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Zero Calcare in mostra a Milano
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- Creato Mercoledì, 14 Dicembre 2022 19:24
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- Pubblicato Mercoledì, 14 Dicembre 2022 19:24
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Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado. La storia di Mario Francese
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- Creato Mercoledì, 14 Dicembre 2022 18:53
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- Pubblicato Mercoledì, 14 Dicembre 2022 18:53
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Francese incominciò la carriera come telescriventista dell’ANSA, successivamente cominciò a collaborare come giornalista e scrisse per il quotidiano La Sicilia di Catania. Nel 1958 venne assunto dall’ufficio stampa dell’assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Siciliana e il 30 ottobre dello stesso anno sposò Maria Sagona, con la quale ebbe quattro figli, Giulio, Fabio, Massimo e Giuseppe. Nel frattempo intraprese una collaborazione con il Giornale di Sicilia di Palermo. Nel 1968 si licenziò dalla Regione per lavorare a tempo pieno al giornale, dove si occupò della cronaca giudiziaria, entrando in contatto con gli scottanti temi del fenomeno mafioso. Divenuto giornalista professionista si occupò della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi del 1969 a Bari, dell’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e fu l’unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella. Nelle sue inchieste entrò profondamente nell’analisi dell’organizzazione mafiosa, delle sue spaccature, delle famiglie e dei capi, specie di quella corleonese legata a Luciano Liggio e Totò Riina. Fu un fervente sostenitore dell’ipotesi che quello di Cosimo Cristina fosse un assassinio di mafia. Un certo costruttore, don Peppino Garda, presunto “boss” di Monreale, vendette frettolosamente molti degli edifici, costruiti in via Sciuti in società con Peppino Quartuccio, e si ritirò in eremitaggio. Dalla vendita degli edifici si ricavarono circa cento milioni e questi soldi furono reinvestiti in un latifondo nei pressi del Lago Garcia. Il Garda realizza così un progetto che, nel giro di dieci anni, avrebbe fatto intascare ai clan quasi un terzo dei 17 miliardi stanziati dallo Stato per la costruzione della ”faraonica” diga. Così quando nel 1975, approvato il progetto dell’opera, cominciano le procedure per gli espropri, don Peppino e compagni vanno all’incasso: per i terreni pagati complessivamente due miliardi di lire, con i soldi della Cassa del Mezzogiorno ai nuovi e antichi proprietari, in tutto 240 possidenti, ne incassano diciassette, denaro che in gran parte finisce nelle casseforti mafiose in piccolissima parte agli altri proprietari e agli affittuari. Uno sfregio anche all’impegno di Danilo Dolci, che per la costruzione delle dighe si era battuto. L’affare però non riguarda solo i terreni, ci sono tanti altri soldi da agguantare: subappalti, forniture di cemento, pietrame e quant’altro, posti di lavoro da distribuire, mezzi meccanici da affittare. Un intreccio di appetiti che lascia sul suolo una dozzina di morti e una scia di attentati. Francese indaga, annota e scrive sul Giornale di Sicilia, dove è cronista giudiziario, quel che accade nel territorio, facendo nomi e cognomi; è il primo a farlo ed è ancora il primo a rivelare l’ascesa dei Corleonesi e a chiamare “commissione” il vertice della cupola. Collega anche alcuni morti ammazzati alla guerra nelle cave e uno dei primi delitti eccellenti quello del colonnello Giuseppe Russo nel 1977 a Ficuzza, a controversie per i subappalti. Francese paga con la vita, ad appena 54 anni, il suo coraggio e il suo fiuto di cronista. La sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato a colpi di pistola a Palermo da Leoluca Bagarella, davanti a casa sua. Per il suo omicidio sono stati condannati: Totò Riina, Leoluca Bagarella (che sarebbe stato l’esecutore materiale del delitto), Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano. Le motivazioni della condanna nella sentenza d’appello furono: «Il movente dell’omicidio Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni ‘70. Il 3 settembre 2002 si suicidò il figlio trentaseienne Giuseppe, che per anni si era dedicato a inchieste sulla ricostruzione dell’omicidio del padre.
di Cristel Russo
9 novembre 1989-2022, l'anniversario del crollo del muro di Berlino
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Zio Paperone e Walt Disney
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L'autunno caldo e freddo
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In vista dell’autunno, del riscaldamento e dell’aumento delle bollette, l’ex primo ministro del Cremlino Medvedev, si è espresso mandando saluti caldi all’Europa dicendo che il prezzo del gas potrebbe aumentare fino a 5.000 euro a metro cubo. Ovviamente c’è stata una dichiarazione importante anche dal lato occidentale che potrebbe essere anche considerata più allarmante di tutte, cioè quella della candidata alla leadership conservatrice britannica Liz Truss. Quest’ultima ha dichiarato di essere pronta a premere il pulsante nucleare se necessario in caso di elezione alla carica di primo ministro. A proposito di nucleare, dopo 5 mesi dal primo bombardamento della centrale di Zaporizhzhia, c’è il rischio che i reattori di 3° generazione non resistano a missili o colpi d’artiglieria. Fortunatamente la IAEA (agenzia internazionale per l’energia atomica) ha inviato una squadra di tecnici incaricata di impedire un disastro nucleare. Ovviamente i 14 ispettori, tra cui l’italiano Massimo Aparo, sapevano dell’arduo compito e infatti sono stati bloccati a 20 km dalla centrale dai russi. Quest’ultimi hanno subito contrattacchi pesanti da parte dei loro nemici, in particolare quelli più recenti, come lo sfondamento delle prime linee verso Kherson, il bombardamento del quartier generale della flotta russa nel Mar Nero e il bombardamento di una base aerea in Crimea. La Crimea inoltre è la terra più contesa, infatti il presidente Zelensky, ha detto che la guerra finirà con la riconquista della stessa. Il presidente turco Erdogan, il principale mediatore tra le due parti, ha respinto l’annessione illegale di questa “mega piattaforma” nel Mar Nero, chiedendone a Mosca la restituzione, e sostenendo l’integrità territoriale dell’Ucraina, ritenendolo un requisito del diritto internazionale. Come precitato gli ucraini contrattaccano su entrambi i fronti, grazie a dei sistemi d’artiglieria conosciuti e potentissimi, gli M-142 HIMARS. Gli HIMARS sono progettati per distruggere bersagli conr una gittata di 80 km, e gli ucraini li utilizzano non solo per indebolire le postazioni russe ma anche i rifornimenti. Vista la loro potenza e la loro precisione i russi vogliono assicurarsi la loro distruzione, ma secondo fonti britanniche, gli ucraini camuffano camion “esca” normali come sistemi di lanciatori multipli in legno, lasciando coperti i veri sistemi in modo da far sprecare ai russi missili da crociera costosissimi Kalibr, 20 impiegati fino ad ora.
di Michele Pio Tremonte
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