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Temi globali

L’intelligenza artificiale in guerra

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Il conflitto in Ucraina anticipato l'uso dell'intelligenza artificiale in guerra: la Russia, ad esempio, utilizza le cosiddette "munizioni vaganti" (o "droni kamikaze") contro l'Ucraina: un mix tra un drone "normale" e un razzo in grado di colpire un'area specifica, cercando e determinando autonomamente il bersaglio. il primo caso registrato di un sistema autonomo che ha ucciso una persona senza il coinvolgimento di un operatore, tuttavia, si è verificato nella primavera del 2020 in Libia (secondo le Nazioni Unite). Software come Chat GPT l’ha fatta conoscere al grande pubblico ma l’intelligenza artificiale non è una scoperta recente, anzi la utilizziamo quotidianamente da diverso tempo (quando usiamo Google Maps o quando parliamo con gli assistenti vociali, ad esempio). Il termine stesso di "Intelligenza artificiale" è stato utilizzato in relazione ai vari software sin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, ma dall'inizio degli anni 2000, l'Ia ha fatto passi da gigante. In 200 anni, gli esperti considerano quattro grandi rivoluzioni: l’introduzione delle macchine meccaniche, poi quelle elettromeccaniche, l’avvento del digitale e l’intelligenza artificiale. Michael Horowitz, professore all’Università della Pennsylvania, paragona l’intelligenza artificiale alla scoperta del motore a combustione interna o dell’elettricità, dividendo le sue applicazioni militari in tre categorie: la prima consiste nel permettere alle macchine di funzionare senza supervisione umana, la seconda nel processare e interpretare ampi volumi di dati, e la terza nel contribuire, o addirittura nel dirigere in prima persona, le attività belliche di comando e controllo. 
Durante il Web Summit sulle tecnologie che si è tenuto a Lisbona, Stephen Hawking ha dichiarato: “Il successo nella creazione di un AI efficace potrebbe essere il più grande evento nella storia della nostra civiltà, o il peggiore, non lo sappiamo; quindi, non possiamo sapere se saremo infinitamente aiutati dall'AI, o distrutti da essa”. Elon Musk, coinvolto inizialmente nel progetto “OpenAI”, un’azienda di intelligenza artificiale fondata nel 2015 a San Francisco, ha definito l’intelligenza artificiale “un rischio per l’umanità”. L’intelligenza artificiale è “pronta a cambiare la natura stessa del campo di battaglia del futuro”, ha dichiarato il dipartimento della difesa degli Stati Uniti nel suo primo documento strategico relativo all’intelligenza artificiale, del febbraio 2019. Nell’estate 2018 il Pentagono ha lanciato il Centro di coordinamento per l’intelligenza artificiale (Jaic) e quest’anno a marzo si è riunita per la prima volta la Commissione per la sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale. Ha avuto luogo all’Aia, in Olanda, il primo vertice globale sull'intelligenza artificiale responsabile nel dominio militare (REAIM), che ha visto la partecipazione di rappresentanti di oltre 60 paesi, inclusa la Cina. Non è stata invitata la Russia, mentre l’Ucraina non ha partecipato. Un primo risultato è stato ottenuto con la firma di un accordo per mettere l'uso responsabile dell'IA in cima all'agenda politica, firmato dalla maggior parte dei partecipanti, confermando l’impegno nello sviluppo e utilizzo dell'IA militare in conformità con "obblighi legali internazionali e in un modo che non comprometta la sicurezza, la stabilità e la responsabilità internazionali”. L'amministratore delegato di Palantir, azienda statunitense specializzata nelle nuove tecnologie e nell'analisi di big data che ha partecipato al REAIM, ha parlato del coinvolgimento della propria azienda nel conflitto in Ucraina: “Siamo responsabili della maggior parte degli attacchi” ha detto Alex Karp di Palantir. La sua impresa sfrutta l'intelligenza artificiale per colpire obiettivi russi. Fra i servizi di Palantir la possibilità di analizzare i movimenti satellitari e i feed dei social media per aiutare a visualizzare la posizione di un nemico. Secondo Vincent Boulanin, direttore dello Stockholm Peace Research Institute (SIPRI), vi è sempre rischio teorico che il robot esegua un'azione che non ci si aspetta, noto come il “problema della scatola nera”.  è necessario insegnare ai militari a non affidarsi troppo all'Ia: non è un "robot che non sbaglia mai", ma un ordinario sistema creato dall'uomo che ha i suoi limiti e svantaggi. Vi è poi un rischio potenziale legato alla diffusione di queste tecnologie al di fuori dell’ambito militare e consegnarlo alla criminalità. 
 
di Daniele Leonardi
 

La prima guerra nel cyberspazio: un anno dopo

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Un popolo, quello europeo, abituato a vedere la guerra solo in Call of Duty, si ritrova la crudeltà del conflitto reale nei feed social dei propri smartphone, improvvisamente. Le immagini della guerra irrompono nella nostra quotidianità. I social non sono più solo il luogo di condivisione della nostra quotidianità ma diventano anche uno strumento di informazione, il media con cui Zelensky decide di costruire la sua strategia di comunicazione. La connessione diventa fondamentale non solo da un punto di vista sociale, ma anche all'interno di una strategia di propaganda. La sera del 26 febbraio il ministro della Difesa ucraino chiede aiuto a Elon Musk proprietario di Starlink, un sistema di satelliti che assicura copertura Internet anche in mancanza di infrastrutture sul suolo. Questa contromossa non prevista da Putin spariglia le carte in tavola. In questo modo l'isolamento dell'ucraino non può più avvenire, ciò a cui Putin auspicava. Il presidente russo mirava a distruggere le infrastrutture ucraine. Una svolta che arriva lontano dai campi di battaglia e assicura il racconto della guerra in diretta, al resto del mondo. In questo modo, attraverso le moderne tecnologie, la guerra ci viene restituita e documentata in tempo reale. Oltre alle comunicazioni sull’andamento del conflitto, sui social, in particolare Telegram, si possono trovare indicazioni per raggiungere i rifugi antiaerei o lasciare il paese in sicurezza, istruzioni per costruire bombe molotov, cercare parenti e amici dispersi. Ma anche tanta disinformazione e propaganda russa. La verità è un confine sottile nelle immagini che popolano i nostri feed. Una guerra che fa i conti con la verità e le fake news che circolano in rete. Viene messa in discussione l’oggettività dell’immagine, e la verità che racconta viene messa in discussione. Testate come il New York Times hanno fatto un lavoro di verifica di veridicità delle immagini che circolano in rete. La strategia del presidente russo è di isolare l’ucraina: prima avvertendo nel videomessaggio iniziale che ci sarebbero state conseguenze per chi avesse aiutato l’ucraino, poi cercando di interrompere le loro comunicazioni e successivamente isolando l’ucraina dal punto di vista energetico. Niente luci e niente riscaldamento in pieno inverno. Una guerra, che si combatte con le armi tradizionali ma anche con la comunicazione: quella di Zelensky, moderna e social, di grande impatto emotivo, e quella di Putin, novecentesca, rigida, basata sul terrorismo. Questo anno di guerra in Ucraina ci ha insegnato che una nazione non ha bisogno di possedere satelliti o avere un forte programma spaziale per partecipare e prosperare nelle guerre moderne. Meno di 24 ore dopo l'invasione dell'Ucraina, Anonymous ha dichiarato guerra alla Russia di Putin, dando il via ad una cyber-guerra. In un video postato su Twitter, il collettivo parla al mondo attraverso un uomo incappucciato e col volto coperto dalla celebre maschera di Guy Fowks. Una mobilitazione senza precedenti di hacker e cyberattivisti in ogni parte del mondo, i quali hanno messo a segno diversi colpi ma ridimensionati sempre ad episodi di breve durata. “Il cyberspazio è stato in realtà importante per tutto ciò che era prima del conflitto, tramite la propaganda, o attacchi a siti di informazioni”, ha dichiarato Stefano Mele, avvocato e membro del Comitato atlantico italiano, in un’intervista sul canale YouTube dell'esperto di sicurezza informatica e amministratore delegato di The Fool, Matteo Flora. All’inizio dell’invasione, l’Ucraina non aveva alcuna capacità spaziale nazionale. Ma la disponibilità di servizi satellitari commerciali esistenti e crescenti e di tecnologie avanzate ha drasticamente alterato l’accesso di tutte le nazioni allo spazio e quindi alla guerra moderna. Lo spazio è fondamentale per la condotta della guerra moderna, sia in termini di puntamento di precisione con armi a guida GPS, comunicazioni commerciali o sorveglianza satellitare. 
 
di Daniele Leonardi
 

Qatargate: uno scandalo mondiale

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Lo scandalo che prende il nome di Qatargate, l’inchiesta che ha travolto la Fifa e il Parlamento Europeo, non è solo una storia di sport e corruzione. A leggere le cronache di molti giornali sembra quasi che lo scandalo sia scoppiato adesso. Le accuse di corruzione e di accordi con il Qatar nel Parlamento europeo, culminate con l'arresto della vicepresidente dell'Europarlamento, la greca Eva Kaili, e il coinvolgimento di diversi esponenti politici, anche italiani, non rappresentano una novità. Basta riprendere l'intervista dell’ex presidente della Fifa Blatter al giornale elvetico «Tagers Ainzeger il quale raccontava come tutti i vertici internazionali si fossero trovati d'accordo sul fatto che i mondiali 2022 avrebbero dovuto svolgersi negli Stati Uniti dopo quelli organizzati quattro prima in Russia: una scelta strategica a livello geopolitico. All'ultimo momento, Platini, numero uno della Uefa, puntò invece sul Qatar. Un paese senza alcuna cultura calcistica e senza infrastrutture adeguate. A far cambiare idea al tre volte pallone d’oro francese fu la pressione esercitata dal presidente transalpino Nicolas Sarkozy che aveva un accordo con il principe ereditario del Qatar, Tamin bin Hamad al-Thani. Gli sceicchi acquistarono jet da combattimento francesi per 14,6 miliardi di dollari, in cambio del voto favorevole di Platini per l’assegnazione dei mondiali in Qatar. Da lì a breve la Qatar Sports Investment che ha acquisito il PSG nel 2011.
Un accordo che andava ben oltre gli aspetti sportivi e commerciali. Il Qatar ha deciso di investire nel calcio per aumentare la sua visibilità e il suo peso all’interno dello scacchiere geopolitico mondiale. L’emirato arabo ha passato gli ultimi 15 anni a creare la nazionale perfetta a suon di oriundi, utilizzando la regola che permette di naturalizzare calciatori (che hanno superato i diciotto anni) che per cinque anni hanno giocato nel Paese e che non hanno giocato mai nella loro nazionale d’origine, selezionando ragazzi da 16 diversi paesi, in particolare dall’Africa, facendoli sfidare tra di loro nelle “Aspire Academy”, in stile reality show. Già nel 2011 alcuni alti funzionari della Fifa iniziarono a sollevare dei dubbi sulla regolare assegnazione del Mondiale del 2022. Nel 2014 la rivista Sunday Times pubblica una serie di mail e di bonifici, i quali sarebbero indirizzati ai dirigenti Fifa per sostenere la candidatura del paese arabo ai Mondiali. Non solo il mondiale più discusso, ma anche il più costoso di sempre: 220 miliardi di euro spesi dal Qatar per costruire gli stadi, ovvero oltre il 10% del PIL italiano. Le condizioni di lavoro eccessive hanno portato alla morte di oltre 6000 operai, quasi tutti di manodopera estera. I mondiali in Medio Oriente avrebbero potuto rappresentare una svolta verso la democratizzazione e invece hanno rappresentato l’espressione del potere autoritario. 
 
di Daniele Leonardi
 

Taiwan e la trappola di Tucidide

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Per gli Stati Uniti, Pechino è da tempo diventato il primo rivale. Gli Usa hanno spostato il centro della loro strategia geopolitica nell’Asia-Pacifico. Nel settembre 2015, in un discorso tenutosi a Seattle, il presidente cinese Xi Jinping ha evocato la trappola di Tucidide per esortare gli Stati Uniti e la stessa Cina ad evitare il tipico confronto dal prevedibile sbocco violento tra potenza consolidata e potenza emergente, come accadde fra Sparta e Atene. Senza andare a sindacare la bontà di tale metafora, il suo richiamo storico basta ad intendere come la tensione tra Cina e Stati Uniti negli ultimi anni sia sempre più alta. Ad accendere ancora di più la miccia, è stata la recente visita della speaker della camera statunitense Nancy Pelosi in Taiwan. Taiwan, che dà il nome all'isola di Formosa, rappresenta il corpo principale del territorio oggi amministrato dal governo di Taipei. L’isola è abitata da 23 milioni di persone, ha una posizione strategica e un'economia fiorente, tra le prime 20 del pianeta. Taiwan cerca di tutelare una indipendenza molto complessa: la Cina considera Taiwan territorio nazionale dal 1945, e vuole annetterla entro il 2049, come dichiarato da Xi Jinping, per aumentare l'influenza militare sul Pacifico. Una data non casuale, nel 1949 Taiwan si proclamò come Repubblica Popolare Cinese. Ancora oggi la Repubblica di Cina è il nome ufficiale di Taiwan. Da allora entrambe le entità affermano di essere l'unica autorità legittima dell'intera Cina, ma nel corso dei decenni successivi la quasi totalità della comunità internazionale ha riconosciuto il governo di Pechino invece che quello di Taiwan. Due Stati che affermano di rappresentare il popolo cinese. Nel mondo oggi solo 15 stati riconoscano Taiwan come stato indipendente, tra di essi non compaiono gli Stati Uniti. Gli Usa, infatti, riconoscono Pechino come depositario ufficiale della Cina, eppure continuano a sostenere Taipei in chiave anticinese. Mentre il governo taiwanese continua a professare la propria autonomia e indipendenza dalla Cina continentale, la Cina considera l’isola una provincia ribelle da annettere. La volontà cinese provoca l'opposizione degli USA, poiché, se Taiwan dovesse essere assorbita dalla Cina, gli Stati Uniti perderebbero un baluardo piazzato a metà strada tra il Mar Cinese Meridionale e Orientale. Per questo, dopo anni di freddezza Washington è tornata ad avvicinarsi a Taiwan. Con la presidenza di Donald Trump, il governo americano ha rifornito di armi Taipei e rassicurato l’isola di tutto il sostegno militare necessario in caso di possibili minacce da parte di Pechino. Taipei punta sul sostegno militare degli Stati Uniti, i quali difendono i loro interessi economici e geopolitici. Biden ha proseguito la linea intrapresa da Trump e la visita di Nancy Pelosi ha accresciuto la tensione che intercorre tra la Repubblica Popolare cinese e la Repubblica di Cina. Apparentemente sono molti i fattori di correlazione con la situazione Ucraina-Russia, ma in realtà, ci sono profonde differenze: sembra scontato, ma la Cina non è la Russia e Taiwan non è l’Ucraina. Kiev è il sessantasettesimo partner commerciale di Washington, Taipei (capitale di Taiwan) il nono. Taiwan è la ventunesima economia al mondo ed è la patria della produzione dei semiconduttori. Nonostante le tensioni politiche e militari, nel 2021 le esportazioni di Taipei verso Pechino sono cresciute del 24,8%, raggiungendo il loro massimo storico. La questione si poggia su un delicato equilibrio che sembra vacillare sempre più: gli Stati Uniti hanno ribadito di insistere sulla risoluzione pacifica delle divergenze tra le due parti, ma hanno scelto da che parte stare. Joe Biden, nell’ottobre 2021, disse: “Se Taiwan fosse attaccata, certo che interverremmo”. Dichiarazione che va di pari passo con le esercitazioni militari pubbliche dei marines con le forze armate taiwanesi. Se una visita presidenziale costituisce un riconoscimento di fatto della sovranità del paese in cui si è ospiti, Pechino vede la visita di Pelosi, terza carica statunitense, come un tentativo di Washington di oltrepassare i contorni di quella linea rossa invalicabile. il presidente Xi Jinping ha inviato un chiaro messaggio al collega Joe Biden: “chi gioca col fuoco, finisce per bruciarsi”. La Cina tiene molto alta la tensione, ritenendo che solo aumentando la tensione sia possibile far ragionare tutti. Dal 4 agosto la Cina sta svolgendo una grande esercitazione militare con munizioni vere, cominciata non appena Pelosi ha lasciato l’isola. Il richiamo a Tucidide del presidente cinese Xi Jinping, suggerisce che molti ritengano il contesto internazionale attuale, nella sua essenza, non differente da quello di cui Tucidide scriveva, con la politica internazionale che sembra non cambiare mai.

di Daniele Leonardi

Dare voce alle donne in Iran

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Ha fatto il giro del mondo la scelta dei calciatori iraniani di non cantare l’inno nazionale prima della partita contro l’Inghilterra. Nell’incontro successivo con il Galles, i calciatori asiatici sono stati costretti a cantarlo su pressione del governo iraniano. Alcuni tifosi hanno iniziato a fischiare, altri sono scoppiati in lacrime. L’uscita della nazionale dal mondiale è stata accolta da festeggiamenti nelle strade. Quella in Iran è diventata un’insurrezione popolare che è sfociata in una serie di esecuzioni. Donne e uomini cantano e ballano insieme nelle strade, nelle piazze e nelle metropolitane di Tehran, anche se è vietato. La video blogger di 16 anni, Sarina İsmailzade, uccisa il 23 settembre a manganellate in testa, aveva riassunto il sentimento popolare in un suo video-clip sul suo canale YouTube: "Non siamo come la generazione di 20 anni fa che non sapeva cosa fosse la vita al di fuori dell'Iran. Ci chiediamo perché non possiamo divertirci come le adolescenti di New York o Los Angeles". Shervin Hajipour è un cantante iraniano, arrestato dal regime per aver pubblicato un video di una canzone, le cui strofe sono dai testi dei tweet in sostegno della lotta delle donne iraniane. Nei giorni scorsi si è celebrata la giornata contro la violenza sulle donne, quelle stesse che per scendere in piazza, in nome della libertà, combattono contro stupri e abusi. Gli stessi che vengono attuati nelle carceri femminili. La brutalità di queste azioni è stata ripresa dalla Cnn. L’Onu ha definito critica la situazione. Il carcere di Teheran è diventato luogo di morte e torture. È stata rinchiusa lì la blogger italiana Alessia Piperno per 43 giorni, salvo poi essere liberata grazie al lavoro di diplomazia del governo italiano e dei servizi d'intelligence. 
Da quel 16 settembre in Iran qualcosa è cambiato. La morte di Masha Amini ha innescato un’onda di insurrezione che non si ferma, nonostante, i gruppi per i diritti umani stimano che, ad oggi, almeno 326 persone siano state uccise e circa 14.000 arrestate.  
 
di Daniele Leonardi