Embedded Agency >

Temi globali

Nuove frontiere dell'esercito digitalizzato

Valutazione attuale:  / 0
 Mercoledì 3 aprile, presso il Centro Simulazione e Validazione dell’Esercito di Civitavecchia (Ce.Si.Va.), si è svolto “Media-Day” dal titolo “I simulatori per il soldato del futuro”.  Obiettivo dell'incontro con la stampa specializzata nel settore del “virtual training”, è stato quello di far conoscere la realtà addestrativa del Ce.Si.Va., presentare le innovazioni legate allo sviluppo e alla sperimentazione dei sistemi di comando e controllo e focalizzare l’attenzione sulla progressiva digitalizzazione dell’Esercito nel contesto del programma della Difesa, denominato Forza NEC (Network Enabled Capability), un progetto in grado di velocizzare lo scambio di dati e informazioni provenienti dalla zona di operazioni, e fornire al comandante di un’unità la possibilità di decidere più velocemente. Il Centro Simulazione e Validazione dell’Esercito, costituisce il principale riferimento per l’applicazione della simulazione addestrativa nell’approntamento dei posti comando delle unità destinate all’impiego fuori del territorio nazionale, focalizza le proprie attività sull’organizzazione di esercitazioni volte ad attestare il raggiungimento delle capacità operative “fondamentali” per l’assolvimento della missione, utilizzando sistemi informatici tecnologicamente avanzati di simulazione e di comando e controllo. Ma al Ce.Si.Va. è stata anche assegnata la responsabilità di sperimentare i sistemi integrati per l’addestramento terrestre, di simulazione e di comando e controllo, in funzione dell’ammodernamento di settore, nonché i sistemi per la digitalizzazione del campo di battaglia nel contesto del più ampio programma della Difesa denominato “Forza NEC” (Network Enabled Capability).  I lavori del “Media day” si sono aperti con il saluto di benvenuto da parte del Comandante del Centro, il Gen. D. Roberto D’Alessandro, a cui ha fatto seguito l’intervento del Gen. B. Manlio Scopigno finalizzato ad evidenziare mission, compiti e prospettive future del Ce.Si.Va. L’incontro con la stampa è quindi proseguito con le presentazioni del Capo Ufficio Sperimentazione, Col. Raffaele Schena e del Capo Sezione Sperimentazione, il Ten. Col. Roberto Mozzicato. Il Col. Schena, per linee generali, ha illustrato il programma Forza NEC, mentre il Ten. Col. Mozzicato si è soffermato sull’ITB di Forza Armata e sullo sviluppo della 1^ Sessione d’Integrazione Operativa (S.I.O.) del 2019 in corso di svolgimento al Ce.Si.Va.. La giornata si è infine conclusa con la visita ai locali dell’Integration Test Bed (I.T.B.), dove vengono studiati e testati i sistemi integrati per l’addestramento terrestre, di simulazione e di comando e controllo.
 
fonte Centro Simulazione e Validazione dell'Esercito
 

Quando si viveva nella paura, l’Italia negli anni bui

Valutazione attuale:  / 0

La storia è una “maestra di vita” che ripercorre gli avvenimenti del passato che hanno caratterizzato i cambiamenti geopolitici, culturali ed economici di un territorio. Volgendo lo sguardo al nostro Paese e focalizzando l’attenzione a partire dal primo Ventennio del ‘900, con l’avvento del regime fascista nel 1922, si può notare una deriva autoritaria che portò nel 1926 alla promulgazione delle leggi fascistissime. Una serie di norme che consentivano di considerare “legali” solo i giornali e le associazioni socio-culturali che erano in linea con il pensiero politico del governo dittatoriale in carica o venivano controllati dallo stesso. Allo stesso tempo fu abolito lo sciopero e si stabilì che soltanto i sindacati fascisti potevano esercitare le loro funzioni. Ben più grave fu l’emanazione delle leggi razziali nel 1938, a seguito dell’allineamento politico e filosofico con la Germania hitleriana; un regolamento legislativo discriminatorio nei confronti di ebrei, zingari e disabili e che considerava “pura” solo la razza ariana. Un altro periodo storico “buio” per l’Italia, fu quello a partire dal 1968 fino agli anni Ottanta con i cosiddetti “anni di piombo”, che videro l’ascesa delle Brigate Rosse e del terrorismo di estrema destra, e che ebbero come conseguenze atti di violenze nelle piazze, stragi e attentati contro esponenti politici. Tra i maggiori  gesti di violenza ricordiamo: la strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969 (17 morti e 88 feriti); la strage di Gioia Tauro del 22 luglio 1970 (6 morti e 66 feriti); la strage di Peteano a Gorizia del 31 maggio 1972 (3 morti e 2 feriti); la strage della Questura di Milano del 17 maggio 1973 (4 morti e 52 feriti); la strage di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 (8 morti e 102 feriti); la strage dell’ Italicus a San Benedetto Val di Sambro (BO) sul treno Roma Brennero del 4 agosto 1974 (12 morti e 105 feriti); sequestro (16 marzo 1978 in Via Fani) e uccisione (9 maggio 1978 e ritrovamento in Via Caetani) dell’ex Presidente del Consiglio e Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro; strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980  (85 morti e 200 feriti). Tutto ciò instaurò un clima di paura nella popolazione italiana nel suo vivere quotidiano. Un clima che purtroppo sembra riaffiorare alla luce anche degli ultimi avvenimenti riguardanti episodi di razzismo e di suprematismo bianco come il caso di Luca Traini o il rischio di attentato terroristico ad opera di alcune cellule jihadiste operative in Italia o per via dei foreign fighters di rientro dai territori del Califfato.

di Domenico Pio Abiuso

Nicolas Maduro e la crisi venezuelana

Valutazione attuale:  / 1
Dall’avvento nel 2013 alla presidenza della Repubblica del Venezuela di Nicolas Maduro, già vicepresidente e Ministro degli Esteri, lo stato sudamericano vive una forte crisi umanitaria socio-economica, produttiva, occupazionale e istituzionale. Dalla “presa del potere” di Maduro, l’inflazione oscilla tra il 700 e il 1.100% e la moneta nazionale, il bolivar, è ormai svalutata. Il deprezzamento monetario ha avuto come conseguenza da parte delle persone il non potersi permettere di comprare beni di prima necessità come cibo, costrette a frugare tra la spazzatura con la conseguente perdita di peso soprattutto da parte dei bambini, medicine, nelle farmacie è presente solo il 38% dei medicinali di base ed il carburante. La depressione monetaria in atto nella Nazione ha portato e sta portando ad un crollo produttivo delle industrie dovuto alle mancanza di materie prime, con ripercussioni sull’occupazione, soprattutto giovanile, dovute alla chiusura di queste ultime. Il paese sta avendo contraccolpi anche a livello istituzionale in quanto Maduro di fatto ha violato l'ordine costituzionale, esautorato il parlamento e l’opposizione e rivoluzionato il sistema democratico dello Stato. Per queste ragioni ci sono state veementi manifestazioni di protesta da parte della popolazione e della stessa opposizione, talvolta culminate con la morte di manifestanti. Nel 2019 a seguito della rielezione di Maduro alla carica di Presidente della Repubblica, il leader della minoranza governativa, Juan Guaidò, ha dichiarato illegittimo il mandato di Maduro e si è autoproclamato Presidente della Repubblica Bolivariana. Il rivale di Maduro è stato riconosciuto come presidente ad interim dal presidente statunitense, Donald Trump e dai governi di Francia, Regno Unito, Canada, Brasile, Colombia, Paraguay, Argentina, Perù, Ecuador, Cile, Guatemala e Costa Rica; invece Russia, Cina, Messico, Bolivia, Uruguay, Turchia, Nicaragua ed El Salvador continuano a riconoscere Maduro come presidente legittimo. Si spera al più presto in un intervento risolutivo o in nuove elezioni, questa volta veramente democratiche per risollevare le sorti della Nazione sudamericana e non farla cadere nel baratro.
 
di Domenico Pio Abiuso
 

Strasburgo, attentato terroristico ai mercatini natalizi

Valutazione attuale:  / 0

Lo scorso martedì 11 Dicembre, il 29enne Cherif Chekatt, ha ucciso 4 persone e ferito 14 ai mercatini di Natale di Strasburgo, tra le capitali del jihad in Francia. Il terrorista Cherif Chekatt, schedato come un radicalizzato, nato il 4 Febbraio 1989 a Strasburgo, ha ucciso per rivendicare i fratelli morti in Siria. Condannato già 20 volte per reati minori, Chekatt ha scontato anche una pena di 2 anni di detenzione per un’aggressione con un coccio di bottiglia. La sera dell'attentato portava con sé una pistola e un coltello mentre camminava lungo la Rue du Lazaret, nel quartiere di Neudorf. Dopo aver sparato sulla folla è fuggito con un taxi facendo perdere le sue tracce. 48 ore dopo è stato neutralizzato dalla polizia francese e ucciso in un blitz delle forze speciali. Soltanto due giorni dopo l’attentato, l’Isis ne ha rivendicato la paternità tramite l’agenzia Amaq. Il “lupo solitario” avrebbe agito in risposta all’invito pressante di colpire nella terra dei “kuffar”, "un soldato, quindi, che ha ucciso per rivendicare i civili uccisi dalla coalizione internazionale”, così è stato definito Cherif Chekatt dall’agenzia Amaq. I mercatini natalizi ricordano l’attentato di Anis Amri a Berlino. Inoltre i disordini avvenuti in Francia nelle ultime due settimane hanno creato un clima di tensione tanto che l’attentatore ha potuto facilmente raggiungere l’obiettivo facendo tra l’altro leva sui timori della società. Ciò nonostante, il ministro degli interni francese Christophe Castaner, ha annunciato la riapertura oggi 14 Dicembre dei mercatini di Natale, motivata dalla volontà di “non cedere alla paura”.

di Noemi Genova

Attacchi con il coltello, così l'Isis vuole continuare a terrorizzare

Valutazione attuale:  / 0

Il recente attentato di Melbourne, rivendicato dall’Isis, ha riportato in auge la tecnica terroristica legata all’uso dei coltelli, ampiamente documentata in vari articoli sulle riviste del presunto Stato Islamico e in particolare su Rumiyah (ISSUE 2) nell’articolo “Just Terror Tactics” (Knife attacks). “Qualcuno potrebbe chiedersi perché i coltelli rappresentano una buona opzione per un attacco. I coltelli, anche se sicuramente non sono l’unica arma per arrecare danno al kuffar (miscredente), sono ampiamente disponibili in ogni terra e quindi facilmente accessibili. Ci sono alcuni estremamente facili da nascondere e altamente letali, soprattutto nelle mani di qualcuno che sa come usarli efficacemente. Quando si sceglie un coltello, si dovrebbe fare attenzione prima di tutto alla sua affilatezza. Poi si dovrebbe considerare la forza della lama e del manico e cercare qualcosa che sia adatto al lavoro da compiere. Inoltre non dovrebbe essere molto largo, poiché risulta poi difficile nasconderlo. Lame seghettate o semi-seghettate costituiscono buoni coltelli da combattimento. E’ esplicitamente consigliato di non usare coltelli da cucina, poiché la loro struttura di base non è progettata per un assassinio o una carneficina.” A questo punto sull’articolo si consiglia di usare i coltelli con la lama fissa, ovvero quelli in cui manico e lama sono realizzati con un unico pezzo di metallo. “Quando si conduce un’operazione col coltello non è consigliato prendere di mira aree troppo affollate o raduni, poiché ciò rappresenta uno svantaggio e aumenta la probabilità di fallire nella missione. Il rischio è dunque quello di essere bloccati preventivamente e di essere ostacolati nel raggiungimento dell’obiettivo.” In questa guerra asimmetrica sembra proprio che l’Isis pur di rimanere nell’onda mediatica continui a sollecitare i suoi seguaci ricorrendo a delle tecniche rudimentali.

di Noemi Genova

Generale Vecciarelli nuovo capo di Stato Maggiore della Difesa

Valutazione attuale:  / 0
Il passaggio del testimone al vertice delle Forze Armate si è svolto alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del Vicepresidente della Camera, Mara Carfagna e del Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta ed è stato salutato dalla partecipazione di numerose Autorità civili, militari e religiose. “In questi ultimi anni abbiamo visto le Forze armate occupare un ruolo sempre più importante nella vita del Paese” – ha affermato il Ministro della Difesa durante la cerimonia del cambio del Capo di Stato Maggiore della Difesa – “esse si sono costruite un patrimonio di credibilità, esperienza e capacità, sia di fronte all’opinione pubblica nazionale che a quella internazionale, che dobbiamo preservare in tutti i modi e oggi” – ha continuato il Ministro – “sono sempre più impegnate a presidio della sicurezza interna ed esterna del Paese, per il bene dei cittadini”. Dinanzi ad uno schieramento in armi di reparti dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, il Generale Graziano, all’atto della conclusione di circa 44 mesi di responsabilità alla guida dello strumento militare, ha voluto accomiatarsi dagli uomini e dalle donne delle Forze Armate sottolineando che “l’Italia è un Paese di riferimento per la NATO e membro attivo per le Nazioni Unite e tale ruolo ci pone nelle condizioni di poter partecipare da protagonisti a tutti i meccanismi ed i progetti di interesse che si sviluppano nell’arena internazionale“ - ha poi aggiunto - “la mia esperienza da Capo di Stato Maggiore della Difesa mi lascia, anzitutto, una ferma consapevolezza: quella di aver avuto il privilegio di guidare sul campo i migliori soldati del Mondo. Per questo sono grato alle Istituzioni che mi hanno consentito di vivere questo intenso ed emozionante percorso, costellato di soddisfazioni professionali e morali, ma anche di momenti di preoccupazione, in cui sono stato chiamato ad assumere scelte impegnative, che avrebbero potuto mettere a rischio l’incolumità o la vita stessa dei miei militari. L’ho sempre fatto guardando al bene della Patria – in linea con le missioni assegnate e con le direttive dell’Autorità Politica – e con la consapevole certezza di poter contare sul miglior capitale a disposizione, quello umano, centro di gravità delle Forze Armate. Ad esso va dedicato ogni nostro sforzo ed ogni nostra attenzione, senza demagogia, senza secondi fini, sapendo che anche in questo momento, in qualche luogo della terra, un uomo o una donna con il tricolore cucito sull’uniforme e sulla pelle sta operando in armi, a protezione dei deboli e per la tutela degli interessi nazionali. Negli ultimi trenta anni l’Italia ha maturato prestigio e credibilità proprio dall’efficacia dell’impiego delle sue Forze Armate”. Il Generale Graziano termina il mandato di Capo di Stato Maggiore della Difesa ed assumerà, già da domani a Bruxelles, il prestigioso incarico di Presidente del Comitato militare dell’Unione Europea. Quale massima autorità militare dell’Unione Europea, il Generale Graziano è atteso da molteplici sfide volte al rafforzamento della dimensione di difesa e sicurezza del continente, nell’ambito della PESCO (Cooperazione Strutturata e Permanente nel campo della Difesa) e anche con l’obiettivo di migliorare e rafforzare la cooperazione NATO – UE, strumento fondamentale per fornire una risposta efficace e collettiva alle attuali minacce alla sicurezza, prima tra tutte il terrorismo internazionale. Dopo il formale passaggio delle insegne, il Generale Vecciarelli ha preso la parola e ringraziando il Generale Graziano per quanto fatto in un periodo caratterizzato da eccezionali sfide alla sicurezza e da profondi cambiamenti, ha dichiarato: “intendo continuare ad investire sull’elemento umano facendo leva, innanzitutto, sulla forza delle idee, sulla spinta di innovazione che viene dal basso. Dobbiamo saper cogliere il nuovo senza timori, avere il coraggio di stigmatizzare vecchi preconcetti ideologici ma anche allontanare abitudini obsolete e sclerotici status-quo” e ha concluso “ponendomi idealmente di fronte ad ognuno dei miei uomini e donne e innanzi ad ogni cittadino italiano mi impegno a profondere ogni mia risorsa fisica, morale e intellettuale per assolvere i doveri costituzionali”. Il Generale Vecciarelli, neo Capo di Stato Maggiore della Difesa, come responsabile dell’area tecnico-operativa della Difesa e dell’impiego dello strumento militare nazionale, si troverà alla guida di circa 180.000 uomini e donne delle Forze Armate, quotidianamente impiegati nelle operazioni, in Italia e all’estero, che vedono oggi il nostro Paese schierare i propri militari in 40 missioni, condotte in 24 paesi/aree geografiche. Tale impegno è finalizzato a fronteggiare le sfide alla sicurezza provenienti da due archi di crisi e instabilità: uno a sud, che dal Medio Oriente investe la sponda nordafricana e la fascia sub-sahariana ed uno ad est, che dal Baltico abbraccia il Mar Nero e il Mediterraneo Orientale.
 
fonte Stato Maggiore della Difesa

A cosa serve studiare la Storia?

Valutazione attuale:  / 0
La storia non è tra le materie più amate dagli studenti. Ricordarsi tutte quelle date e quegli eventi, per molti ragazzi, è un incubo. Eppure, esiste più di un motivo per cui studiare la storia è essenziale. Forse non sarà utile per trovare lavoro, ma per imparare a stare al mondo sì. Oggi ne abbiamo avuto la prova: tre ragazze hanno fatto un saluto romano con alle spalle il campo di concentramento di Auschwitz. Se fosse un caso isolato, si potrebbe archiviare la cosa, riducendolo ad un caso sporadico. Eppure, oggi sono sempre più frequenti gli episodi di odio, razzismo, discriminazione e bullismo. Solo per citarne alcuni, perché la lista sarebbe molto più lunga, la vita dell’umanità è una serie di corsi e ricorsi storici. Lo è perché l’uomo è sempre lo stesso, e quindi si tendono a ripetere gli stessi errori. Oggi corriamo il rischio di cadere di nuovo negli errori che hanno distrutto questo mondo. Tutto nasce dal piccolo, e da un piccolo gesto nascono i grandi fenomeni. Viviamo in un’epoca di precarietà di valori, nella quale tante cose che ci sembrano scontate ed acquisite. La nostra è una società frenetica che non ci dà il tempo di fermarci a riflettere, eppure, dovremmo farlo. Leggere libri di storia è importante perché ci aiuta a comprendere il passato, il quale serve da monito per il presente, serve a farci capire che ciò che siamo oggi è una conquista delle passate generazioni. A cosa serve studiare la Storia? Serve a vivere come uomini in una società civile, ma oggi serve probabilmente a rispondere a questa domanda: quali conseguenze porterà questa o quella azione? In Polonia la legge non vieta l’apologia al nazismo e al fascismo ma se venissero applicate le norme contro la diffusione di sentimenti di odio, le tre ragazzine rischierebbero fino a tre anni di reclusione. Questo gesto deve essere un monito per tutti noi, cerchiamo di capire in che direzione sta andando il mondo e invitiamo i giovani a studiare, perché la cultura e la conoscenza ci rendono capaci di vivere un mondo migliore, un mondo di diritti e libertà.
 
di Daniele Leonardi

Moqtada al Sadr trionfa alle elezioni legislative in Iraq

Valutazione attuale:  / 0

Lo scorso 12 maggio in Iraq si sono svolte le consultazioni per eleggere il Premier della Nazione, chiamando alle urne 24,5 milioni di elettori. I seggi elettorali sono stati presidiati da massicci dispositivi di sicurezza, poiché i jihadisti, seppur in maniera minore, continuano a rappresentare una consistente minaccia. Sono state 3 le liste a contendersi la possibilità di guidare il Paese per i prossimi 4 anni. Alla fine la lista “Allenza per la Vittoria”  del premier uscente Haider al Abadi, sostenuto dalla comunità internazionale, si è piazzata  al terzo posto conquistando 42 seggi.  Al secondo posto invece l'alleanza di milizie sciite (La Conquista) guidata da Hadi al Amiri, (47 seggi), mentre a vincere le elezioni è stata l'alleanza, guidata dallo sciita Moqtada al Sadr e denominata “Marcia per le riforme”, con 54 seggi.  Da notare il forte astensionismo che ha riguardato il 44,52% degli aventi diritto. Il programma di Moqtada era incentrato proprio sulla guerra contro la corruzione e la povertà, e teso a contrastare l'interferenza straniera (soprattutto di USA e Iran), che ha convinto molti elettori, in quello che è stato definito un voto di protesta.

di Domenico Pio Abiuso

Accordo tra il Ministero della Difesa e il DASS per attività in campo spaziale ed aerospaziale di tipo civile

Valutazione attuale:  / 0
A seguito dell’accordo che il Ministero della Difesa (MD) e la Regione Autonoma Sardegna (RAS) hanno sottoscritto il 18 Dicembre 2017 “per il coordinamento delle attività militari presenti nel territorio della regione” in cui è previsto “lo sviluppo di programmi di studio, ricerca e sperimentazione tecnologico-industriale di possibili attività duali di comune interesse tra il Ministero della Difesa, altri dicasteri interessati (MISE, MIUR, etc.) e la RAS”, il Distretto Aerospaziale della Sardegna (DASS) Scarl ha firmato con lo stesso MD, per il tramite del Capo del IV Reparto dello Stato Maggiore della Difesa (SMD) Generale D.A. Roberto Comelli, un protocollo d’intesa di durata quinquennale per lo svolgimento di attività di studio, sviluppo e sperimentazione in campo spaziale ed aerospaziale di tipo civile, mettendo anche a disposizione proprie infrastrutture e mezzi, nel rispetto della legislazione vigente. MD e DASS dichiarano nel protocollo la propria disponibilità ad offrirsi reciproco supporto per le attività che verranno perseguite, anche attraverso strumenti quali: lo sviluppo di progetti di ricerca in settori tecnologicamente avanzati, l’organizzazione di conferenze, dibattiti, seminari e workshop, la realizzazione di corsi di aggiornamento e riqualificazione, la promozione di percorsi formativi anche con la presenza di docenti universitari, come pure l’organizzazione di visite e tirocini formativi. La collaborazione tra MD e DASS potrà essere perseguita mediante la stipula di appositi accordi attuativi, con soggetti che verranno di volta in volta appositamente individuati, quali ad esempio Difesa Servizi SpA, che disciplinano modalità e procedure relative ad aspetti di natura tecnico scientifica, organizzativa, gestionale, nonché relativi al trattamento dei dati personali, alla tutela dell’immagine, dei loghi, delle proprietà intellettuali e della sicurezza. Questa iniziativa - dichiara il Capo del IV Reparto di SMD, Generale D.A. Roberto Comelli – consentirà alle nostre organizzazioni di valorizzare le capacità spaziali e aerospaziali della Difesa anche per uso civile a scopi civili, a beneficio del “Sistema Paese” in generale. Siamo molto soddisfatti - precisa il Presidente del DASS, Giacomo Cao - perché il protocollo apre la strada all’utilizzo di infrastrutture militari quali l’Aeroporto di Decimomannu/Villasor e il Poligono interforze di Salto di Quirra per lo sviluppo di attività di tipo civile quali ad esempio lo sviluppo di uno spazioporto per voli suborbitali come pure il decollo del “Sardinia UAV Test Range” ovvero della piattaforma italiana più evoluta per i test e le relative certificazioni di droni di qualunque dimensione e tipo, intendendo in quest’ultimo caso i velivoli ad ala fissa o rotante. Da tenere in evidente considerazione anche le importanti ricadute occupazionali che certamente si avranno e che consentiranno di rafforzare la presenza dell’isola nella “space economy” nazionale e internazionale.
 
fonte Stato Maggiore della Difesa

The Japanese Kamikaze & the Suicide Terrorist

Valutazione attuale:  / 0

The very word “kamikaze” has become a synonym for “suicide attack” in the daily language. Suicide attacks have occurred throughout history, often as part of a military campaign such as the Japanese Kamikaze pilots of World War II, and more recently as part of terrorist campaigns, such as the September 11 attacks. It has been  for several years that the media have defined suicide terrorists kamikaze; misunderstandings and mystifications behind the use of a term to indicate a suicidal terrorist, or a clearly misguided action. There are several reasons for this choice: first of all, the word kamikaze has entered the Western collective imagery after the Second World War. But there are other reasons why TV announcers now only talk about kamikaze to define fundamentalists who blow up among innocent people. One is the inability to find another synonym, perhaps the most correct one, the other is certainly to establish a connection between  those Japanese aviators who defended their homeland by hitting only war targets,  and terrorist assassins who bloody cities, bringing death among civilian women and children. The fundamentalist terrorists who, in recent years – and still today – explode on buses, squares, department stores, streets, airports and metros have nothing in common with the “god wind” (meaning the word kamikaze) who seventy years ago, sacrificed by hitting enemy military targets that threatened their nation and their families. It is several years that the media define suicide terrorists kamikaze; misunderstandings and mystifications behind the use of a term to indicate a suicidal terrorist, or a clearly misguided action. There are several reasons for this choice: first of all, the word kamikaze has entered the Western collective imagery after the Second World War, and everyone who committed suicide, or even disenchantment, even in a sports field, came and is defined kamikaze. But there are other reasons why TV announcers now only talk about kamikaze to define fundamentalists who are blown up among innocent people. One is the inability to find another synonym, perhaps the most correct one, the other is certainly to get closer to Japanese aviators who defend their homeland by hitting only war targets, terrorist assassins who bloody our cities, bringing death between women and civilian children. The fundamentalist terrorists who, in recent years – and still today – explode on buses, squares, department stores, streets, airports and metros have nothing in common with the “god wind” (meaning the word kamikaze) who seventy years ago, they sacrificed hitting enemy military targets that threatened their nation and their families. In common they only have the suicide and pride of their family and the gesture, although not all today share the family martyrdom. But the purpose was profoundly different. The way World War II was taught in school pretty much left us with the impression that kamikaze attacks were part of the standard strategy of the Japanese Imperial Army and Navy throughout the entire war. In fact, Kamikaze from the Empire of Japan attacked their enemy during World War II during the Pacific campaign in order to destroy warship in a more efficiency way compared to previous and conventional war tools. They were an innovation at that time because they were kamikaze aircraft meaning that pilots would attempt to crash their aircraft into enemies ships in a way that their attack would result in a “body attack”. What is peculiar about those aircraft kamikaze is the fact that even if a lot of accuracy was taken into account while constructing them, only 11% of them were successful. From the point of view of the Japanese Empire, those types of attacks were fully legitimate, thus, even if there were many lives and aircrafts that were destroyed, what was relevant was the final result, that is, the destruction of the enemy. Japanese military strategies has always been characterized by values such as: death, capture and shame. Not by chance, these values and especially loyalty and honour until death were typical of the Samurai era and Bushido Code. Prior to Second World War, Japan was characterized by the Shinto religion which implied devotion to the Emperor that at that time was seen as the descendant of the Sun. In order to be devoted to the Emperor, Japanese had to follow a strict code that besides devotion it included honour and obedience that led to around thousands of man to sacrify for him. However, believing that Muslim suicide bombers carried out the 9/11 attacks would be a misconception. The reason why the attacks in the U.S. happened is not only limited to religious reason as it has already been explained but also due to multiple variables that led to the terrorist attack: depression, economic crisis and unemployment. It seems clear that religious nationalism and the promise of paradise were the main reason why those individuals decided to blow themselves up, taking also into consideration the economic motives that were hidden behind such gesture that is monetary incentives to their families. Realizing that they were rapidly losing the war, Japanese leaders did not want to waste their remaining trained expert pilots, so they decided to train raw recruits for this task and gave them about thirty days or more of rough flight training in which they had to learn how to fly light planes carrying 200 pounds of logs meant to simulate bombs weighing over 500 pounds.

di Francesca De Simone

L'Esercito italiano a Porta di Roma

Valutazione attuale:  / 0

“Formazione, professionalità, tradizioni, valori, tecnologia e sport” sono i temi dell’ evento promozionale organizzato dall’Esercito Italiano nella Capitale, presso la Galleria Commerciale “Porta di Roma”, dal 16 al 22 aprile 2018. Saranno 14 i settori espositivi che il Comando Militare della Capitale allestirà in occasione di un’attività rivolta al reclutamento e alle prospettive professionali nella Forza Armata. Arrampicata su parete di roccia artificiale, simulatore di volo, attività interattive e cinofile, percorsi di Military Fitness, esibizione della Army Jazz Band, esposizione di droni,robot sminatori, mezzi e attrezzature speciali, nonché rari veicoli storici: questo sarà “Mira al tuo Futuro”  l’iniziativa capitolina con cui  l’Esercito si presenterà agli ospiti. L’area espositiva sarà inaugurata il 16 aprile alle ore 10. I visitatori potranno cimentarsi in attività quali l’arrampicata di roccia artificiale con l’assistenza di istruttori militari del 9° reggimento alpini.  Sarà esposto il robot “MK8 – Plus II” usato per la neutralizzazione degli ordigni esplosivi dagli artificieri del 6° reggimento genio pionieri, che allestirà anche una attività interattiva di impiego dei cercametalli.  Per gli sportivi, assistiti da istruttori del 186° reggimento paracadutisti “Folgore”, sarà allestito il percorso di “Military Fitness” che permetterà, attraverso particolari esercizi fisici, di misurarsi con le proprie capacità motorie. Per gli appassionati di volo, il Comando Aviazione dell’Esercito esporrà un elicottero A129 “Mangusta” e allestirà due postazioni con il simulatore di volo “ROLFO” che consentirà di vivere un'esperienza realistica pilotando aerei ed elicotteri militari e disponendo di tutti i comandi presenti in una vera cabina di pilotaggio. All’ingresso della Galleria Commerciale “Porta di Roma”, personale qualificato sarà a disposizione per fornire informazioni e materiale illustrativo sulle diverse possibilità di reclutamento, sulle prospettive di sviluppo professionale e sui concorsi in atto nell’Esercito.

fonte Comando Militare della Capitale

Donna, risorsa fondamentale anche a livello militare

Valutazione attuale:  / 0

Nel corso dei secoli il genere femminile ha compiuto passi avanti nell’acquisizione di diritti/doveri all’interno della società.  La legge del 9 febbraio 1963 n. 66 “Ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni”, pur concedendo l’accesso alle donne ad incarichi all’interno della pubblica amministrazione, ha mantenuto qualche dubbio sull’arruolamento delle stesse nelle Forze Armate. L'approvazione della suddetta normativa, che permette l'ingresso delle donne nelle Forze Armate, ha risposto in modo concreto sia alle aspirazioni di emancipazione femminile sia alle esigenze delle Forze Armate di aumentare le loro unità e ad annoverare il cosiddetto gentil sesso tra le proprie fila. Secondo uno dei ultimi sondaggi di fine 2014, in Italia risultano in servizio nelle Forze Armate e nell’Arma dei Carabinieri 11.189 donne, tra le quali 1.290 ufficiali, 1.252 sottufficiali e 8.647 militari di truppa. Un apporto fondamentale, dato dalla “donna-soldato”, è quello di instaurare un rapporto confidenziale e “quasi amichevole” con la popolazione femminile presente negli stati islamici (Afghanistan, Iraq) dove le truppe delle Forze Armate sono presenti soprattutto per la risoluzione delle problematiche a livello igienico-sanitario. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, anche diversi eserciti occidentali hanno cominciato ad inserire le donne nel servizio militare attivo. Infatti, i paesi che permettono alle donne di ricoprire ruoli di combattimento attivo nelle Forze Armate di appartenenza, sono: Australia, Nuova Zelanda, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Germania, Norvegia, Israele, Serbia, Stati Uniti d'America, Svezia e Svizzera. Con il trascorrere del tempo, si è avuto cambiamento radicale, non solo organizzativo e logistico, ma soprattutto sociale e culturale.

di Domenico Pio Abiuso

Abbraccia un jihadista, cure mediche e alloggi per ex terroristi dell'Isis

Valutazione attuale:  / 0

L'Isis è ormai sconfitto su più fronti e così molti jihadisti europei stanno rientrando nei loro Paesi. Quello che però stupisce è il modo con cui i governi stanno affrontando il fenomeno, basta dare un’occhiata alle attuali proposte in atto in Danimarca, Gran Bretagna, Belgio e Germania. In Danimarca, dove l’Isis contava su 150 volontari, essi s’avvalgono oggi dell'assistenza del governo pronto a trattarli da cittadini disagiati. Secondo le autorità danesi aiutare i giovani estremisti è il modo migliore per mantenere la pace. Inoltre per loro sono previste cure mediche e psicologiche gratuite. Nel comune di Aarthus, la seconda città più popolosa della Danimarca, l’amministrazione cittadina e la polizia hanno deciso di dare il via alla campagna “Abbraccia uno jihadista”. Lo scopo dell’iniziativa sarebbe quello di accogliere e mostrare il calore della comunità nei confronti degli appartenenti alle comunità islamiche radicali, evitando che questi soggetti si sentano isolati e siano dunque spinti a colpire lo Stato o la città che li ospita. Mohamed, arruolatosi nell'Isis, ha viaggiato dalla Danimarca alla Somalia dove ha compiuto un attacco suicida durante una cerimonia di laurea a Mogadiscio nel dicembre 2009, uccidendo 25 persone e ferendone oltre 60. Oggi però la Danimarca è in prima linea nell'esplorare nuovi modelli per prevenire l'estremismo. Il cosiddetto modello di Aarhus mira a creare fiducia tra le autorità e i circoli sociali dove molti radicali si annidano e si formano, aiutandoli a trovare un modo per reinserirsi nella società civile. Le sparatorie avvenute a Copenaghen mostrano comunque che l'approccio non è affatto infallibile. Ma il commissario di polizia Jørgen Ilum, che ha contribuito a istituire il programma di deradicalizzazione ad Aarhus,  ha affermato che gli attacchi di Copenaghen hanno evidenziato l'importanza di mantenere i contatti con i combattenti danesi di ritorno dalla Siria, dall'Iraq e dalla Somalia e soprattutto con la moschea Grimhojvej ad Aarhus, che è apertamente di supporto all'Isis. In compenso anche a Londra i jihadisti di rientro possono contare sul premuroso e disinteressato sostegno dello Stato. Grazie al programma di deradicalizzazione battezzato «Operation Constrain» (Operazione Vincolo) gli ex terroristi possono contare su forme di assistenza sociale e su posizioni di favore nelle liste per l’assegnazione di abitazioni pagate dallo Stato.

di Domenico Pio Abiuso

Les copines d'Allah

Valutazione attuale:  / 0

Une autre catégorie sociale a été récemment impliqué dans cette dynamique: les femmes, aussi appelées “les copines d'Allah.” L’origine ethnique et sociale des femmes kamikazes présente une grande hétérogénéité. Historiquement, les femmes ont, depuis longtemps, été associées à des mouvements politiques violents. De la Révolution française ou russe aux mouvements terroristes des années ‘70 et ‘80, en passant par les mouvements de libération nationale, notamment en Algérie, les périodes de guerre et de répression ont permis aux femmes islamistes d’acquérir le statut valorisant de résistante (moujahida) voire de martyre (shahida). L’évolution de la femme d’un rôle essentiellement d’auxiliaire à un rôle plus actif et opérationnel comme celui de kamikaze est toutefois assez récente. En manifestant leur engagement politique par la mort sacrificielle et le don de soi, ces shahidas empruntent une voie qui, jusqu’à présent, n’était suivie que par des hommes jeunes, que l’on dit tout simplement fanatisés. Palestiniennes, Tchétchènes, Libanaises ou Irakiennes, étudiantes ou mères de famille, adolescentes ou grand-mères, il est bien difficile d’établir un profil social type de la kamikaze. Certaines de ces femmes avaient même devant elles un avenir prometteur de juriste ou d’universitaire. Elles jouissaient, pour la plupart, d’un très bon niveau d’éducation et étaient parfois issues de familles aisées. Certaines organisations, comme le PKK (Parti des travailleurs du Kurdistan), ont depuis longtemps approuvé et encouragé la participation des femmes à leurs actes violents. D’autres, comme Al-Qaïda, n’avaient nullement prévu le phénomène des femmes missiles et furent les premiers surpris. Précisons toutefois, que le recrutement des femmes n’est parfois que la conséquence de décisions prises par des réseaux locaux en manque de combattants. Entre 1985 et 2007, plus de 230 attentats suicides à la bombe ont été perpétrés par des femmes. Cependant, il semble que ce qui relie ces femmes jihadistes entre elles soit davantage d’ordre idéologique qu’opérationnel. C’est au Liban que le phénomène des femmes kamikazes est apparu pour la première fois dans le monde arabo-musulman: le 9 avril 1985, Sana Khyadali, une jeune femme membre du parti nationaliste syrien, faisait exploser sa voiture piégée près d’un convoi militaire israélien. Ce phénomène est par conséquent nouveau et s’est amplifié après la seconde intifada. Le 27 janvier 2002, Wafa Idriss, une ambulancière de 25 ans, commettait un attentat suicide en plein coeur de Jérusalem ouest, devenant ainsi la première kamikaze palestinienne. Durant les six mois qui ont suivi cet attentat, les femmes ont représenté un cinquième des auteurs d’attaques suicides. Parmi elles: Dareen Abu Ayshah, âgée de 21 ans, qui a activé sa ceinture d’explosifs à un barrage militaire israélien en Cisjordanie, le 27 février 2002; Hanadi Jaradat, une avocate palestinienne de 29 ans, s’est fait sauter dans un restaurant à Haïfa, le 4 octobre 2003, tuant 21 personnes. En janvier 2004, Reem Salah al Rayacha, 22 ans, laissait à la maison sa fille de 18 mois et son fils de 3 ans pour aller se faire exploser au point de passage d’Ertz, entre Israël et la Bande de Gaza. Ces exemples ont ensuite rapidement été suivis par d’autres. Le 30 avril 2005, deux femmes voilées ont attaqué un bus transportant des touristes en Egypte. Le 23 novembre 2006, Fatima Omar Mahmoud al-Najar, une Palestinienne de 57 ans, mère de 9 enfants et grand-mère de 41 petits-enfants, s’est fait exploser dans la bande de Gaza. Précisons que nombre de ces femmes n’ont pas attiré l’attention des forces de sécurité car elles transportaient leurs bombes sous leurs vêtements, laissant croire qu’elles étaient enceintes, ou dans les poussettes des enfants. Le phénomène des femmes kamikazes touche également l’Europe. Le 9 novembre 2005, Muriel Degauque, une Belge de 38 ans convertie à l’islam, commettait un attentat suicide dans le nord de Bagdad, tuant cinq policiers et quatre civils. Depuis 2000, on assiste à une augmentation progressive des attaques kamikazes perpétrées par des musulmanes, que ce soit en Irak, en Egypte, en Ouzbékistan ou dans le Maghreb, qui semble être devenu le théâtre du terrorisme transnational. L’attentat suicide qui a ciblé, le 28 janvier 2008, un commissariat dans la wilaya de Boumerdes, en Algérie, a été commis par une jeune Algérienne de 26 ans. Le passage à l’acte ne repose pas sur un processus ou un facteur unique. Les raisons de leur participation aux actes suicidaires varient considérablement d’un pays à l’autre, selon la culture et le vécu personnel de chaque femme. S’il est, par conséquent, difficile de généraliser les cas, nous pouvons toutefois tenter d’expliquer comment certains facteurs psychologiques et politiques peuvent influencer ces scénarios féminins de mort volontaire. La culture arabo-musulmane offre une image négative de la femme. La première source de toutes les discriminations encore défendues par les islamistes est le refus de l’égalité entre les hommes et les femmes. Ce refus est justifié par un verset coranique qui stipule que “les hommes leur sont supérieurs d’un degré [aux femmes]”. Des énoncés isolés de leur contexte sont devenus des fondements juridiques intangibles qui hypothèquent l’évolution du droit, des institutions, des mœurs et de la société. Ainsi, la tutelle des hommes sur les femmes, encore en vigueur dans tous les pays arabes, est justifiée au nom de ce verset coranique. Ce droit s’accompagne, dans cette conception, de l’obligation d’obéissance de la femme vis-à-vis de son tuteur, ainsi que du droit à la correction qui revient à l’homme à l’encontre de la femme jugée rebelle. Face à cette situation, certaines musulmanes peuvent intérioriser ces stigmates en les renforçant. Leur identité négative leur apparaît comme le résultat de leurs insuffisances personnelles et de l’ordre naturel - donc un fait inévitable - et non comme le résultat des rapports sociaux qui définissent leur place dans la société. De ce fait, elles renchérissent sur leur identité de femme faible et dépendante, et la renforcent. Toutefois, dans certaines circonstances, un retournement sémantique se produit, qui renverse les valeurs et transforme la négativité en positivité. Souffrant d’une image de soi si compromise, certaines peuvent développer une haine de soi et intégrer les mouvements islamistes radicaux, conduisant à des actes extrêmement violents. La haine, fait clinique fondamental, n’est pas sans incidences sociales. Les femmes martyres sont les agents les plus dramatiques de cette situation. En perpétrant des actes terroristes, ces femmes expriment par les armes et la mort leurs ressentiments et leur haine, et s’identifient aux hommes. L’attentat terroriste devient une sacralisation de soi dans la mort lorsque le sentiment que l’on ne peut pas réaliser son idéal dans la vie prévaut. Quand l’horizon du futur est perçu comme bloqué, on se projette vers la mort, qui devient le lieu de réalisation de soi. Dans ce type d’engagement, les conflits locaux sont des facteurs de motivation déterminants et critiques; toutefois, chaque cas demeure unique. L’épuration dont ont été victimes certains mouvements islamistes a contraint ces derniers à placer les femmes sur le devant de la scène. En l’absence des hommes, elles ont joué un rôle indispensable dans la formation des réseaux de solidarité, la prise en charge des militants en fuite ou dans la clandestinité, l’établissement des contacts entre les prisonniers et les militants à l’extérieur, etc. Les contextes de répression ont renforcé le rôle des femmes et entamé un changement des rapports entre genres au sein des courants islamistes. Certaines militantes ont ainsi pu disputer des espaces de reconnaissance dans leur propre courant politique, accéder au sommet de leur formation et devenir mythiques à l’instar de l’Egyptienne Zaynab al-Ghazali, qui s’est imposée lors des arrestations de 1948-1950, ou de la Marocaine Nadia Yassine, leader du parti islamiste marocain al-Adl wal Ihssan (“Justice et Spiritualité”). Quant au parti palestinien Hamas, il a accepté l’inscription de 20% de femmes sur ses listes lors des élections de 2006. Dans certaines sociétés musulmanes féodales et tribales, l’organisation jihadiste est la seule structure qui offre à la femme un choix autre que le rôle traditionnel d’épouse ou de mère, en leur proposant un nouveau style de vie. Et, au prix de leurs sacrifices, les femmes kamikazes trônent à titre posthume sur les posters et les fresques allégoriques consacrés aux glorieux martyrs de la nation. Cette douteuse consécration égalitaire via la mort volontaire inspire des envolées lyriques à des centaines de femmes musulmanes en quête de liberté et d’égalité du genre.

di Francesca De Simone