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Storia militare

I messaggi di cordoglio per Montini (quarta parte)

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 Di seguito, i messaggi pervenuti dalle Autorità civili locali:
 
Messaggio del R. Provveditore agli studi di Campobasso al Sindaco di Campodipietra, datato 30 luglio 1915:
 
«Prego V.S. di comunicare l’espressione delle mie vive condoglianze al maestro Antonio Montini per la morte del figliuolo Leopoldo. Nel dolore inesorabile che ha vinto il suo cuore di padre, gli sia di conforto e d’orgoglio l’ammirazione e la gratitudine che tutti dobbiamo ai caduti sul campo, ove l’Italia sta combattendo la sua più grande battaglia per la civiltà e per la nazionalità. Con osservanza. 
Il R. Provveditore O. Rossi»
 
Messaggio del R. Ispettore Scolastico, datato 31 luglio 1915:
 
«CARO MONTINI
È con animo profondamente commosso che io esprimo a Lei ed a tutti di famiglia le vive condoglianze per la perdita del valoroso suo figlio, che, combattendo ai confini d’Italia, ha immolato la giovinezza, la cultura, il cuore nobile e generoso alla maggiore grandezza della Patria. Ella sia orgogliosa di tanto sacrificio e pensi che il nome del suo caro, scritto ormai a caratteri d’oro nel nostro cuore, splende di fulgida luce nel cielo costellato d’Italia, ove si assommano tutte le virtù, tutte le speranze, tutti i palpiti della nuova vita italiana. 
Cordialmente: R. Ispettore Scolastico M. Scolpini» 
 
Messaggio del Pretore del Mandamento, datato 31 luglio 1915:
 
«MIO OTTIMO MONTINI
Dite pure che tardi io adempio ad un obbligo. Non mi sentivo, né mi sento di darvi conforto. Non ve ne è, e nessuno ve lo può dare. Così sentii nella mia sventura. Solo Iddio, solo la sacra memoria di chi perdeste, solo il pensiero degli altri figli che di voi hanno bisogno, vi potranno lontanamente rassegnare.
E credetemi: Il Pretore P. Campanelli»
 
Messaggio del Prefetto della Provincia al Sindaco di Campodipietra, datato 01 agosto 1915:
 
«Prego porgere famiglia Montini espressioni mie profonde condoglianze per fine gloriosa eroico suo figlio. Il Prefetto Bellini»
 
Telegramma del Presidente del Consiglio Provinciale del Molise, datato 9 agosto 1915:
 
«Consiglio provinciale sua prima tornata ricordando oggi con infinita mestizia ma con legittimo orgoglio largo tributo che giovinezza molisana consacrava novelle fortune nazione, salutava con vivo rimpianto nostri eroici caduti deliberando loro imperitura iscrizione in una lapide che ne perpetui memoria benedetta. Gradisca intanto Vossignoria così provata nella perdita suo valoroso congiunto reverente affettuoso pensiero questa assemblea. Presidente Pietravalle» 
 
Messaggio dall’Amministrazione Scolastica della Provincia di Campobasso, datato 28 agosto 1915:
 
«Il Consiglio Provinciale Scolastico nell’adunanza del 13 corr. m., nell’inviare un mesto reverente saluto alla memoria degli eroi che fecero olocausto della loro balda giovinezza sull’altare della Patria, m’incaricava d’esprimere a V.S. le più vive condoglianze dell’On. Consesso per il lutto che ha colpito la sua famiglia».
Nel significare a V.S. i sensi dell’On. Consiglio Scolastico, aggiungo le mie personali espressioni di cordoglio. 
Con osservanza: Il R. Provveditore O. Rossi»
 
di Antonio Salvatore
 

I messaggi di cordoglio per Montini (terza parte)

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Lettera del Tenente Matteo Caputo del 14° Rgt. Fanteria, che fu testimone oculare della morte di Leopoldo, datata 5 marzo 1916:
 
«SIGNOR MONTINI
...scrive di Lui, dal momento che ebbi il piacere e la fortuna di conoscerlo, mi sembra troppo arduo; perdoni perciò se mi limito a ricordare le gloriose sue gesta dei momenti più critici, nei quali ha saputo dar prova di quel coraggio, che ad alcuni è sembrato temerarietà, e delle virtù più spiccate, che l’avevano precocemente fatto uomo dal cuore nobile, perfetto soldato, amico di tutti, compagno raro. Subalterni a Foggia nella stessa Compagnia, presto i comuni sentimenti si rivelarono e diventammo compagni indivisibili, tanto, senza esaltazione, da esserne geloso che superiori ed eguali lo amassero al pari di me; - diventavo mesto, quando non potevo averlo vicino per esigenze di servizio o altro. Il Capitano ci chiamava i due fratelli. Fu penosa la rassegnazione quando, partito per Pescina in soccorso dei danneggiati del terremoto, non potetti seguirlo. Colà fu esempio di lavoratore instancabile, animato da grande spirito di sacrificio, gli immensi disagi non abbassarono mai il suo morale, e ciò valse a procurargli l’adorazione degli inferiori e gli elogi dei Superiori; - così mi raccontava l’amato allora Capitano Rizzo. Tornato a casa in congedo, non smisi di chiedergli sempre sue nuove. Così venni a sapere della sua andata a Parma, dove sostenne gli esami ad effettivo, riuscendo, in pochissimi giorni di preparazione, ad ottenere quel successo, che è stato immancabile sempre in tutte le cose sue. L’intelligenza, la pervicacia non comune gli avevano ormai tracciato un avvenire invidiabile; - prematuro invece è stato l’apogeo della sua gloria. Dichiarata la guerra, vi entrò col 13° Fanteria, del quale sebbene poco tempo facesse parte, perché presto ritornò fra noi, seppe pure in un primo e pericoloso scontro col nemico (si trovò tra due fuochi) dimostrare coraggio e sapienza tale, da meritare l’ambito encomio. Il suo Capitano del 13° un giorno che c’incontrammo mi manifestò la grande ammirazione per il caro Leopoldo; - poco tempo dopo fu una festa per noi leggendo sull’ordine del giorno la sua assegnazione al 14°. È inutile accennare che ritornò all’8° Compagnia ancora comandata dal Sig. Capitano Rizzo. Per il cimento provava come un senso di voluttà, si seccava che il Battaglione fosse in seconda linea, e, destinato dal Colonnello al carreggio, subordinatamente riuscì a non andarci; - anelava, potrei dire, la prima linea dove sentiva che la sua presenza era necessaria. E fu così! Dopo vari giorni di attesa, il 4 Luglio 1915 al Battaglione venne ordinato l’attacco alle colline di Selz, abilmente difese. I reticolati infatti, ostacolo formidabile, delineatisi in tutta la loro estensione, contribuirono alla non riuscita della prova per quel giorno. Intanto non si poteva rinunziare, si doveva riattaccare; e venuti nella decisione di agevolare l’attacco con l’apertura di varchi nei reticolati, fu l’operazione rimandata al domani. A tale impresa si offrì Leopoldo. Quando con la caratteristica sua calma e fermezza dette gli ordini ai pochi uomini che formavano la squadra dei così detti portatori di tubi, s’incamminò sereno verso la meta. Il sole già alto e cocente non adatto per quelle operazioni servì per dimostrare ai nemici, abituati a combattere all’oscuro, come abilmente e coraggiosamente in pieno giorno Leopoldo sapesse sfidare il sicuro fuoco. Non è possibile descrivere l’emozione provata quando i primi colpi sorpresero la squadra nel momento in cui stava collocando i tubi sotto i reticolati. Si era quasi perduta la speranza della riuscita; ma sotto la ferma volontà di Leopoldo gli eroici portatori non si mossero; - intuì l’ordine dato allorché vidi i portatori strisciare verso i reticolati, dietro esempio del duce; - dovevano accendere la miccia ad ogni costo (che secondi di ansia!) e l’accesero. Uno, due, tre formidabili scoppi provarono la riuscita. Sig. Maggiore, due morti, un ferito che ho fatto trasportare; - tre tubi scoppiati con effetto; - erano queste le novità che l’eroico Leopoldo dava pochi momenti dopo senza un cenno di emozione, col suo sorriso abituale, rivelatore della grande serenità dell’animo suo. Di simili imprese non fu questa l’ultima, perché ne seguirono altre sempre con immancabile risultato, fino al punto di acquistarsi la fama di «specialista e di uomo invulnerabile». Non così pur troppo in quella che fu l’ultima a Monte Sei Busi, dove, pur conscio della sicura morte, sprezzante del fuoco nemico, voleva ancora riuscire ad aprire la porta della gloria al suo Battaglione. Ed io, che potetti vederlo pochi momenti dopo, disteso supino su quel suolo arido del Carso, col sole che rendeva auriferi i suoi biondi capelli, coi pugni stretti e col viso pallido di morte, ma nell’atteggiamento di chi sfida, - io intuii che nella breve sua ultima percezione pensò di dimostrare all’esacrato nemico come si sappia morire. Così rimpianto dagli inferiori, che l’adoravano, e dagli eguali e superiori, che l’ammiravano, la giovine esistenza del caro Leopoldo si spense. A conforto del suo grande dolore Le valga il sapere che in chiunque lo conobbe mai si cancellerà il suo ricordo imperituro e che le sue gloriose gesta saranno sempre ricordate ed additate come esempio. Tenente Matteo Caputo»
 
Lettera del Colonnello Francesco Di Salvi, già Comandante il 2° Battaglione del 14° Rgt. Fanteria, datata 20 dicembre 1916:
 
«GENTILISSIMO SIG. MONTINI
ho ricevuto il prezioso ricordo. La fotografia di suo figlio Leopoldo è qui dinanzi ai miei sguardi attoniti. Egli mi par vivo: io contemplo i Suoi occhi brillanti, espressione della Sua grande anima, la Sua fronte radiosa, la giovanile linea delle Sue angeliche labbra dalle quali non venne mai fuori altra parola che di dolcezza, di soavità e di amore. Quanto grande mi apparve quel giorno, in cui domandando chi degli Ufficiali accettar volesse l’incarico di recarsi a porre i tubi esplosivi, Egli pel primo si presentò! Il più giovane, il più buono, il più dolce, il più amabile fra i miei Ufficiali! Si votava alla morte con piena coscienza del destino che lo attendeva. Io lo vidi più volte con prudente ardimento avvicinarsi ai terribili reticolati nemici, e guidare i suoi soldati con una calma da uomo maturo, sotto il fitto grandinare di espertissimi tiratori, e, fremente di orgoglio esclama: Con tali Ufficiali l’Italia può arrivare dove vuole! Un giorno Lo strinsi al mio seno e Lo proposi per la Medaglia d’argento al valore; - Lo contemplai da vicino ed i Suoi sguardi soavi mi svegliarono alla memoria i noti versi su Garibaldi
È nato da un demonio e da una santa
In un momento che sentiamo amore;
E’ tutto il padre quando il ferro agguanta,
E dalla madre ha la dolcezza in core.
Passarono gli epici giorni di Selz ed Egli rientrò sempre illeso, lieto del dovere compiuto, sempre buono, modesto, docile, disciplinatissimo, pronto sempre ad ogni servizio. Successero i giorni più aspri di Monte Sei Busi ed il suo Leopoldo si mantenne sempre uguale. Più grande era il pericolo, e più Egli appariva calmo. Mai nervoso, mai eccitato. Il dovere era per Lui religione. Il Suo labbro aveva sempre quella compattezza speciale del giovane senza macchia, quel sorriso da bocciuolo di fiore. Più volte ancora dovette recarsi a porre tubi esplosivi; ma io non potevo più seguirlo fino all’ultimo come per lo innanzi, poiché qui, sebbene fossimo ad una distanza di circa 70 metri soltanto dal nemico, il terreno leggermente in salita, dopo una cinquantina di metri, degradava dolcemente verso i reticolati avversari. Quando Egli andava al di là dei 50 metri, i battiti del mio cuore erano come sospesi. Il 18 Luglio la bufera di piombo e d’acciaio imperversò più terribile ed insistente da parte del nemico. Era necessario fiaccare l’ardire, e perciò aprire dei varchi nei di lui reticolati. Il più grande pericolo non trattenne l’Eroe che, più fortemente sentendo in quel momento divampare in sé la fiamma dell’energia Sannita, si accinse al sacrificio. Io lo vidi partire, e, come sempre, l’animo commosso mi si riempì di poesia, di quella poesia popolare che il Parzanese interpretò nel suo «Vecchio Sergente» e che io ascoltai meravigliato da bambino nell’ambiente militare:
Presto avanti e s’andava a battaglia
Come al ballo cantando si va,
Parea pioggia di fior la mitraglia
Rataplan, Rataplan, Rataplan
Aspettai invano il Suo ritorno. Le ore contate minuto a minuto, tra battiti di cuore, da me, dai miei Ufficiali, dalla truppa tutta ai miei ordini sul pensiero di Lui, parvero eterne. Pattuglie inviate alla di Lui ricerca mi riferiscono che Lo avevano visto con le mani attaccate al reticolato, gli occhi rivolti al nemico, in atteggiamento da vivo che aspettasse il momento propizio per eseguire il so mandato. Ma, poiché il Suo corpo continuava sempre a giacere immobile e minaccioso verso il nemico, fu giocoforza dedurre che l’angelo della gloria unitamente a quello della morte avessero voluto comporre le Sue nobili membra in quella posa eroica, di quell’eroismo superiore d’assai a quelle delle omeriche gesta... Caro fiore, Tu passasti rapidamente fra noi, imbalsamando il nostro aere di un eterno profumo! Io ti vedo ancor vivo a me dappresso, soffuso di dolcezza e di gloria. Tu vivi immortale in tutto coloro che Ti conobbero e Ti amarono per le Tue eccelse doti. Gloria al paese che Ti dette i natali; gloria al padre Tuo che Ti dette sangue e vita; gloria alla madre che Ti concepì e Ti portò nel suo seno; gloria, somma gloria a Te!
Gentilissimo e caro Sig. Montini, vorrei dire tanto, ma non sono un letterato, sibbene un uomo d’azione. Ho scritto come il cuore ha dettato, ma ..., «più bello, più nobile, più pieno rimane il mio concetto entro la mente». Col suo affetto di padre voglia lei supplire alla mia manchevolezza ed accettare di buon grado queste poche righe la cui calligrafia rivela l’emozione e qualche lacrima versata, e le siano pegno del mio imperituro affetto pel suo caro Leopoldo.
Ossequi alla sua gentilissima Signora e mi creda con affetto, Colonnello Francesco Di Salvi, già Comand. il 2° Batt. del 14° Fanteria»
 
di Antonio Salvatore
 
 
 

I messaggi di cordoglio per Montini (seconda parte)

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Il Colonnello Chiavassa, già comandante il 14° Rgt. Fanteria, in una lettera scritta al fratello Professore di scienze nel Liceo di Benevento, scuola di Leopoldo, in data 21 agosto 1915:
 
«L’ottimo Montini cadde precisamente il giorno 18 Luglio, mentre disimpegnava un compito delicato e pericoloso, affidatogli dal suo Colonnello. Morì da prode, quasi conscio del suo destino. Sia benedetta la sua memoria! Quando seppi della sua morte, non potei trattenere le lagrime. La storia del reggimento lo ricorderà come uno dei suoi figli più valorosi. Mi fu detto che venne proposto per la Medaglia d’oro al valor militare; sia ciò di qualche conforto alla famiglia» 
 
Il 17 settembre 1915 il Tenente Enrico Fossombrone di Firenze, anche lui del 14° Rgt. Fanteria, scrivendo al Signor Saverio Santorelli, Censore del Convitto Mario Pagano di Campobasso, così parlava dell’Eroe:
 
«... in quei giorni il 14° si fece grande onore; - i soldati di Campobasso gareggiarono con quei di Foggia in valore; - lo dica pure costà, è semplice verità. Fra essi il Sottotenente Montini cadde da eroe, dopo per ben sei volte essere andato a fare esplodere i tubi esplosivi»
 
Tenente Carlo Renato Paturno, del 14° Rgt. Fanteria, in data 27 febbraio 1916:
 
«GENTILISSIMO SIG. MONTINI
Non una esitazione di virtù per il suo povero figliuolo, ché la gloria costellò già di sua luce la bella fronte dell’Eroe quando sacrificò la sua giovinezza e tutte le sue speranze più belle per i destini di una patria più grande. L’orgoglio per noi, suoi compagni, di averlo conosciuto e di poterne serbare un imperituro ricordo. Io lo conobbi quando ancora la guerra non infieriva alla frontiera per l’affermazione dei nostri diritti sacri. E nel suo animo giovane, palpitante di sentimenti nobilissimi che portano alle imprese più ardue, io già scorsi tutto un poema fulgidissimo di sublime bontà eroica. Appartenendo ad altro Reggimento quando il bel 14° era già al fuoco e già s’era coperto d gloria, nell’attesa della nostra ora, giunse l’eco degli atti valorosi del caro Leopoldo. E ci parve che rivivesse iln Lui la magnanima impavida tempra dei Grandi per cui l’Italia s’era fatta una. E poi la nuova terrificante della sua fine. Egli – ci dissero, - era morto col sole alto, rivolta la fronte bella e lo sguardo che non sapeva il timore della trincea nemica, verso le terre che saranno nostre. Mai forse una morte così eroica, mai di certo una perdita così grande, ché in Lui si spense l’Esempio. S’abbia i sensi della mia simpatia più profonda e del mio ossequio grande. 
Tenente Carlo Renato Paturno»
 
Maggiore Giliberti, già Comandante il Battaglione di appartenenza del Sottotenente Montini:
«SIGNOR MONTINI
Per la commozione che mi prese, allorché la fortuna mi concesse di conoscerla, non ebbi forza, né avrei trovato parole adatte ad esprimerle tutta l’ammirazione che in me destava l’eroico suo Leopoldo, durante il periodo di tempo che ebbi agio ed occasione di notare il valore. Ma, man mano che i giorni passano, s’ingigantisce in me il bisogno di narrarle, in poche e modeste righe, così come la mia penna mi consente, quanto di sublime i miei occhi videro e quanto il mio cuore ebbe a palpitare. Le trascrivo per tanto il brano del breve mio diario di guerra riflettente suo figlio:
selz, 5 Luglio 1915
Di molte azioni valorose ed eroiche hanno già dato prova Ufficiali e truppa del bel 14° Fucilieri; ma sopra tutto impressa rimarrà nella mia mente l’impresa ardua del Sottotenente Leopoldo Montini. Giovane di belle speranze, cui sorride l’avvenire, Egli, sprezzante, la morte, si è offerto a recarsi fino ai reticolati nemici per collocarvi i tubi esplodenti e aprirci dei varchi, facilitarci l’avanzata e quindi il possesso di queste difficili ed aspre colline, cosparse di trincee formidabili e di fitti reticolati. Con una serenità spartana, col sorriso sulle labbra, conscio del grave pericolo che lo minaccia, prende gli ordini dal Comandante, si avvia, in compagnia di soli due soldati, ad assolvere il suo compito. Si arrampica carponi e strisciante, di pieno giorno, giunge ...fa accendere la miccia, i tubi esplodono, e, tosto che il fumo si dirada, egli ne osserva l’effetto... Torna felice a noi, a raccontarci l’esito della sua operazione. Come mi commuove la serenità d’animo di questo baldo giovane!...Io, dal finestrino della casetta, ov’è appostata la mitragliatrice del Battaglione ai miei ordini, collo sguardo e col cuore trepidante lo seguo ...lo seguo ...poi lo perdo di vista... Ecco che gli austriaci hanno sparato un colpo ...poi un altro ...lo hanno preso? Indicibile ansia! ...No... perché Egli è di ritorno...Respiro di gioia e di soddisfazione...Come sarà orgoglioso di te, caro Montini, tuo padre!
Con tutta stima mi creda. Maggiore Giliberti».
 
Estratto del discorso del Tenente Medico Luigi Chimitto, letto agli Uff.li in Zona di Guerra il giorno 2 novembre 1916 (La trasfigurazione della morte degli Eroi, Tipografia Colitti, Campobasso, pp. 24-25): 
 
«E non sono ignorate, così come si ignorano i nomi di tanti grandi martiri della fede, pur tra quanti siamo della stessa sua provincia di Campobasso, le gesta di uno dei più fulgidi eroi, del Tenente Montini di Campodipietra, dal nome modesto come quello di tanti eroi veri, e del quale i compagni di arme parlano con somma reverenza? Pareva Egli timido come una fanciulla: aveva non più di vent’anni. Ogni volta che nel suo Reggimento si richiedeva un Ufficiale che si offrisse volontario per recarsi a far brillare i tubi esplosivi sotto i reticolati dei nemici (impresa questa che richiedeva, come si suol dire, gran fegato e nella quale troppo spesso si rimaneva fulminati del piombo nemico), ogni volta, dunque, era il Tenente Montini ad offrirsi: notate bene: offri vasi volontario. Per otto volte andò con buon esito e per ben otto volte fu aiutato dalla fortuna, ma questa nella nona volta lo abbandonò e l’eroe trovò gloriosa morte. Gli fu decretata la Medaglia d’oro al valor militare. Cerchiamo di comprendere l’eccelso valore, l’esaltazione eroica: per nove volte Egli andò, offertosi volontario, fin sotto ai reticolati nemici per far esplodere i tubi carichi di nitroglicerina, quando chi tentava l’impresa anche una sola volta, meritevole era di gloria e dell’appellativo di Eroe. Che cercava Egli dunque nell’affrontare con tanta insistenza la morte? Non gli sorrideva la primavera? Deh! Quando la Patria, la grande madre, aveva chiamato i suoi figli, davvero questo giovane dové sentire che se moriva per la Patria, già sarebbe vissuto assai terminando nei suoi vent’anni. Egli più che mai dové sentire la gentilezza del morire, per ridire la stupenda frase del Leopardi; ma per un tal giovane, - e qui mi piace di ripetere le espressioni che il Luzio, riportando la frase leopardiana, scrisse per i martiri di Belfiore, - «l’amore non si rivolgeva ad un inafferrabile sorriso di donna, come nel Recanatese; per lui, invece, per il giovane Eroe, l’unico palpito del cuore era la Patria e pareva dolce la morte affrontata per lei»
 
di Antonio Salvatore
 

I messaggi di cordoglio per la morte di Leopoldo Montini

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Oramai la notizia della morte eroica del giovane Ufficiale era di pubblico dominio, di conseguenza giungevano alla desolata famiglia copiosi messaggi di cordoglio. Tra le numerose lettere e telegrammi pervenuti, se ne riportano, di seguito, alcuni riportati su un libretto che la famiglia volle dedicare alla memoria dell’Eroe, il cui incipit così recita:
 
«Nelle radiose giornate della nuova primavera italica, quando il nostro esercito, baldo e fiero, conquistava valorosamente, palmo a palmo – duramente contese – le terre che nostre erano; quando tutta una fiorente gloriosa giovinezza, piena di fede e di entusiasmo, correva alle frontiere a fare della vita Olocausto e della Patria, un giovane bello, buono, dall’anima dolce come quella di una fanciulla e dal cuore forte come quello del leone, audace, col sorriso sulle labbra, compiva gesta gloriose, ammirate e celebrate dal suo reggimento, modestamente nascoste alla famiglia, agli amici.
Leopoldo Montini fu un valoroso, sprezzante del pericolo, anzi il pericolo cercava. In un’azione di brillamento di gelatine per aprire una porta attraverso gl’insidiosi reticolati nemici, egli si offerse, e nell’offerta era un risentimento nobilissimo di dovere. Andò con pochi uomini: era bello, illuminato in pieno dal sole che gli batteva sul viso. S’udì la secca detonazione d’un fucile: il forte coraggioso giovane cadeva per non più rialzarsi.
Il Reggimento che lo adorava pianse la perdita dell’Eroe. La patria riconoscente ha premiato l’audacia e il valore di lui con la medaglia d’oro. La famiglia dedica alla sua memoria queste pagine modeste.»
 
Messaggio del Cappellano Militare del 14° Fanteria, sacerdote Giuseppe Sansonetti, indirizzato al Sindaco di Campodipietra, Cav. Dott. Francesco Rossi, Castel di Sangro 30 luglio 1915:
 
«ILL. SIG. SINDACO DOTT. Rossi, presid. Comit. Civile Campodipietra
Sul «Corriere d’Italia» di ieri lessi la morte gloriosa dell’amico mio, anzi fratello, Sig. Montini Leopoldo, Sottotenente del 14° Reggimento Fanteria. Lo scrivente è il Cappellano Militare del Reggimento, barbaramente ferito, come la stampa italiana ha riferito, mentre italianamente umano prestava l’opera sua di carità e di religione ai feriti austriaci. Le ferite della mia fronte ancora sanguinano, ma ieri una ferita più grande si aprì nel mio cuore: la perdita del glorioso ed eroico figlio di Campodipietra. Ci amammo come fratelli e figli dell’Abruzzo; per tre mesi dividemmo le ansie, le privazioni e le gioie della guerra. Sempre primo ad accorrere dove maggiore era il pericolo, alle mie esortazioni di non esporsi tanto rispondeva col sorriso sulle labbra: «siamo figli del forte Sannio; - sempre avanti, dunque». Ricordo la mattina del mio ferimento, quando, tutto grondante sangue sulla barella scendevo dalla collina, mi venne incontro e mi abbracciava a baciava con effusione fraterna incoraggiandomi ed augurando un presto ritorno sul campo della gloria e dell’onore. Ed io gli risposi: Ci rivedremo subito. Ed ora quando tornerò al mio glorioso reggimento, non troverò più il fratello eroico, l’Ufficiale ch’era l’idolo dei SUp0eriori, la ammirazione dell’intero reggimento. Onore e gloria a Leopoldo Montini, primavera sacra della patria, che sulle balze aspramente contese al nemico aborrito e traditore, con entusiastico coraggio immolò la giovinezza sua per rendere la cara Italia nostra più forte, più sicura, più potente. Onore e gloria a Lui, poiché dal suo sacrificio sgorga una nuova luce che gli spiriti eleva, che i caratteri tempra, che negli animi tutti rafferma coscienza e fede. A Lui, che col santo nome d’Italia sulle labbra e colla visione di una patria grande e temuta nel cuore cadde da eroe, il tributo della nostra ammirazione. Resti perenne nei cuori dei suoi concittadini, come resterà nel cuore dell’Esercito Italiano e della gran Madre Italia, il ricordo e la figura dell’ideale e del dovere. Se le ferite mi permettessero di viaggiare, sarei fortunatissimo di poter rendere al fratello d’armi tributo d’ammirazione e d’affetto.
Vorrà, Ill.mo Sig. Sindaco, farmi rappresentare alle solenni onoranze che codesto Comune renderà all’anima dell’Eroe.
Con stima mi creda: Sac. Giuseppe Sansonetti, Cappellano Militare 14° Fanteria»
 
Lettera del Sottotenente Medico del 14° Fanteria, Dott. Manfredi Santoro, indirizzata allo zio Sig. Giuseppe Santoro, Capo Ufficio nella Direzione delle RR. PP. di Campobasso, in data 11 agosto 1915:
 
«Piuttosto si dica qualche cosa degli eroi nel nostro Molise. Fra i tanti mi piace di indicarvene uno solo: Leopoldo Montini di Campodipietra. Ancora vivo e sanissimo, Egli fu proposto per una medaglia d’argento ed una d’oro. E non erano bastevoli! Peccato che Egli sia caduto e quanto gloriosamente sul campo dell’onore! Caduto e sepolto su quelle colline; ma vi accerto che l’anima sua così pura vive e vivrà sempre nell’anima e nel cuore di ogni soldato di questo bel Reggimento. Onoratelo, vi prego; farete cosa gratissima anche a me, anche agli altri tutti che sono con me su queste terre redenti... M. Santoro»
 
Sottotenente Gaetano Martignetti del 14° Fanteria, allo zio residente in Benevento, zona di guerra 11 agosto 1915:
 
«ZIO ANTONIO MIO CARISSIMO
sono tornato appena ieri dal 18° al mio Reggimento, da cui era lontano già da parecchi giorni, ed ho appreso subito al morte dell’amico mio carissimo Leopoldo Montini, avvenuta il 18 Luglio. Ha voluto il caso che fossi assegnato proprio alla sua Compagnia, la più gloriosa del Reggimento, in modo che io sono a contatto con quei soldati, che bene sapevano quanto Egli valesse e di quali audacie fosse capace. Ho voluto interrogare i soldati del suo plotone. Fermando lo sguardo su quelle facce, io le ho viste oscurarsi a quella rievocazione, e tutti esprimevano un senso di rimpianto per la perdita dolorosa del loro Tenente ed un senso di dolore per il fato glorioso, ma ben triste, toccato al caro Leopoldo. – Le pallottole fioccavano, - mi diceva uno, e Lui rimaneva in piedi e ci scherzava.
Un altro aggiungeva: Noi dicevamo: - «Sig. Tenente, stia giù»: - e Lui rispondeva: «Non abbiate paura, figliuoli: - coraggio». Una sera, stando insieme con me, Leopoldo mi diceva d’una lettera del padre, che gli scriveva presso a poco: «sono sicuro che tu ti comporterai in modo, che io potrò sempre essere orgoglioso di te.» Ebbene dite a quel nobile padre che più che orgoglioso può andare superbo del suo Leopoldo. Ed ora ascoltate quali audacie non so per quante volte ha compiuto volontariamente Leopoldo Montini. Come ben sapete davanti alle loro trincee gli austriaci a renderle più difficilmente espugnabili ci chiudono il passo con fitti reticolati, per aprirci il passaggio attraverso i quali noi usiamo dei tubi con gelatina. Questi tubi bisogna immetterli fra i reticolati in modo che producendone lo scoppio dopo accensione sconquassino le reti di fil di ferro e preparino il passaggio della Fanteria. Ebbene Leopoldo Montini accompagnava i soldati che portavano quei tubi sulla collina fin sotto i reticolati, a pochi passi dalle trincee del nemico, che naturalmente ben al riparo ed in vedetta, doveva necessariamente scoprirlo e si sfogava a schioppettate. E questo lo faceva in pieno giorno; e tante volte brillantemente ha fatto scoppiare i tubi riuscendo a tornare salvo. Nel 18 Luglio ha compiuto appunto una di queste audacie... E non posso dirvi tutto, non posso illuminare tutto l’eroismo di Leopoldo Montini, il perché lo comprenderete...G. Martignetti».
 
di Antonio Salvatore
 
 

La morte di Leopoldo Montini

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La famiglia Montini, tranquillizzata dalle tante e rassicuranti lettere ricevute dal giovane Leopoldo, venne sconvolta dalla funesta ed improvvisa notizia della morte del congiunto, giunta a Campodipietra il 24 luglio 1915, e annunziata dal seguente telegramma diretto al padre dall’On. Spetrino:
 
«Campobasso, 24-7-1915 ore 11,5.
Divido il tuo immenso dolore che spero lenito legittimo orgoglio aver dato patria giovinezza eroica non mai compianta abbastanza. 
Abbracciati Spetrino»
 
Successivamente dal telegramma inviato dal Comandante del 14° Reggimento “Pinerolo” al Sindaco di Campobasso:
 
«585 R. Prego comunicare dovuti riguardi alla famiglia del sottotenente Montini Leopoldo residente Campodipietra che Egli cadeva gloriosamente sul campo di battaglia il giorno 18 corrente. Limarzi»
 
Seguirono richieste d’informazioni indirizzate al Comandante dell’8a Compagnia del 14° Reggimento Fanteria “Pinerolo”, Capitano Francesco Rizzi, attraverso le quali, il padre di Leopoldo potette cominciare a sapere delle operazioni cui il giovane Eroe si era consacrato.
Così rispondeva il Cap. Rizzo, dalla zona di guerra in data 4 agosto1915:
 
«ILL.MO SIGNORE
Amavo il suo Leopoldo come un figliuolo; perciò porto anch’io nell’animo lo strazio della di Lui morte. Egli cadde da valoroso presso i reticolati nemici di Monte Sei Busi la notte del 18 Luglio, dopo aver portato a compimento, con raro coraggio, un difficile mandato. Per Lui sono state fatte tutte le maggiori proposte di ricompensa; perciò nel dolore la famiglia sentirà l’orgoglio d’aver dato alla patria una vita sì preziosa. Spero si possa ricuperare la sola sciabola perché rimanga come sacro ricordo alla famiglia. Mi permetto abbracciarla e baciarla per avvicinare i nostri cuori. Mi ossequi la famiglia.
Con affetto e devozione. Capitano Francesco Rizzo 14. Fant.».
 
Il Capitano Medico, prof. Giacinto Rossi della 14° Divisione, VII Corpo d’Armata, in data 6 agosto 1915: 
 
«CARISSIMO AMICO
Solo oggi ricevo la vostra del 29 Luglio. Abbiate tanto, tanto coraggio! Per avere notizie precise sul vostro povero Leopoldo, mi sono rivolto al Capitano Medico del 14° Fanteria, Dott. Bilancia. Vi mando la sua risposta perché vi dice di quale eroismo il vostro povero e glorioso Leopoldo fu capace.
Abbiate voi, povero amico, tanto coraggio, che ne abbia la povera mamma sua.
Vi abbraccio. G. Rossi»
 
Cap. Medico Dott. Bilancia:
 
«CARO COLLEGA
Il Sottotenente Montini è morto il 18 Luglio su Monte Si Busi mentre faceva brillare dei tubi di gelatina sotto il reticolato austriaco. Era un valoroso!! Saluti. Bilancia»
 
Ed ancora il Ten. Col. Limarzi dal Comando del Reggimento, in data 10 agosto 1915:
 
«SIGNORE
Poche notizie sono in grado di darle circa la gloriosa ed eroica morte del suo Leopoldo. Per diverse volte Egli coraggiosamente comandò e diresse i militari incaricati di portare e far brillare i tubi di gelatina esplosiva sotto i reticolati nemici, ma nell’ultima cadde sotto il piombo austriaco. 
Il Ten. Colonnello Comandante il Deposito, Limarzi».
 
Risposta del Cav. Uff. Dott. Arcangelo De Fabritiis di Busso, al quale il padre aveva chiesto che raccogliesse da un Sottotenente di quel paese, notizie del figlio caduto, datata 20 settembre 1915:
 
«CARO ED EGREGIO AMICO
Il Sottotenente di qui è il Sig. Picciano Michelangelo. Trovavasi in fine di licenza di convalescenza per ferite.
Mi ha detto che egli – è del 14° - non conosceva personalmente il vostro caro, benché non escluda che abbia potuto parlargli, senza saperne il nome. Però, - assicura, - sentiva parlare dai Superiori del povero Leopoldo come dell’Ufficiale più coraggioso: addirittura eroico. Era quindi tenuto in grande estimazione. Egli si espose molte volte a collocare i tubi di gelatina esplosiva presso i reticolati nemici, riuscendo sempre nell’intento, e ricevendo dal successo – disgraziatamente – maggiore sprone a continuare. Un giorno Egli vide morti e feriti, l’uno dopo l’altro, tutti gli uomini che lo avevano accompagnato in una di tali audaci imprese, e tuttavia Egli, da solo, fino all’ultimo, rispose al fuoco del nemico ingannandolo, facendogli cioè credere che erano in parecchi, mentre non v’era che lui. E la sera potette ritornare alla sua Compagnia.
Ma l’ultima volta, - la fatale! – mentre si accingeva a collocare i tubi esplodenti, venne colpito a morte. 
A. De Fabritiis»  
 
Di seguito, la risposta fornita dal Sottotenente Medico Santoro, effettivo nello stesso Battaglione di Leopoldo, circa la veridicità della narrazione del Sig. Picciano:
 
«Non è questo un episodio staccato dalla vita da campo del caro Estinto; tutta la sua vita fu intessuta giornalmente di questi episodi. Non sapeva più vivere lontano dal pericolo, al quale volontariamente si esponeva. La sua salute ne risentì; era ridotto magro e sparuto. Volevo dargli cinque o sei giorni di riposo. Rifiutò dicendomi: «No, Dottore, farò fino alla fine il mio dovere». E la sua fine fu quella di un Eroe da leggenda»
 
di Antonio Salvatore