema da almeno 5000 anni". Allora, se lo dice lui, possiamo dormire sonni tranquilli. O sbaglio?
di Antonio Simeone