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Storia militare

Ottobre 1943, il passaggio delle truppe tedesche e alleate lungo la Valle del Tappino (sesta parte)

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Gli alleati rimasero in paese diverso tempo, per Toro si poteva considerare conclusa la II Guerra Mondiale. Ecco alcune testimonianze: Nicola Rossodivita  «appena arrivati i soldati  alleati in paese, mia madre invitò alcuni di loro a mangiare nella nostra abitazione, ricordo che i soldati lasciarono incustoditi tutti i fucili fuori la porta di casa, io incredulo mi domandavo cosa sarebbe successo se in giro ci fosse stato ancora qualche tedesco»; Teresa Rossodivita «in casa nostra venne ospitato un graduato polacco il quale quando rientrava in casa la sera, forse ricordando i propri figli, metteva me e mia sorella (Lucietta) sulle proprie ginocchia e utilizzando un italiano molto stentato ci chiamava Tereska e Lucinka. Quando andò via per raggiungere il fronte mi regalò i suoi galloni, in seguito sapemmo che quasi tutti i soldati polacchi che avevano soggiornato a Toro morirono nella battaglia per la conquista di Montecassino»;  Olga Pietracatella «Olga Pie Olga Pie Olga Pie Olga Pietracat tracat tracattracat tracatella ella ella ella ella ricordo che a casa nostra soggiornò un Ufficiale polacco, credo fosse un Ufficiale medico»; Giuseppe Iosue «quando arrivarono i soldati alleati eravamo tutti contenti, regalavano a noi bambini le gallette e la cioccolata, agli adulti in cambio di bottiglie di vino regalavano indumenti e coperte di lana. Ricordo che sul Colle di Dio venne  da subito  posizionato un cannone»;  Diomede Ciaccia  «ricordo che il primo alleato  ad arrivare   a   Toro   fu   una   staffetta   portaordini,   il   quale   si   fermò   con   la   sua   motocicletta   davanti   la   caserma   dei Carabinieri,   un   mio   amico,   Mercurio   Pistillo,   credendo   di  trovare   alimenti  o   sigarette,   sottrasse   la   borsa   con   i documenti dalla motocicletta e scappò via. Ricordo ancora i soldati canadesi che ci regalavano biscotti, carne inscatola,  formaggio in  scatola, cioccolata   e sigarette marca V,  soldati che  frequentavano  assiduamente la  cantina “Della Vedova” da dove molto spesso ne uscivano ubriachi»; Giuseppina Simonelli «ricordo ancora il passaggio di numerosi aerei alleati provenienti da Foggia e diretti verso Campobasso, che volavano a bassissima quota sopra il ponte di Toro»  Lucia Rossodivita  «avevo appena tre anni e seppur sbiadito, conservo il ricordo di quando, al passaggio degli aerei sopra il cielo di Toro, venivo portata in una cantina chiamata rifugio antiaereo. Noi bambini venivano sistemati nelle nicchie dove si conservava il vino, mentre le donne si sedevano al centro della cantina per pregare». Con l’ingresso alle ore 05.30 del 14 ottobre 1943 a Campobasso (che verrà chiamata Canada Town) dei Royal Canadian, la guerra lungo la Valle del Tappino era definitivamente conclusa.

di Antonio Salvatore

Toro piange un'innocente vittima della guerra (seconda parte)

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Intanto il fragore dello scoppio si era udito anche a Toro, tanto che mamma Pasqualina e la nuora Maria nel mentre si riscaldavano vicino al camino di casa in calata San Rocco, furono scosse dal rumore proveniente dalla canna fumaria. Non so come ma la notizia della tragedia si diffuse in paese immediatamente. Non potrò mai dimenticare la disperazione di mamma Pasqualina quando arrivò in C.da Ripitella. Dopo qualche ora il corpo di Mercurio venne adagiato sopra dei fasci di erba e cinto sul dorso di un asinello per il mesto ritorno verso Toro. Di li a poco il copioso flusso dei compaesani per rendere omaggio al  bambino. Infine, ricordo un episodio ancora molto vivo nella mia memoria: dopo qualche giorno mamma Pasqualina andò nella masseria per far mangiare le mucche ma non riusciva a trovare la chiave del locale dove era riposto il foraggio, ancora straziata dalla sofferenza invocò ad alta voce l’aiuto del figlio, ma assalita dal dolore cadde in un improvviso sonno durante il quale il piccolo Mercurio gli indicò il posto preciso dove cercare la chiave. Quando si svegliò subito cercò nel posto indicato, la chiave era esattamente lì. Precisamente un anno dopo il 29 marzo 1945 nacque il mio primogenito e primo nipote della famiglia Iacobucci, il suo nome fu Mercurio». Abbiamo   voluto   fortemente   rivivere   questa   dolorosa   vicenda,   affinché  il ricordo del piccolo Mercurio non si perda nell’oblio della memoria.

di Antonio Salvatore

 

Toro piange un'innocente vittima della guerra (prima parte)

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La storia di Mercurio Iacobucci ha inizio il 07 ottobre 1943 durante il passaggio delle truppe tedesche in ritirata verso Campodipietra, Toro e San Giovanni in Galdo. I soldati germanici durante la loro marcia lasciano (se in maniera involontaria o meno, purtroppo non lo sapremo mai) nel podere della famiglia Iacobucci (che si trova a ridosso della strada) un micidiale ordigno attivo. Ordigno che cinque mesi dopo si rivelerà letale per il piccolo Mercurio. Mercurio nel marzo del 1944 ha solo 12 anni, sta pascolando spensieratamente le sue pecore, vede nell’erba un oggetto strano, forse lo scambia per un gioco, si ferma, lo raccoglie, si avvicina ad una pietra, accosta il torace alla pietra per imprimere più forza, impugna con decisione lo strano gioco, lo batte con forza sulla pietra. e… Per non dimenticare questa dolorosa pagina della storia di Toro, abbiamo chiesto alla Sig.ra Incoronata Rossodivita, moglie di Pasquale Iacobucci, fratello di Mercurio, di rivivere quei tragici momenti e raccontarci quell’amaro giorno di settant’anni fa: «faceva molto freddo quel pomeriggio del 28 marzo  1944,  Santuccio  e Mercurio raccomandati in mattinata da papà Giovannantonio andarono alla masseria in C.da Ripitella per accudire gli animali, Santuccio si occupò delle mucche, mentre Mercurio decise di pascolare le pecore. Ad un tratto uno scoppio fortissimo, Mercurio era morto. La prima persona ad accorrere fu Angelo Fracasso, subito dopo arrivai io ma fui fermata dallo stesso, il quale non mi permise di avvicinarmi. Ricordo ancora il sangue, la giacca che copriva il corpo e i frammenti della bomba, una specie di barattolino con dei fori al cui interno c’era un rocchetto con un filo. Nel frattempo arrivò anche papà  Giovannantonio che rientrato da Campobasso era passato per dare un’occhiata ai figli.

di Antonio Salvatore 

 

Mike Colalillo eroe di guerra bojanese

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Bandiere a mezz'asta e onori militari nel giorno del funerale svoltosi nella chiesa di St James Catholic Church in Duluth nel Minnesota. Figlio di immigrati italiani, Mike aveva 16 anni quando morì sua madre, qualche anno dopo si era arruolato e a soli 19 anni aveva incitato i suoi soldati a seguirlo in una difficile operazione militare il 7 aprile 1945 nei pressi di Untergriesheim Germania. Aveva combattuto ferocemente contro il nemico al solo scopo, diceva, di salvare la vita dei suoi soldati e la sua, dopo aver abbattuto militari tedeschi aveva dovuto portare a spalla un suo compagno soldato ferito. Appena dopo la difficile impresa, era stato raggiunto da graduati americani che dovevano scortarlo al quartier generale. Durante il percorso aveva avuto il timore che aveva fatto qualcosa "di grosso" da dover essere arrestato, ma al suo arrivo gli fu immediatamente comunicato di essere stato nominato per la "Medal of Honor". Aver combattuto, vinto, difeso e salvato tanti uomini, anche se ne aveva dovuto abbattere più di 25, non gli era mai sembrata una impresa, aveva solo fatto il suo lavoro, osava ripetere, aveva salvato la sua vita e quella di molti altri. Non amava ricordare quella esperienza, perché troppo dolorosa e traumatica, ricordava la sua paura, la paura di un ragazzo giovanissimo inconsapevole del suo destino, ma forte e deciso, costretto a reagire mentre vedeva cadere ai suoi piedi i compagni più cari. Era un uomo semplice e modesto Mike, formato e forgiato sicuramente dal padre Carlo e da quella cultura tipica dei nostri connazionali trasferitisi altrove in cerca di fortuna. La sua vera fama arrivò nel dicembre del 1945, quando insieme ad alcuni componenti della sua numerosa famiglia, entrò nella Sala Ovale della Casa Bianca, per essere insignito dell'alta onorificenza. Gli fu consegnata il 18 dicembre dal presidente Harry S. Truman: "Sono orgoglioso di te", gli disse "Vorrei aver meritato la stessa medaglia, più della nomina di Presidente''. Truman era salito al potere in un momento critico, nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale: la Germania era ormai quasi vinta ma rimaneva ancora aperto il conflitto nel Pacifico. È vero che il Giappone si stava avviando verso la sconfitta, ma si riteneva che non avrebbe mai chiesto la resa e la guerra avrebbe rischiato di prolungarsi, con gravi danni per i soldati statunitensi. E Truman si trovò così ad affrontare subito il grave problema se utilizzare la bomba atomica nella guerra. Durante l'amministrazione Roosevelt, i preparativi per quest'arma, a Los Alamos, erano stati estremamente segreti e lo stesso Truman li ignorava completamente finché non salì al potere. Spettò a lui quindi la grave responsabilità di sganciare la prima bomba atomica su Hiroshima, il 6 agosto 1945, e il 9 la seconda su Nagasaki. Queste le parole del presidente americano: “ Il mondo sappia che la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare. Abbiamo vinto la gara per la scoperta dell'atomica contro i tedeschi. L'abbiamo usata per abbreviare l'agonia della guerra, per risparmiare la vita di migliaia e migliaia di giovani americani, e continueremo a usarla sino alla completa distruzione del potenziale bellico giapponese”. Nel 1946 Mike Colalillo fu onorato di una manifestazione celebrativa cui partecipò l'intera città di Duluth, lo stesso anno tornò a scuola e nella sua squadra di calcio. La città di Duluth ricorda l'eroe Colalillo attraverso i racconti degli amici e conoscenti. Al nostro eroe gli è stato intitolato un parco e un busto in municipio. In onore dell’eroe Mike Colalillo sono previsti in Molise, sua terra di origine, significative iniziative socio culturali destinate soprattutto alle giovani generazioni. Oltre alla cerimonia celebrativa del Premio Ambassad’Or (uno dei passaporti d'oro di quest'anno, sarà alla memoria, mentre gli altri passaporti del 2012 saranno conferiti a personalità i cui curricula sono in corso di verifica) che sarà conferito proprio alla memoria di Mike Colalillo, si stanno gettando le basi per un programma culturale che l’associazione Ring (Recognising Italian National Globally), organismo internazionale propone di portare avanti. Ring riconosce le origini italiane ovunque e aggrega grazie ai suoi progetti, nuove comunità di italiani nel Mondo, interessate alla loro terra di origine apportando al nostro territorio significative opportunità di apertura e sviluppo. A tal proposito Ring intende indire un concorso sulla ricerca storica corroborato da scambi culturali con la città di Duluth nel Minnesota e con gli studenti delle scuole molisane, un programma di studio dedicato proprio al nostro eroe di guerra.

 di Antono Salvatore

 

 

Lettera inedita di Juno Borghese dal carcere di Regina Coeli

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Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese (Artena, 6 giugno1906–Cadice, 26 agosto 1974), conosciuto come Junio Valerio Borghese, fu uno dei combattenti italiani più arditi del secondo conflitto mondiale e tra le figure più controverse del secondo dopoguerra. Intrapresa la carriera militare come Ufficiale nella Regia Marina, partecipò a diverse imprese di sabotaggio ai danni dei britannici nel Mar Mediterraneo, tra le quali, la più nota è sicuramente “l’impresa di Alessandria”, come comandante del sommergibile Scirè.
L’operazione di sabotaggio, nome in codice “G.A. 3”, si svolse tra il 18 e il 19 dicembre del 1941 nel porto di Alessandria d’Egitto, quando dallo Scirè, posizionato nei pressi del porto, uscirono a cavallo di tre mezzi d’assalto subacquei (SLC 221, SLC 230, SLC 223), chiamati in gergo maiali, i sei uomini destinati all’azione: Tenente di Vascello Luigi Durand De la Penne, Capo Palombaro Emilio Bianchi, Capitano del Genio Navale Antonio Marceglia, Sottocapo Palombaro Spartaco Schergat, Capitano delle Armi Navali Vincenzo Martellotta, Capo Palombaro Mario Marino.
L’impresa, da tutti considerata impossibile, portò all’affondamento e al danneggiamento delle corazzate Queen Elizabeth e Valiant, del cacciatorpediniere Jervis e della petroliera Sagona, procurando così un colpo durissimo alla flotta britannica operativa nel Mediterraneo; a questo proposito, Churchill scrisse: «…sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo…».
Dopo l’8 settembre del 1943, Borghese aderì alla Repubblica Sociale Italiana, proseguendo la guerra al fianco delle truppe germaniche, svolgendo inoltre la funzione di Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Nazionale Repubblicana.
Arrestato dopo il 25 aprile 1945 e condannato a dodici anni di reclusione con l’accusa di “collaborazionismo”, fu liberato dopo tre anni di prigionia per effetto dell'amnistia “Togliatti”.
Dal 1951 al 1953 venne nominato Presidente Onorario del Movimento Sociale Italiano. 
Tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale, si fece ideatore e animatore, in collaborazione con Avanguardia Nazionale, di un fallito colpo di Stato, passato alla storia come "golpe Borghese".
Nel corso della sua detenzione presso il Carcere Giudiziario romano di Regina Coeli, in risposta a una missiva ricevuta dalla mamma di un marinaio caduto e appartenete all’equipaggio del sommergibile Scrirè, il Borghese scrisse una lettera, ad oggi inedita, di cui si riporta la trascrizione:
 
«Regina Coeli - Roma 
30 .  XII . ’48
Mia gentile e valorosa Signora _ non so dirvi quanto mi abbia commosso la Vostra lettera, scritta sulla carta intestata del  nostro indimenticabile e indimenticato “Scirè” _ e che mi ha portato, attraverso alla sacra parola di una Mamma, la voce dei miei Prodi ragazzi _ i quali giacciono, con le [---] in un punto non identificato, nel fondo del Mediterraneo Orientale; ma i cui spiriti sento vicini a me; sono Essi che mi hanno guidato nel scegliere la via dell’onore l’8 sett. ’43 _ e sono Essi che mi hanno tracciato la linea di condotta nella mia difesa processuale, ispirata non all’odio, ma solo all’amore costante verso la nostra Italia per la quale hanno dato tutto, e offerto serenamente la vita.
 Non so se dai giornali avete potuto seguire il processo: malgrado la cattiveria e la bassezza dei nostri nemici, che sono i nemici della Patria, sono riuscito a fare, proprio nell’aula della Corte d’Assise, la più bella celebrazione delle imprese dello “Scirè” e del suo valoroso equipaggio _ e una esaltazione della Marina Italiana _ Questo era il mio dovere: la sentenza che daranno i giudici non ha importanza: ma tengo più di tutto al giudizio che, dall’Al di là daranno su di me Enzo ed i suoi camerati _ e, in questo mondo, Voi e con Voi le altre Mamme e Spose che per l’Italia hanno dato tutto. _ Né mi lamento della mia sorte, quando penso ai miei sommergibilisti che, offrendo la loro vita, hanno fatto per l’Italia tanto più di quello che posso aver fatto io _ 
Nel Vostro inconsolabile dolore vi dia qualche conforto, cara Signora, sapere che il Comandante del vostro Enzo Vi è sempre vicino con l’animo, e che Enzo non è morto invano, se è qui fra noi ad ispirarci e guidarci sulla via dell’onore e del bene _ Mi creda, sempre Vostro
Valerio Borghese »
 
di Antonio Salvatore