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Temi globali

La guerra (non) è uno show

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La guerra senza giornalisti e fotografi che la raccontano dal fronte, mettendo in pericolo la loro stessa vita, rischia di essere ridotta solamente ad uno show. Cioè, quello che per gli italiani è diventata la guerra russo-ucraina, che appare ormai come un gigantesco talk-show. Ma la guerra non è uno spettacolo e non si racconta a suon di annunci, dibattiti e clamore. La guerra non si racconta nelle forme “ufficiali”, ma a suon di reportage. I telegiornali e i programmi di approfondimento si rivolgono sempre più ai reporter indipendenti, perché la guerra si racconta senza filtri. Ma, in un paese come il nostro, dove tutto è mediato, nel quale vi è libertà di stampa ma è soggetta a pressioni di diverso tipo, è più facile fare propaganda che racconto. 
La guerra ha, ad esempio, incrementato notevolmente gli ascolti di La7, soprattutto nel marzo 2022. Il network di Urbano Cairo ha avuto il merito di adeguarsi con dinamismo e velocità al cambiamento in atto, modificando il proprio palinsesto, aggiungendo quattro ore in più di informazione al giorno. Oggi, però, la guerra ha meno appeal. Il calo di interesse delle ultime settimane ha prodotto preoccupazione nel presidente ucraino Zelensky, che intervistato da “Axios” (start-up ideata dai fondatori di “Politico”) ha affermato con preoccupazione che “con il diminuire dell’attenzione, diminuirà anche la pressione sui leader mondiali affinché aiutino l’Ucraina”. Non c’è più spazio per il finto moralismo. Si parla di guerra finché conviene, finché fa audience. E si può mettere in un cassetto se incombono le elezioni. O, ancora meglio, decidere di non raccontarla, se la guerra è geopoliticamente e fisicamente lontana. La guerra è diventata un argomento mediatico di intrattenimento. Ma è giusto fare della guerra un talkshow? Esso è un genere televisivo che si regge su alcune regole fondamentali, quali il confronto di idee differenti per dare al pubblico gli elementi necessari per farsi una propria idea. Ma non si può guardare un dibattito sulla guerra sgranocchiando patatine dal divano di casa. La guerra va raccontata nella sua miseria, così come hanno fatto, ad esempio, la regista siriana Obaidah Zytoon e il danese Andreas Dalsgaard in “Lo spettacolo della guerra” (The war show): un docu-film che non indaga le ragioni, non risale alle cause: si limita a documentare. Se la guerra non fa più interesse mediatico, la causa è (anche) nel modo di raccontarla, perché ci si abitua che essa sia solo un tema dell’agenda politica, fino a considerarla parte della quotidianità. Ma se vedessimo ogni giorno la miseria e la crudeltà della guerra senza filtri, non ci potremmo abituare ad essa. Forse, per muovere le coscienze, si dovrebbe dare più spazio agli inviati al fronte e ai reportage che al clamore e alla retorica degli opinionisti, perché, in fondo, un’immagine vale più di mille parole. 
 
Daniele Leonardi
 

L’Ucraina dichiara guerra alle banche

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Il governo di Kiev, nella figura di Oleg Ustenko, consigliere economico del presidente Volodymyr Zelensky, ha accusato alcune delle maggiori banche mondiali di prolungare la guerra, in quanto creditori delle società che trattano petrolio russo. Il braccio destro di Zelensky ha parlato di “crimini di guerra” e ha chiesto ai CEO di questi grandi istituti finanziari di troncare i rapporti con le aziende russe. Dalle lettere inviate da Ustenko alle banche emergono i nomi di JPMorgan, HSBC, Citigroup, e Credit Agricole. A finire sotto accusa sono anche le principali società di commercio di materie prime - Vitol, Trafigura, Glencore e Gunvor – ree di vendere e acquistare petrolio russo. HSBC e Crédit Agricole detengono azioni di Gazprom e Rosneft, le compagnie petrolifere e di gas statali russe. Citigroup fornirebbe invece credito a Lukoil e a Vitol. Anche JPMorgan starebbe estendendo linee di credito a Vitol. Il suo fondo di investimento Russian Securities detiene inoltre partecipazioni in Gazprom, Sberbank e Rosneft, descritte nella lettera come alcune delle attività economiche più importanti del Cremlino. JPMorgan si è difesa affermando di aver svolto un ruolo attivo nell'attuazione delle sanzioni occidentali. Citigroup e Crédit Agricole invece non hanno fornito spiegazioni. A loro discolpa, bisogna sottolineare che le aziende accusate da Kiev applicano alla lettera le sanzioni internazionali. Inoltre, le sanzioni non impediscono di avere rapporti commerciali con la Russia. L'Ucraina però minaccia di trascinare le società sopracitate davanti alla Corte penale internazionale dopo la guerra. La banca francese Bnp Paribas è finita nel mirino della giustizia di Parigi per "crimini contro l'umanità" a causa delle sue attività in Sudan negli anni 2000. Un precedente che potrebbe pesare sulle decisioni di questi colossi finanziari. Oleg Ustenko ha anche minacciato che a tali banche sarebbe proibito di partecipare alla ricostruzione postbellica dell’Ucraina. Molte aziende, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, hanno ridimensionato o cessato le attività. Tuttavia, ancora oggi, alcune istituzioni finanziarie occidentali hanno ancora legami con le compagnie petrolifere russe perché il disinvestimento totale è molto difficile in quanto esso risulta ancora un business molto profittevole per gli istituti erogatori di credito. Non manca ovviamente l’ipocrisia di circostanza: Credit Agricole ha avviato una campagna a favore dell’Ucraina nella home del suo sito. 
 
di Daniele Leonardi
 
 
 

La guerra in Ucraina e la crisi del gas

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Mentre il Presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, ha chiesto al Congresso Federale ed agli Stati di sospendere per 90 giorni la tassa federale sulla benzina, arrivata alle stelle (circa 110 dollari al barile), è notizia di queste ore che l’Italia potrebbe vedere diminuiti oppure stoppati i rifornimenti di gas provenienti dalla Russia per ritorsione della stessa nei confronti nel nostro Paese reo di fornire armi alla Nazione guidata da Volodymyr Zelenskyj. Infatti secondo il capo dell'Agenzia internazionale per l'energia, Fatih Birol, “in Europa più ci avviciniamo all'inverno, più comprendiamo le intenzioni della Russia: uno stop completo delle forniture di gas russo per questo inverno. Credo che i tagli siano orientati ad evitare che l'Europa riempia i depositi e ad aumentare la leva della Russia nei mesi invernali. L'accensione di vecchie centrali elettriche a carbone degli Stati dell’Europa, sono sintomo della preoccupazione della crisi energetica in atto. L'Europa dovrebbe essere pronta nel caso in cui il flusso il gas russo fosse completamente interrotto”. Per tale motivo l’Esecutivo guidato da Mario Draghi, anche alla luce dell’aumento delle bollette di luce e gas avvenuto finora, estende per il terzo trimestre il bonus sociale per luce e gas per i nuclei familiari meno abbienti, azzera per i prossimi tre mesi gli oneri generali di sistema nel comparto elettrico e la riduzione dell’IVA per gas che resta al 5%. Ad oggi i giacimenti di metano italiani sono forniti al 55% delle loro potenzialità, ma la strada è ancora lunga per arrivare ad almeno il 90% di prodotto per far fronte alle fredde giornate della prossima stagione invernale.

di Domenico Abiuso

La democrazia contro la guerra

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Il Washington Post e il New York Times hanno trionfato agli Oscar della stampa americana. Il premio più importante, quello per il “giornalismo per il bene pubblico” è andato al Washington Post, premiato per la copertura dell’attacco al Congresso, il 6 gennaio 2021. Il premio Pulitzer venne istituito dal giornalista Joseph Pulitzer nel 1917 e rappresenta il massimo riconoscimento in ambito giornalistico. La selezione è curata dalla Columbia University di New York. A essere premiati soprattutto giornalisti e fotogiornalisti, ma ci sono anche sezioni esterne al mondo dell’informazione. Il New York Times ha conquistato il premio per il racconto investigativo e per la critica culturale con un reportage sui bombardamenti americani in Medio Oriente. La questione su cui porre il focus, però, è un’altra; si potrebbe usare questa notizia in due modi: il primo modo è pensare che le guerre degli americani fanno vittime innocenti. In questo caso potremmo passare per filorussi. L’altra prospettiva vede l’America, a differenza della Russia, come un Paese libero. La libertà di stampa negli Stati Uniti esiste per davvero, e un giornale americano può documentare le stragi delle guerre a stelle e strisce; addirittura, può essere anche premiato. Questa potrebbe risultare una chiave di lettura filoamericana. Entrambe le notizie sono vere, sia che l’America usa con spregiudicatezza la sua potenza militare per comandare nel mondo, sia che l’America è un paese libero, dove vi è la libertà di stampa e di espressione. La notizia di fondo è la stessa, la chiave di lettura cambia. Questa riflessione offerta da Michele Serra, una delle migliori firme italiane, in uno dei talk show più importanti d’Italia, ci ricorda che il fascino della libertà è ciò che attrare l’Ucraina verso l’Occidente. Quello stesso Occidente, però, ha fallito in Afghanistan perché non c’è nessuna guerra in nome della democrazia. Dopo 20 anni di presenza sul suolo afghano (è stata la guerra più lunga affrontata dall’esercito americano) il Pentagono ha annunciato il ritiro delle truppe il 31 agosto 2021. Gli Stati Uniti avevano iniziato la loro missione afghana in seguito agli attacchi dell’11 settembre, rivendicati da Al Qaeda e dal loro leader Osama Bin Laden. Il ritiro dell’esercito americano non solo ha sancito il ritorno al potere dei talebani ma ha spostato l’equilibrio geopolitico verso le dittature. La democrazia e le potenze occidentali ne sono uscite indebolite. Pochi mesi dopo Putin ha deciso di invadere l’Ucraina, forse anche perché gli Stati Uniti e la Nato non facevano più così paura. Gli americani, viceversa, hanno colto la palla al balzo per per trasformare l’Ucraina nel Vietnam o nell’Afghanistan della Russia, cioè, in una guerra di logoramento che indebolisca economicamente e geopoliticamente il Cremlino. "Siamo uniti con l'Ucraina perché se Kiev perde, tutte le democrazie perdono. Se dovesse succedere sarà più difficile sostenere che la democrazia è un modello di governo efficace". Queste sono state le parole del presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso del G7 alla quale ha partecipato in collegamento anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. La storia ci ha insegnato che le rivoluzioni nascono dal basso, che esportare la democrazia non si può (anche se le “missioni di pace” erano solo una definizione di facciata), ma che difenderla, però, è un dovere, perché la democrazia è il vero grande valore con cui americani ed europei possono combattere contro Putin ed ogni tipo di dittatura.

di Daniele Leonardi

Zelensky è il primo presidente influencer della storia

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Putin e Zelensky hanno adottato due registri comunicativi molto diversi. La strategia comunicativa del capo di Stato russo è quella di colui che deve giustificare l’uso della forza. In questi casi, prima di sferrare un attacco, un leader politico deve creare una narrazione pre-conflitto che giustifichi la folle scelta. Putin ha parlato di un’operazione speciale e non di guerra, facendo intendere, quindi, che si trattasse di un intervento di breve durata. Il leader russo utilizza un linguaggio basato su una retorica antioccidentale. L’ex KGB è un leader rigoroso e impassibile anche nell’abbigliamento. Siede in un’enorme stanza (la Sala di Santa Caterina del Cremlino) e si tiene a distanza dai suoi consiglieri e dai ministri in segno di autorità. Quella di Putin è una comunicazione istituzionale, iconografica, con rimandi al potere. Al centro dei suoi discorsi vi è la correzione della storia: uno strumento politico che i leader usano per giustificare le proprie azioni politiche. In Russia, vi è un’unica comunicazione di regime che vede i principali media affiliati e Putin. Anche Zelensky, ha unificato tutti i canali televisivi in un’unica piattaforma di comunicazione strategica attivo 24 ore al giorno. Anche qui, non c’è molto spazio per l’opposizione. Basta scorrere i post pubblicati sui diversi social media per rendersi conto di quanto sia cambiato radicalmente lo stile di comunicazione del presidente ucraino dopo l’invasione russa. Prima dell’accaduto, Zelensky si mostrava in abito scuro e cravatta. Dopo l’invasione, cade la forma istituzionale: egli è sempre in maglietta color cachi, al fianco dei militari. In uno dei primi video fatti circolare dopo lo scoppio della guerra, il presidente ucraino è circondato dai suoi collaboratori per le strade della capitale, dichiara di non voler lasciare il suo paese, diventando l’eroe della resistenza. Zelensky si rivolge al popolo come un amico. Nel suo discorso al Parlamento inglese, conferma il suo talento da oratore, citando dapprima Shakespeare e poi Winston Churchill. Anche il suo discorso al Parlamento europeo ha provocato commozione, persino all’interprete. E poi c’è la chiusa finale: il pugno destro verso l’alto, simbolo di lotta e resistenza. Zelensky ha più volto battuto il tasto dell’Europa, cercando di creare coinvolgimento attorno alla questione ucraina: se cade l’Ucraina, cade l’Europa. Il governo di Kiev ha anche fatto ricorso alla guerra psicologica, con l’attivazione di un sito web che consente alle famiglie russe di conoscere lo stato dei loro figli, soldati inviati al fronte di cui non hanno più notizie. Ironia della sorte, Zelensky si è fatto conoscere dal grande schermo per avere impersonato un Napoleone alquanto divertente che cercava di invadere la Russia. Zelensky è sempre stato un comico, ma soprattutto un attivista. Queste due facce si sono manifestate nella serie da lui ideata “Servant of the people”, ma ancora prima negli sketch del sabato sera che lo hanno reso celebre in Ucraina. Aleksej Naval'nyj, il principale oppositore interno di Putin, è la dimostrazione che un’altra comunicazione, anche in Russia, è possibile. Da YouTuber a politico, si è candidato a sindaco di Mosca, sfiorando il ballottaggio con il candidato del partito di Putin. Naval'nyj ha costruito la sua figura sui social, in particolare su YouTube. Anche Zelensky è partito da Youtube. In realtà tutto è iniziato da Vasily Petrovich Goloborodko, il professore da lui interpretato nella serie da lui ideata “Servant of the people”. Zelensky impersonava un uomo diventato presidente per caso grazie alla viralità di un video. Dopo cinque anni, lui stesso è diventato presidente, stavolta non per caso, ma sfruttando la popolarità che ha ottenuto con la serie. Questa è la prima volta nella storia che una fiction televisiva diventa un veicolo politico. “Sluha Narodu”, il nome originale della serie, ha avuto un successo senza precedenti in Ucraina: è in assoluto la serie più vista della storia del Paese. Il presidente ucraino non è solo un leader moderno che adotta una comunicazione basata sui social network; Volodymyr Zelensky è il primo presidente influencer della storia. 
 
di Daniele Leonardi