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Storia militare

Ottobre 1943, il passaggio delle truppe tedesche e alleate lungo la Valle del Tappino (quinta parte)

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Altre testimonianze: Giuseppina Simonelli  «ricordo   quel   pomeriggio come   se  fosse   oggi,   eravamo nascosti in cantina ma  ogni tanto mi affacciavo fuori e vedevo le bombe  che cadevano  in contrada Lazzarice,  le esplosioni erano talmente forti che vedevo volare in aria gli alberi di olivo, in serata seppi dai miei genitori della tragedia delle due donne colpite»;  Olga Pietracatella  «noi abitavamo a pochi metri da casa Marcucci, di quella tragica serata serbo ancora il ricordo di mia zia che durante la notte bagnava con gocce di caffè le labbra della povera Teresa Grosso che sarebbe poi spirata nelle prime ore del mattino». Dal registro dei Morti del Comune di Toro «Atto di morte n. 24 del 13 ottobre 1943. Alle ore 9.30 del 13ottobre 1943, davanti al Podestà Gaetano Quercio, ufficiale dello stato civile, è comparso Colledanchise Saverio fu Luigi di anni 59 contadino di Toro, che alla presenza dei testimoni Serpone Giovannina di Michele, di anni 25 casalinga, e Marcucci   Giovanni   fu   Nicola   di   anni   32   contadino   ha   dichiarato   che   il   giorno   13   ottobre   1943   alle   ora   cinque antimeridiane nella casa posta in Via Antica 21 è morta Grosso Maria Teresa di ani 36, contadina di razza ariana, figlia di Antonio e fu Colledanchise Angela, coniugata con Marcucci Salvatore. – Atto di morte n. 25 del 13 ottobre 1943. In pari data, lo stesso Colledanchise Saverio, ha dichiarato inoltre che il giorno 12 ottobre, alle cinque pomeridiane, nella stessa casa di via Antica n. 21, è morta Marcucci Angelamaria, nubile di anni sette, figlia di Salvatore e Grosso MariaTeresa». Di quel cannoneggiamento, infine, si riporta un passo tratto da uno scritto del poeta torese, Nicola Iacobacci «Le pallottole fischiavano sul campanile. Sotto la quercia restai senza tremare: per me che ero bambino la guerra fu solo uno scherzo».  Il giorno 13 ottobre Toro si svegliò senza più la presenza delle truppe tedesche, che nottetempo abbandonarono il paese, ecco la testimonianza di Giuseppina Simonelli «la mattina seguente il bombardamento non trovammo più i tedeschi che erano scappati durante la notte, e allora per avvisare gli  alleati  della loro  partenza   e quindi a  non dare inizio  a   nuovi cannoneggiamenti, mio   padre  Antonio (Spagnule), Nicola De Sanctis (Cola Ciaccia) e Domenico Iacobucci (Ciumbare), si avviarono a piedi alla volta di Jelsi. Lungo la strada trovarono un cavallo bianco lasciato dai soldati tedeschi, il quale fu riportato in paese e custodito da Domenico (Ciumbare), nei giorni seguenti l’animale fu venduto ed il ricavato diviso per tre». Con il ritiro delle truppe tedesche arrivarono a Toro anche le truppe alleate, i primi ed entrare in paese furono i canadesi, molto probabilmente i soldati del 48° Highlanders, in seguito sarà forte anche la presenza dei soldati polacchi della 3a Divisione Fucilieri dei Carpazi e della 5a Divisione Kresowa […]

di Antonio Salvatore

Nazario Sauro e il Molise (prima parte)

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Cosa lega la figura del famoso irredentista istriano al Molise? Quale arcana alchimia unisce il questa piccola regione a uno dei più importanti eroi della nostra storia?  La risposta è Nazario Sauro, nipote dell’eroe e residente attualmente a San Giovanni in Galdo (CB). Grazie all’intermediazione di Angela Simile, riesco ad incontrare un simpatico architetto romano in pensione, il suo nome, Nazario Sauro.  
Nazario Sauro nato a Roma il 28 febbario 1942, figlio di Italo il quartogenito dei cinque figli (Nino, Libero, Anita, Italo e Albania) della Medaglia d’oro al Valor Militare, Nazario:
 
«Caro Nino,
tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere d'italiano. Diedi a te, a Libero ad Anita a Italo ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l'ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa patria, giura o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l'età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani! I miei baci e la mia benedizione. Papà. Dà un bacio a mia mamma che è quella che più di tutti soffrirà per me, amate vostra madre! e porta il mio saluto a mio padre.»
(Nazario Sauro, Venezia, 20 maggio 1915 - Lettera testamento ai figli)
 
Durante la nostra conversazione vengo a sapere una notizia molto, molto interessante, ad oggi del tutto sconosciuta, all'interno del cimitero comunale di San Giovanni in Galdo è collocata la tomba della zia Albania, sulla cui lapide risalta l'epitaffio «Ultima figlia dell'Eroe Nazario Sauro»  Ma le sorprese non finiscono quì, in quanto mi racconta il nostro architetto che anche in linea materna vanta parentele a dir poco importanti, la mamma è la figlia della sorella dell'eroe Enrico Toti, e non aggiungiamo altro.
 
di Antonio Salvatore
 

Ottobre 1943, il passaggio delle truppe tedesche e alleate lungo la Valle del Tappino (quarta parte)

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Al contrario di Toro, come ci racconta ancora il prof. Di Donato, San Giovanni in Galdo fu più fortunata «il bombardamento alleato per fortuna non colpì il paese, ma non centrò nemmeno le postazioni tedesche, ricordo che solo qualche colpo arrivò nei pressi del cimitero, la maggior parte caddero sulla collina di Toro che sovrasta   San   Giovanni  in   Galdo».   A conferma  dei colpi che arrivarono   nei   pressi  del cimitero, ho personalmente   rinvenuto,   grazie   ad   una   ricognizione   della   zona,   dei   frammenti   di   granate. Purtroppo la fortuna non fu allo stesso modo benevola con Toro, che ebbe la sventura di trovarsi esattamente lunga la direttrice del tiro dei cannoni alleati. Il pomeriggio del 12 ottobre Toro e la sua terra conobbero il fragore della guerra, bagnandosi le vesti con il sangue di due sue figlie innocenti. In maniera del tutto involontaria, due tiri chiamati tecnicamente di aggiustamento, centrarono il centro abitato: uno cadde nei pressi di Piazza San Mercurio, senza causare eccessivi danni; l’altro, purtroppo, centrò in pieno l’abitazione dalla famiglia Marcucci, causando la morte di Teresa Grosso di anni 36 (incinta di qualche mese) e Angelamaria Marcucci di anni 7. Questo il racconto di quel tragico evento, nelle parole di Nicola Marcucci, figlio di Teresa e fratello di Angelamaria, raccolte da Vincenzo  Colledanchise  (tratto  dal  sito Toro  Web)  «nel   sentire   i  boati  del   cannoneggiamento,   che devastavano la campagna del Grottone, Teresa si mise a richiamare angosciata i suoi figli maschi, Nicola e il fratello, credendoli lì vicino a giocare. Teresa continuava a richiamarli a squarciagola dalla finestra impaurita per non averli visti rientrare dopo il gran boato. Con lei cerano due figlie femmine: Maria, in quei giorni malata, si scaldava presso il camino mentre Giuseppina era intenta a rassettare la camera. Le grida disperate di Teresa furono improvvisamente interrotte   da   una   bomba   che   colpì   la  casa  del  “Grottone”.   La   bomba   aveva   centrato   una   parete   della   casa squarciandola facilmente, perché nel punto colpito passava il camino. La breccia procurata dalla bomba era stata fatale per Maria perché fu colpita mortalmente dai mattoni del camino divenuti micidiali proiettili. Per Maria, di nove anni, la morte fu immediata, mentre sua madre era stata colpita da una scheggia di pietra diveltasi dalla mensola della finestra, che la colpì alla testa. La casa colpita dalla bomba fu subito raggiunta dai carabinieri e transennata, per impedire a chiunque di penetrarvi. Solo il medico, don Nicolino fu ammesso a varcare quell’uscio per soccorrere le donne colpite. Ma don Nicolino ne uscì quasi subito per aver notato che per Maria e sua madre non cera più niente da fare. Giuseppina, invece, non correva nessun pericolo perché raggiunta da una piccola scheggia che l’aveva solo ferita. Insieme ai suoi fratelli fu condotta in casa dei nonni, mentre qualcuno provvide a richiamare il marito di Teresa dai campi dove era intento a lavorare. Il poveruomo, giunto esausto e disperato in paese, avrebbe voluto abbracciare i corpi di   Teresa  e  della figlia ma  non   gli fu possibile. Tentò di farlo risalendo dall’orto, ma anche quell’entrata posteriore era stata sbarrata. Quando finalmente poté entrare in casa, l’uomo pianse tutte le sue lacrime presso la moglie e la figlia morte dissanguate a causa dell’unica bomba che colpì mortalmente il paese durante l’ultima guerra mondiale.

di Antonio Salvatore

Il cimitero militare di Venafro

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Costruito nel 1945 ad opera del Genio Militare Francese, nei pressi di Venafro (IS) si trova il cimitero di guerra francese. Esteso in un’area di 70.000 mq, ospita le sepolture di circa 7000 soldati francesi, marocchini, algerini e tunisini, oltre ad alcuni africani non meglio identificati, caduti in gran parte durante la battaglio di Cassino (gennaio – maggio 1944), asprissima e cruenta battaglia che vide protagonista anche il Corpo di Spedizione Francese (Corps Expeditionnaire Francais), composto dalla 1° Divisione della Francia Libera. Dalla 2° Divisione Marocchina di Fanteria (DIM – Division in fanterie Marocaine, 13.895 uomini, di cui 6.578 europei e 7.317 indigeni), della 3° Divisione Algerina di Fanteria (DIA – Division in fanterie Algerienne, con i suoi 16.840 uomini, tra i quali 6.354 bianchi  e 6.835 indigeni) e dalla 4° Divisione di Montagna Marocchina (DIM – Division Marocaine de Montagne, 19.252 uomini, di cui 6545 europei e 12.707 indigeni). Per essi sono stati eretti due monumenti, una cappella europea di Andrè Chatelin, Gran Premio di Roma, ed un minareto, decorato con piastrelle ceramiche azzurre,  che risaltano sul bianco calce delle mura, e con alcune iscrizioni tra le quali la più significativa, tradotta in italiano. È sicuramente questa: “Durante la guerra italiana – durata dall’inverno del 1362 all’estate del 1363 – cadde una divisione appartenente al Nord – Africa del paese delle Monarchie tunisina, dell’Algeria e del Marocco. 488 soldati”.
Si notano le date che fanno riferimento al calendario islamico lunare che computa 1 mesi alternati di 29 e 30 giorni a partire dall’anno 622. Al suo interno vi sono alcune tombe, di cui una al Milite Ignoto musulmano, e tre dedicate a Militi con nome, uno Tunisino, uno Algerino, uno Marocchino. Nel cimitero le file delle tombe sono tagliate in due da un viale, al centro del quale vi è un altare con due iscrizioni, alla fine del viale vi è il minareto racchiuso in un recinto quadrato. Tutte le tombe sono disposte approssimativamente secondo l’asse Nord – Est Sud – Ovest, con le lapidi rivolte a Nord-Est, ad eccezione di alcune tombe, poste dietro il minareto, di soldati ebrei (riconosciuti dalla stella a sei punte sulla lapide) e animisti (sulla lapide hanno un “agnostico” sole stilizzato). Questa disposizione delle tombe suggerisce la possibilità che i caduti musulmani, qualora siano stati disposti sul fianco destro, abbiano il volto rivolto a Sud-Est, cioè pressappoco  in direzione della Mecca, secondo la prescrizione della legge islamica, ma non possiamo sapere in che posizione siano stati effettivamente sepolti. Le tombe musulmane (con la mezzaluna sulla lapide) vengono nell’ordine, dopo quelle cristiane (con la croce); tra le quali anche quella di una donna: Marie-Alphonsine Loretti, di 28 anni, infermiera volontaria e conduttrice di ambulanze del III battaglione di Sanità, cadde sotto un improvviso bombardamento dell’artiglieria tedesca il 5 febbraio 1944 nei pressi di Sant’Elia Fiumerapido, come recita la motivazione di concessione della Medaille Militaire. Vi sono inoltre delle tombe di ufficiali musulmani all’interno del recinto. Su ciascuna lapide è riportato il nome (se noto) e la dicitura “morto per la Francia”W. È da notare che anche fra le tombe cristiane sono riconoscibili nomi arabi e africani.
 
di Antonio Salvatore
 
 
 

Ottobre 1943, il passaggio delle truppe tedesche e alleate lungo la Valle del Tappino (terza parte)

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[…] Lo stesso giorno, le prime pattuglie che entrarono nell’abitato di Gildone trovarono il paese già libero   dalle presenza nemica; il secondo Carleton and York  alle  prese anche   con  problemi  di trasporto dell’artiglieria, problema in parte risolto con l’impiego di jeep che rimorchiavano cannoni da 75 mm appartenenti al 1° Airlanding Light Regiment (della 1a Divisione Airborne), dal 5 ottobre sotto   il   comando   della   divisione   canadese,   la   notte   tra   il   9   ed   il   10   ottobre   raggiunsero e  si posizionarono su monte Verdone.   Da   questa posizione il 12 ottobre iniziarono un  fitto cannoneggiamento in direzione di San Giovanni in Galdo dove erano ben nascoste tre postazioni di artiglieria tedesca, che già da qualche giorno martellavano le colonne alleate. Questo momento segnerà una delle pagine più tristi della storia di Toro. Con questo piccolo scritto, esattamente dopo 70 anni, cercheremo finalmente di ricostruire la verità storica di quel tragico pomeriggio. Grazie allo studio di “tecnica e strategia militare” e grazie soprattutto alla testimonianza diretta del prof. Nicolino Di Donato di San Giovanni in Galdo, possiamo affermare con sicura e definitiva certezza, che   Toro   non   fu   mai   l’obbiettivo   del   cannoneggiamento   alleato,   così   come   da   troppi   anni raccontato. L’obiettivo erano le artiglierie tedesche posizionate nelle campagne di San Giovanni in Galdo. Le prove a corredo di questa tesi sono diverse: tra le quali: se l’obiettivo fosse stato Toro, crediamo che i colpi che avrebbero centrato il paese sarebbero stati molti di più e non solo due, come in realtà avvenne; la testimonianza del sig. Diomede Ciaccia il quale afferma di ricordare lo spostamento   di   un   cannone   tedesco   nelle   campagne   di   San   Giovanni   in   Galdo;   l’inerzia dell’artiglieria alleata , la quale, benché fosse stata posizionata dal giorno 10 ottobre e bersaglio nel frattempo delle granate tedesche, iniziarono il cannoneggiamento sulla direttrice Toro-San Giovanni in Galdo solamente il giorno 12 ottobre; infine la fondamentale testimonianza del prof. Nicolino Di Donato «ricordo bene le tre e ben nascoste postazioni dei cannoni tedeschi, uno era posizionato nei pressi del Tempio Italico e altri due posizionati nei pressi del cimitero. I cannoni sparavano incessantemente già diversi giorni e ricordo che si fermarono per un brevissimo periodo di tempo al passaggio di un corteo funebre per la morte di un ragazzo. Inseguito, con i tantissimi bossoli dei proiettili abbandonati, molti sangiovannari ci fecero dei piccoli fornetti, uno dei quali conservo ancora oggi». Mentre discorrevamo sui ricordi di quegli avvenimenti, la testimonianza del prof. Di Donato si arricchisce di un dato assolutamente inedito e decisivo dal per confermare la nostra ipotesi «il giorno del bombardamento alleato, durante la mattinata, mentre passeggiavo con un mio amico, all’improvviso scorgemmo sulle nostre teste la presenza di un aereo che volava sopra le postazioni tedesche, la paura di essere mitragliati fu molta, tanto che ci buttammo immediatamente lungo il solco di un terreno arato, non so perché ma intuii che da lì a poco ci sarebbe stato un bombardamento, e così fu, infatti l’aereo che volava sui cieli di San Giovanni non era altro che una cosiddetta “cicogna”, atto a trovare e rilevare la posizione delle artiglierie tedesche ».Le artiglierie canadesi già pronte da due giorni, ma silenti per mancanza di informazioni, alle prime ore del pomeriggio del 12 ottobre, individuata l’esatta posizione delle postazioni nemiche iniziarono un possente bombardamento. […]

di Antonio Salvatore