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Storia del Distretto Militare di Campobasso (decima parte)

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In questo turbinio di eventi, condito da incertezza, paura, stanchezza e soprattutto voglia di rinascita, è quanto mai interessante la lettura di tre documenti, due cartoline ed un racconto di memorie, riguardanti tre allievi del XII Battaglione d’Istruzione di Campobasso. Nelle due cartoline è chiaramente riscontrabile come, già prima della caduta del Fascismo, quella incrollabile “voglia di vittoria” e ferrea disciplina erano venute meno, anzi, si denota stanchezza e addirittura sfumature di scherno nei riguardi delle Autorità. La prima cartolina, datata 9 Aprile 1943: Faccio progressi. Sono stato consegnato per altri 10 giorni. Motivo: mangiava durante l’istruzione. Sto molto bene. Baci a tutti Raffaele. La seconda cartolina, datata 23 Maggio 1943: Io   spero  che  quando  riceverai   la  presente   mi  avrai  di  già   spedito   il  vaglia,  in  caso contrario ti supplico di farlo subito telegrafico, tu non puoi immaginare quanto si soffre quando   si   sta   per   intere   settimane   senza   un   soldo.   Scrivi   presto   e   a   lungo.   Baci, Arcangelo. Di assoluto interesse storico riveste il terzo documento, uno scritto di Enzo Santarelli, dove possiamo rilevare che proprio all’interno della Caserma “G. Pepe”, si attuarono le prime forme di “resistenza passiva” dei militari italiani nei confronti del Regime Fascista: All’   inizio   del’43   partii   con   altre   reclute,   per  una   prima   destinazione   meridionale. Indossammo la divisa e ci fu ordinato di cucire le mostrine in una caserma di Chieti, proseguimmo quindi per Campobasso, dove era dislocato il XII Battaglione Istruzione.[…] Ebbe inizio così la nostra carriera di allievi ufficiali di fanteria. […] La grande caserma di Campobasso, quadrata e su due piani, in cui si sarebbe svolta la nostra vita per qualche mese, era adiacente alla piazza Vittorio Emanuele, al centro della parte moderna della città. Fra i giardini e il corso si svolgeva il passeggio delle ore libere; […] Il Molise aveva dato i natali a Gabriele Pepe, […] e un monumento lo ricordava. A quella statua un piccolo gruppo di noi soldati, allievi ufficiali dell’ultima leva del regime, avrebbe fatto riferimento poco più avanti nel disegno  di un’insurrezione o rivolta militare soltanto immaginata e rimasta senza traccia. L’istruzione non era certo eccellente: marce fuori città, nella zona di Ripalimosani  all’incrocio  di un tratturo, primitive ed elementari simulazioni di “avvicinamento” al nemico, esercizi di tiro in un rustico poligono immerso nella campagna. La solita disciplina formale non arricchiva e nemmeno attutiva la noia di quel provvisorio soggiorno. Tuttavia, affiorava tra noi la tra trama di incontri fra gruppi di amici e corregionali, che si andava svolgendo nell’ambito dei singoli reparti. […] Il passare del tempo   e   gli   eventi   sui   fronti   di   guerra   –   la   ritirata   dall’Africa,   lo   sbarco   in   Sicilia;   il bombardamento di Roma – intensificarono le nostre reazioni. A una di queste notizie (nel reparto c’era polemica fra il nostro disfattismo e la prudenza degli altri) ricordo che alcuni di noi si abbracciarono sull’alto di una collina in una pausa delle esercitazioni, come segno di gioia per la conferma che ci veniva dai fatti…Una Sera innalzammo in camera un improvviso catafalco per celebrare   la   resa   dell’armata   italiana   in   Tunisia.   […]  Al   piano   terra   della   caserma   erano comparse scritte allusivamente antifascista, e inneggianti alla libertà, che suscitarono un vespaio. Quando,   per   la   ricorrenza   del   24   maggio,   fummo  radunati   in   piazza,   con   altri   pezzi   della cittadinanza, ad ascoltare il federale di Campobasso, consistenti grange del nostro battaglione ne seguirono il discorso sdraiandosi provocatoriamente a terra. La prima domenica di giugno fummo convocati nel cortile della caserma per ascoltare un giovane ufficiale (forse tenete Bertolla, un docente universitario di Vicenza) che seppe muoversi sul filo del rasoio parlando dello Statuto del Regno, ma in modo trasparente e senza retorica. […] Il seme che si era formato nella fronda di Campobasso stava dando  qualche esile frutto.
 
di Antonio Salvatore