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Tecnologie di guerra

Arabia Saudita e Leopard 2

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La notizia è recentissima e proveniente da fonte Reuters: l’Arabia Saudita sarebbe in fase di acquisto di 200 carri Leopard 2 nuovi dalla Germania. Il modello in trattativa è la versione Leo 2 A7+. Già sarebbero state consegnate 44 unità, a cui dovrebbero seguire le altre nei prossimi mesi. Secondo l’opposizione tedesca le vendite non sono aderenti alle regole sulle esportazioni militari.

Precedentemente l’Arabia pareva interessata al Challenger 2.

Il Leopard 2A7+ è una versione del carro tedesco ottimizzata per la guerriglia urbana. Dispone di un sistema di combattimento in aree urbane simile al TUSK (tank urban survival kit) degli M1 americani. La versione era stata preceduta dall’apparizione del modello Leopard 2 PSO.

La versione di produzione definitiva A7+ è dotata essenzialmente di dispositivi come soluzioni remotizzate per il controllo delle armi secondarie (mitragliatrici) dall’interno del carro, protezioni per il motore (che in ambito urbano potrebbe essere attaccato dal retro), protezioni per i cingoli (ora migliorati), una migliorata mobilità, miglior resistenza alle mine e sull’arco frontale ai missili ed ai penetratori cinetici, una vistosa pala frontale per rimuovere le barricate. Il motore è dotato di un sistema di raffreddamento potentissimo per consentire di essere usato in scontri molto lunghi. Nuove sono la trasmissione finale e i freni. Il cannone consente di colpire obiettivi con una traiettoria ad arco e all’interno di edifici.

L’ Arabia Saudita è stata dotata, finora, di M1 americani, in versione A1 e A2, privi di corazze all’uranio impoverito, come il Kuwait, del resto. Sull’acquisto aveva di certo influito anche l’intervento americano nella 1° Guerra del Golfo. Da notare che ora i sauditi, a cui certo il petrolio non manca, passeranno da carri con motore a turbina a carri con motore diesel.

In Arabia Saudita le rivolte che hanno infiammato di recente numerosi stati arabi sono state molto più pacate che altrove. Re Abdullah ha annunciato che nel settore difesa ci saranno 60.000 nuove assunzioni.

 

 

di Antonio Frate

 

 

 

 

Il Rafale sui cieli libici

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La guerra in Libia sta testando in modo continuativo le possibilità del caccia francese Rafale.

Come precedentemente argomentato (si veda “l'armata di Sarkozy in Libia”), il Rafale è nato come caccia medio francese. Il paese produttore, come nelle sue tradizioni, ha preferito, già dall’anno seguente alla nascita del programma di sviluppo, di uscire dal consorzio Eurofighter per sviluppare un caccia nazionale. Il Rafale è entrato in produzione nel 2000, inizialmente in versione navale e poi in quella terrestre. La domanda che tutti si sono posti è se il progetto di un caccia di media grandezza, sviluppato da un solo paese europeo, abbia la possibilità di essere economicamente sostenibile o addirittura conveniente, rispetto ad altri caccia concorrenti nati in accordo tra vari paesi. In realtà vi è un altro caccia moderno sviluppato in un solo paese, il Jas Gripen. Ma si tratta di un modello di dimensioni ben inferiori, adatto a chi vuol spendere di meno, utilizzando un caccia con autonomia inferiore.

Tornando al Rafale, si può dire che per ora esso non è stato prodotto in un numero elevatissimo di modelli quindi i costi di sviluppo rimangono ancora alti rispetto al quantitativo prodotto. Esso ha però consentito di unificare la flotta imbarcata della Marina Francese e contemporaneamente di unificarla alla flotta in servizio presso l’Aeronautica. Attualmente l’incertezza sul futuro del dell’F-35 B ha dato ragione al programma francese sullo sviluppare un caccia navale catapultabile, piuttosto che su uno a decollo verticale. Il Rafale N (navale) è il più moderno caccia della sua categoria al mondo. Suo rivale commerciale tra i paesi Nato per ora è solo l’F-18, appartenente ad una generazione precedente. E finché non verrà sviluppato l’F 35 C il Rafale, l’unico velivolo di 4° generazione e mezza del settore, manterrà la leadership tecnologica. Facile sostenere che risulta interessante per i paesi dotati di flotte aeronavali. Il Brasile ha acquistato la portaerei Foch, ora Sao Paulo, su cui l’operatività dei Rafale è già stata testata. La fornitura dei caccia a questo paese potrebbe essere prossima. In cambio la Francia acquisterebbe 10 aerocisterne Embraer Kc-390. Si tratta della versione da rifornimento del nuovo cargo militare, biturbina, in fase di sviluppo dalla industria brasiliana, che dovrebbe essere pronto nel 2015.

Anche l’India e il Regno Unito avevano espresso una probabile opzione per tale caccia, ma si ritiene per ora senza fondamento. In particolare il Regno Unito ha previsto come opzione principale l’F 35 C, l’India si è orientata sul Typhoon o sul Rafale.

L’arrivo degli F-35 A e C dovrebbe porre, col peso politico degli USA, e con la tecnologia di 5° generazione, un arresto alle possibilità di commercializzazione all’estero del Rafale, ma per ora nulla è certo. Per contro il Typhoon finora ha già trovato dei validi acquirenti, ma la partecipazione di UK e Italia al programma F-35 costituisce un ostacolo ad un‘espansione in cifre del caccia del consorzio europeo che potrebbe tornare utile all’industria francese.

 

 

di Antonio Frate

 

 

Armi leggere italiane alla Libia

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E' accertato: nel 2009 il governo Berlusconi ha autorizzato l'invio a Gheddafi di 11mila tra pistole e fucili semiautomatici della ditta Beretta decidendo poi di non segnalarlo all'Unione europea.

Si tratta di 7.500 pistole semiautomatiche modello Beretta PX4 Storm cal. 9x19, di 1.900 carabine semiautomatiche modello Beretta CX4 Storm cal. 9x19 e di 1.800 fucili Benelli modo M4 cal.12 sempre della ditta Beretta esportate dall'Italia via Malta.

"Oltre 11mila tra carabine, fucili e pistole del valore di quasi otto milioni di euro - tutti sistemi d'arma semiautomatici di alta precisione e talune di tipo quasi militare, ma autorizzate come "armi da difesa" - sono stati esportati nel 2009 con beneplacito del governo Berlusconi dalla fabbrica d'armi Beretta al colonnello Gheddafi. Il fatto non sarebbe mai venuto alla luce se non ci fosse stata la nostra indagine su documenti resi pubblici dal governo maltese a seguito di discrepanze nei rapporti europei". Lo affermano in un comunicato congiunto la Rete Italiana per il Disarmo e la Tavola della Pace. Le due organizzazioni definiscono "grave e irresponsabile" la condotta dei ministri degli Esteri, Franco Frattini, e degli Interni, Roberto Maroni e stigmatizzano le "reiterate falsità" del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, sul tema delle forniture militari italiane alla Libia.

"Al di là del singolare 'errore di trascrizione' dei funzionari maltesi - che avevano inizialmente riportato un carico di oltre 79 milioni di euro invece che di 7,9 milioni di euro di armi, una faccenda ancora poco chiara sulla quale il Governo dove ancora rispondere in Parlamento - abbiamo ampiamente accertato che l'Italia nel 2009 ha esportato oltre 11mila armi di tipo semiautomatico, molto simili a quelle militari e comunque estremamente letali alla Libia senza darne alcuna comunicazione né al Parlamento né all'Unione Europea" - afferma Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. "Seppure, stando alle procedure burocratiche, l'autorizzazione possa anche essere fatta rientrare nella normativa nazionale prevista per le armi di 'non specifico uso militare', resta il fatto - gravissimo - che il Governo italiano abbia deciso di non segnalarla nelle relazioni all'Unione Europea senza poi fare un passo ufficiale di chiarezza una volta esploso il caso" segnalato congiuntamente da Tavola della Pace e Rete Disarmo.

"Il ministro La Russa - spiega Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della pace - ha cercato di sviare l'attenzione dalla faccenda affermando pubblicamente che 'il Ministero della Difesa non ha dato nemmeno un coltellino per unghie a Gheddafi'. E' vero - commenta Lotti. Non si tratta di coltellini per unghie, ma di vere e proprie armi che oggi stanno facendo stragi di civili. Non è forse vero che il suo Ministero il 17 ottobre 2008 ha autorizzato la vendita di armi alla Libia per 3 milioni di euro? In ogni caso, al popolo libico interessa molto poco se le armi italiane siano state esportate con il consenso del Ministero degli Interni, degli Esteri o della Difesa. Sta di fatto che quelle armi vengono oggi usate per reprimere nel sangue chi si oppone al regime di Gheddafi. Che ne pensa il ministro degli Interni, Roberto Maroni? E' lui che ha autorizzato l'invio di 11.000 armi al regime di Gheddafi".

"Stesso discorso per il ministro Frattini - aggiunge Giorgio Beretta, analista della Rete Disarmo. Il ministro degli Esteri sa bene che - seppur sia stato sollevato l'embargo di armi verso la Libia - è incaricato di far eseguire la Posizione Comune dell'Unione europea sulle esportazioni di armamenti"

Tale decisione comunitaria chiede espressamente ai governi prima di ogni esportazione di armi di accertare il "rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale", il "rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese" e di rifiutare le esportazione di armi "qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna" (Criterio 2).

"Signor Ministro, chi le ha dato le necessarie garanzie? Forse Gheddafi quando è venuto a Roma? - riprende Giorgio Beretta - E, badi bene, quelle armi sono state personalmente prese in carico - come ha certificato l'Ambasciatore italiano a Tripoli, Vincenzo Schioppa - dal Colonnello libico Abdelsalam Abdel Majid Mohamed El Daimi, Direttore della Direzione Armamenti della Pubblica Sicurezza del colonnello Gheddafi, non quindi da una qualsiasi ditta autorizzata alla rivendita al dettaglio di "armi per uso civile": sono cioè armi consegnate a funzionari del regime del rais e, lei signor Ministro non può dirsi estraneo alla faccenda"

 

"Vi è poi una grave mancanza di trasparenza della ditta Beretta" - aggiunge Carlo Tombola, direttore dell'Osservatorio sulle armi leggere (OPAL) con sede a Brescia. "A seguito del comunicato della Rete Disarmo la ditta bresciana produttrice delle armi esportate alla Libia si è prontamente pronunciata per 'smentire seccamente' il coinvolgimento nella fornitura di 79 milioni di euro di armi leggere alla Libia tramite Malta riportato da organi di stampa belgi, maltesi e italiani. Ma la ditta si è guardata bene dal dichiarare che in quello stesso anno aveva inviato oltre 11mila armi di sua fabbricazione ai funzionari del colonnello Gheddafi. Per non dire poi che le armi esportate sono di fatto alquanto simili a quelle presenti nel catalogo militare della Beretta. Le variazioni sono minime, assolutamente irrilevanti ai fini della repressione interna" - conclude Tombola.

Chiediamo quindi al Governo italiano di fare immediata chiarezza sull'intera vicenda delle "armi leggere" italiane esportate via Malta alla Libia mostrando in Parlamento tutti i documenti ufficiali di esportazione e di transito e dimostrando che erano davvero solo del valore di 7,9 milioni di euro e non - come inizialmente riportato da Malta - di oltre 79 milioni di euro. Inoltre il Governo dovrebbe informare noi e tutti i cittadini a riguardo di chi sia oggi in effettivo possesso delle 11mila armi semiautomatiche italiane finite in Libia, che utilizzo ne venga fatto in questi giorni in cui - come riportano accreditate fonti di stampa internazionali - è in atto una violenta repressione della popolazione da parte del regime del colonnello Gheddafi.

Tavola della Pace e Rete Italiana per il Disarmo sollecitano poi il Parlamento affinché interroghi il Governo su tutto l'insieme delle armi vendute dall'Italia alla Libia, su tutte le forniture di armamenti, i servizi e le operazioni militari congiunte col regime di Gheddafi sia che siano state effettuate dal ministero degli Interni, degli Esteri e da quello della Difesa. Quante armi abbiamo venduto in questi ultimi anni alla Libia, quali, quando e in base a quali accordi politici e militari?

Chiediamo ai Ministri Maroni e Frattini di spiegare in Parlamento sulla base di quale criteri della Posizione Comune dell'Unione Europea e, quindi, di quali effettive garanzie di tutela dei diritti umani sia stata autorizzata l'esportazione di oltre 11mila armi semiautomatiche al Direttore della Direzione Armamenti della Pubblica Sicurezza del regime di Gheddafi.

Chiediamo infine al Ministro della Difesa Ignazio La Russa di spiegare in cosa consista l'autorizzazione rilasciata dal suo Ministero il 17 ottobre 2008 del valore di 3 milioni di euro avente come destinatario la Libia (Autorizzazione "Nulla Osta" n.53861 del Ministero della Difesa) e che tipo di armamenti prodotti dalla ditta Oto Melara del valore di 3 milioni di euro siano stati esportati su autorizzazione sempre del suo Dicastero (SMD/47890/05) segnalata nella Relazione della Presidenza del Consiglio nel 2009.

Rinnoviamo le nostre richieste al Governo a sospendere con atto formale e di fatto tutte le forniture di armamenti e ogni forma di aiuti e cooperazione militare con i paesi del Nord Africa (Algeria, Egitto, Tunisia e Libia, Marocco, Yemen e Bahrein) le cui popolazioni in questi mesi hanno manifestato e stanno manifestando contro regimi dispotici e illiberali.

Rinnoviamo, infine, la richiesta al Governo e a tutte le forze parlamentari di stralciare le annunciate - e peggiorative - modifiche alla legislazione nazionale sulle esportazioni di armamenti dalla Legge Comunitaria attualmente in discussione nelle commissioni parlamentari per aprire un serio e approfondito confronto con le associazioni della società civile sulla normativa sui controlli all'esportazione di armi alla luce delle recenti direttive europee.

 

 

fonte: Lettera 22

 

 

I Navy Seals e la cattura di Bin Laden

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Alle 00:05 del 2 maggio 2011 un commando del NAVDEVGRU dei SEALs uccide il leader di Al-Qāida, Osama bin Laden, in Pakistan, presso Abbottabad, cinquanta chilometri a nord della capitale Islamabad. A seguito di tale esemplare azione, il 6 maggio, il Presidente USA Barack Obama conferisce personalmente a tutti i membri dell'unità la Presidential Unit Citation, una delle più alte decorazioni con cui si onorano le truppe Usa. I SEALs che hanno ucciso Bin Laden rimangono segreti. Le United States Navy Sea, Air and Land forces (SEAL), sono l’ élite delle forze speciali della Marina Americana. Vengono usate in conflitti e guerre non convenzionali, per la difesa interna, in azioni dirette, operazioni anti-terrorismo ed in ricognizione, in ambienti operativi prevalentemente marittimi e costieri.
Storia: Le prime unità di Forze Speciali Navali degli Stati Uniti, dopo le prime unità esploranti della Seconda Guerra Mondiale, dette "Scouts and Raiders", furono gli UDTs, Underwater Demolition Teams, utilizzati per l'esecuzione di azioni di demolizione subacquea, sminamento marittimo etc.- I primi UDTs iniziarono il loro addestramento nel giugno del 1943 e furono usati durante lo Sbarco in Normandia del giugno 1944, ed nel Pacifico meridionale. Inoltre operarono anche durante la Guerra di Corea. Nel 1961, sotto la spinta del Presidente John F. Kennedy, grande sostenitore dello Special Warfare, la U.S. Navy propose l'istituzione di reparti di Forze Speciali anche nell'ambito della Marina. Nello schema iniziale dell'U.S. Navy del marzo 1961, si evidenziava la necessità di unità d’infiltrazione operative per "mare, aria e terra" ("Sea, Air, Land"), da cui derivò l'acronimo SEALs. I primi membri delle unità SEALs furono volontari provenienti dagli UDTs esistenti (molti veterani della Corea), che ricevettero un ulteriore addestramento intensivo sulle tecniche operative di commando, e costituirono il SEAL Team One a Coronado, California, ed il SEAL Team Two a Little Creek, Virginia. A partire dal 1963, i Seals vennero utilizzati anche in operazioni sul territorio vietnamita, in ricognizione avanzata, azioni dirette, ed attività antinsurrezionale. Operarono maggiormente nella "Rung Sat Special Zone" e la "Da Nang Special Zone", in cui le loro competenze marittime risultarono utili tra i fiumi e le paludi del delta del Mekong. I SEALs parteciparono anche alle ricognizioni a lungo raggio ed all’interdizione logistica nell'entroterra, assieme ai componenti del MACVSOG (Studies and Observation Group, il reparto misto di forze speciali statunitensi incaricato della conduzione di infiltrazioni ed operazioni clandestine in Laos, Cambogia e Vietnam del Nord). Nel 1980 i Navy SEAL vennero ricompresi, nell'autorità del neo-istituito Joint Special Operations Command (voluto da Charles Beckwith, il fondatore della Delta Force). Nel 1980 (ma con operatività solo dal 1981) venne anche costituito il SEAL Team Six, un Team ad elevata specializzazione ed alta segretezza, focalizzato sulle operazioni di antiterrorismo navale. I componenti del SEAL Team Six venivano scelti in maniera individuale tra i migliori operatori di tutti gli altri Team operativi, e sottoposti ad ulteriori 6 mesi di addestramento operativo in tecniche di antiterrorismo, con frequenti interscambi esercitativi con la Delta Force.
Ma il fondatore del SEAL Team Six, Richard Marcinko, venne estromesso nell’83 dal comando a causa di frodi finanziarie ai danni della U.S. Navy, per le quali verrà poi condannato. Il sostituto di Marcinko fu Robert Gormly, direttore delle operazioni del Team in molte delle principali operazioni antiterrorismo degli anni '80. Nel 1987 il SEAL Team Six venne rinominato, a seguito delle polemiche dell'era Marcinko, in NAVDEVGRU (Naval Special Warfare Development Group).
Più in generale, nel corso degli anni '80 i SEAL Teams operativi passarono da 2 a 6 e a 10, sempre suddivisi tra Teams East Coast (a Little Creek) e Teams West Coast (a Coronado), e, nel 1987 confluirono, assieme ad altre unità navali speciali, sotto il comando unificato dello United States Naval Special Warfare Command di Coronado.
I SEALs, per la loro versatilità ed efficienza operativa, vengono utilizzati in quasi tutti i recenti conflitti ed operazioni militari degli Stati Uniti.

Addestramento: Per poter accedere all'addestramento vero e proprio (BUD/S), bisogna superare il PST, che richiede come minimo:
-500 iarde (circa 455 metri) a nuoto in meno di 12 minuti e 30 secondi;
-Almeno 42 flessioni in 2 minuti;
-Almeno 50 addominali (sit-up) in 2 minuti;
-Almeno 6 trazioni alla sbarra (da posizione distesa);
-1,5 miglia (circa 2,4 chilometri) di corsa con anfibi e pantaloni lunghi in meno di 11 minuti e 30 secondi.
Il BUD/S, a causa della propria brutalità, ha un tasso di abbandono solitamente superiore all'80% degli allievi. Il suo obiettivo è selettivo oltre che formativo (soprattutto per quanto riguarda l'Indoc e le prime due fasi).
L'addestramento delle reclute, conosciuto come BUD/S - SQT (Basic Underwater Demolition/SEALs - SEAL Qualification Training), ha una durata di 48 settimane (11 mesi) ed è suddiviso come segue:
- 26 settimane - Addestramento base di demolizione subacquea (BUD/S) presso il Naval Special Warfare Center a Coronado (San Diego, California);
- 3 settimane - Addestramento di paracadutismo con l’esercito a Fort Benning, Georgia;
- 15 settimane - SEAL Qualification Training (SQT) a Coronado.
Alla fine di questo periodo le reclute sono ufficialmente nominate SEAL, e insignite di un distintivo speciale: lo Special Warfare Badge, il noto "Tridente dei SEAL" (e soprannominato "Budweiser").
Prima di poter essere assegnati alle squadre operative, devono però superare l'ultima fase di addestramento di base comune a tutti i SEALs:
- 3 settimane di addestramento militare al clima invernale a Kodiak, in Alaska.
Al termine di queste ultime 3 settimane, i nuovi SEALs ricevono le assegnazioni al loro nuovo TEAM, ad una Squadra SDV (SEAL Delivery Vehicles, minisommergibili per il trasporto tattico subacqueo) o per ulteriori corsi specialistici di formazione avanzata (Tiro di precisione, Comunicazioni, Combattimento Medico, etc.).
Gli Ufficiali devono superare anche lo Junior Officer Course, di 5 settimane, a Coronado. Tutti i SEALs, prima di essere inviati in scenario operativo, devono inoltre superare l’ulteriore impegnativo corso SERE (Survival, Evasion, Resistance, Escape) di 3 settimane.
Addestramento anfibio
- È composto da 4 fasi distinte: Indoc, "indottrinamento" di base, una breve fase preliminare, di due settimane, finalizzata ad effettuare alcuni screening fisici, tecnici e sanitari di base e a fornire agli allievi del BUD/S una visione del durissimo lavoro che dovranno effettuare in misura maggiore nelle settimane successive.
- Prima Fase: Physical Training, della durata di otto settimane. E’ la fase in cui si seleziona, in maniera drastica, il "pool" di futuri SEALs, attraverso un condizionamento fisico estremamente duro e continuativo. Per le prime quattro settimane, gli allievi vengono suddivisi in Boat Crew (equipaggi di barca), e sono sottoposti a lunghissime sessioni di PT (physical training: flessioni, addominali e sollevamenti alla sbarra; corse di resistenza sulla sabbia per circa 12-24 chilometri al giorno; corse di resistenza portando in gruppo una barca sopra la testa), Log PT (esercizi fisici effettuati con enormi pali telefonici, in tronco di quercia, dal peso di oltre 150 kg, usati come pesi aggiuntivi), O-Course (un percorso di guerra di particolare difficoltà tecnica e fatica fisica), swimming evolutions (lunghe prove di nuoto sulla costa oceanica, fino ad otto chilometri), "surf torture" (prove di resistenza fisica al freddo, con lunghe permanenze immobili in acqua fredda) e sessioni di canottaggio in oceano. Il drown proofing, svolto in piscina, consiste nel far nuotare gli allievi, con le mani e i piedi legati, per 400 metri, recuperando poi con i denti delle maschere subacquee a 5 metri di profondità. La quinta settimana della prima fase è la cosiddetta "Hell Week": gli allievi sono sottoposti a 5 giorni ininterrotti di allenamento fisico intensivo, con una media di 2-4 ore di sonno in tutta la settimana. Durante la Hell Week, ci si esercita ininterrottamente e senza dormire anche per 72 ore di fila, con lunghe ore in acque fredde, correndo nel complesso per circa 150 chilometri sulla sabbia e ripetendo serie di migliaia di flessioni, addominali e sollevamenti. Durante le corse ed i percorsi di guerra della Hell Week, le squadre portano con loro, sulla testa, delle pesanti barche da addestramento (IBS). I rischi di incidenti, lesioni ed ipotermia sono estremamente elevati. Tali allenamenti sono controllati da istruttori e medici. Ogni sera, gli allievi vengono visitati dal personale medico, per verificare il loro stato di salute, e ricevono una profilassi antibiotica continuativa. Al termine della Hell Week, gli allievi hanno diritto a due giorni di riposo totale, e vengono inviati alla seconda parte della prima fase, dove il ritmo addestrativo viene lievemente ridotto per consentire un recupero delle forze. In tale parte si continua con l'addestramento fisico, e si effettuano le operazioni di base della ricognizione idrografica.
Addestramento acquatico
- La Seconda Fase consiste nell'addestramento acquatico e nella preparazione basica alle immersioni con autorespiratori, sia con circuito chiuso che aperto. Si svolge in gran parte in piscina e in torri di immersione, nonché con nuoto in oceano e canottaggio. Si effettuano le riparazione di urgenza degli autorespiratori, sott'acqua ed in condizioni realistiche; si provano decompressioni rapide da 2 atmosfere e nuoto subacqueo in apnea per 50 metri.
- La Terza Fase è effettuata prevalentemente sull’isola di San Clemente. Vengono studiate le tecniche e le tattiche e le procedure operative di movimento e combattimento terrestre; il pattugliamento e la predisposizione di imboscate; l’uso degli esplosivi e delle demolizioni controllate. E’ meno impegnativa.
Al termine della Terza Fase, gli allievi ricevono l'attestazione di superamento del BUD/S, e vengono avviati alla tappa formativa successiva. Si tratta dell’'SQT (ex STT - SEAL Teams Training). Il SEAL Qualification Training deve formare gli allievi che hanno appena terminato il BUD/S, per esecuzione delle principali operazioni delle forze speciali navali. Il regime addestrativo è ancora intenso ed impegnativo, e prevede ancora lunghe sessioni di addestramento fisico e natatorio.
Al termine dell'SQT, " gli allievi devono preparare ed eseguire una complicata esercitazione operativa di squadra, usando le competenze acquisite precedentemente. Così potranno qualificarsi SEALs ed ottenere il Tridente, il fregio che contraddistingue il più specializzato Corpo operativo delle Forze Navali Americane.
Organizzazione strutturale. Le unità SEALs sono alle dipendenze del Naval Special Warfare Command di Coronado. Sono suddivisi nel East Coast Group, con sede a Little Creek, Virginia, ed il Gruppo West Coast, con sede a Coronado.
Ogni Gruppo ha alle proprie dipendenze 4 SEALs Teams. I Teams 1, 3, 5, 7 sono assegnati al Gruppo West Coast; i Teams 2, 4, 8, 10 sono assegnati al Gruppo East Coast. In più vi è una pedina di comando e supporto.
Ogni Team è a sua volta suddiviso in 8 o 10 Plotoni, di 16 uomini l’uno (2 ufficiali e14 soldati, più un eventuale terzo ufficiale), e che rappresentano l'unità operativa fondamentale dei SEALs. Ogni plotone può essere rapidamente suddiviso o in 2 squadre da 8 operatori,o in 4 squadre da 4, o in 8 da 2 nuotatori.
Il ciclo operativo dei Teams è di 2 anni, suddiviso in 4 semestri. Le prime 3 fasi (18 mesi) sono di ulteriore "preparazione ed integrazione"; la quarta è di dispiegamento attivo nel teatro operativo.
Le fasi di preparazione sono:- il PRODEV (6 mesi): Approfondimento tecnico-professionale individuale degli operatori. – L’ULT (6 mesi): Addestramento di plotone, concentrato sul "lavoro di squadra”. – Lo Squadron Integration (6 mesi): Addestramento di Squadrone di immissione alle operazioni.
Le squadre in dispiegamento si riconfigurano in NSW (Naval Special Warfare) Squadron. Oltre ai Seals vengono compresi anche unità operative che completano la squadra (Special Boats, EODs, elementi aggiunti di intelligence, comunicazione, amministrazione, etc.), addestrati per poter interagire con i Seals stessi.
Nel complesso, sono attivamente dispiegati in teatro operativo tra i 250 ed i 500 SEALs, con in loro aggiunta piccoli contingenti o squadre minori di supporto e collegamento.
Ecco alcune tra le principali armi in uso ai Navy Seals. Si tratta di armi sia di fabbricazione USA che straniere. Sono armi accuratamente specializzate e testate. E’ da citare inizialmente un modello storico: lo Stoner 63, un’arma automatica disponibile sia in versione d’assalto che da riporto. E’ stata ampiamente usata in Vietnam. Dall’iniziale versione in calibro 7,62 mm NATO, si è sviluppata la versione 5,56 mm NATO. Tra le armi attualmente in uso abbiamo:
- 2 modelli di pistola: la MK23 Mod 0 .45 cal SOCOM Offensive Handgun, una pistola di calibro 45 acp espressamente sviluppata per resistere in condizioni climatiche avverse e alla salinità elevata; la M11 Sig Sauer P228 (9mm), un’arma moderna dimostratasi eccellente.
- Il fucile d’assalto M4A1 dotato dello SOPMOD Accessory Kit (5.56mm)
Fucili da cecchinaggio
- M14 Sniper Rifle (7.62mm)
- MK11 Mod 0 Sniper Weapon System (7.62mm)
- M82A1 Heavy Sniper Rifle (.50 cal), un ‘arma adatta a colpire bersagli che si trovano dietro ai muri e a mettere fuori uso mezzi blindati (con l’uso di munizioni perforanti), per cui è detta –antimaterial-.
Pistole mitragliatrici
- HK MP5 Submachine Gun (9mm). Nata negli anni ’60, tale arma è stata prodotta in numerose varianti speciali. Relativamente costosa, si dimostra utile per le missioni di liberazione ostaggi e antiterroristiche in genere.
Mitragliatrici:
- M60E3 Machine Gun and MK43 Mod 0 (7.62mm). La vecchia Emerson, prodotta già dagli anni ’50, ha il meccanismo di funzionamento derivato dall’MG 42. L’impugnatura anteriore può essere usata come piedistallo o per l’uso d’assalto.
- M240 (7.62mm) versione americana della mitragliatrice belga FN 7,62mm.
Arma ad anima liscia:
- Benelli M4 Super 90 Shotgun. L’arma italiana, prodotta dalla Beretta, è stata adottata dallo USMC dopo accurate prove.
Lanciagrenate:
-M203 Grenade Launcher (40mm) (adattabile ai fucili d’assalto)
Mortaio M224 (60mm)
Razzi anticarro: M136 AT4 Light Anti-Tank Rocket.

I Seals operano praticamente con tutti i principali velicoli militari da trasporto tattico americani, dal C-130 al C-5, ai Black Hawk ecc. Inoltre utilizzano gommoni pneumatici e barche dedicate. Sono operativi con i sottomarini classe Los Angeles, con iquali si avvicinano e allontanano da spiagge.
Numerosa è la filmografia a loro dedicata. Si pensi a “Navy Seals, giovani eroi”, che oltre a mostrare scene di addestramento mostra operazioni in Iraq nella prima Grerra del Golfo. Tra l’altro, in tale Guerra, un gruppo di 4 Seals riuscì ad occupare un comando iraqeno in cui vi erano 28 militari nemici. Oppure a “Trappola in alto mare” in cui Steven Seagal interpreta un incursore dei seals.Ma non in tutte le occasioni la loro efficacia ha raggiunto i risultati sperati.
Si calcola che il numero di divorzi e separazioni è particolarmente elevato tra loro, a causa dell’allontanamento prolungato da casa e della paura a cui sono sottoposte le loro mogli.
I Navy Seals operano anche congiuntamente, in particolari occasioni, con i loro colleghi NATO. In Italia i loro equivalenti si possono trovare nel CONSUBIM, derivazione della X Flottiglia MAS della Seconda Guerra Mondiale, allora presieduta da Iunio Valerio Borghese. Le loro origini sono da attribuire a Teseo Tesei, in periodo prebellico.

 

 

di Antonio Frate

 

 

 

I costi della guerra in Libia

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La prima settimana di guerra in Libia è costata ai paesi occidentali intervenuti oltre 600 milioni di euro. 568 milioni di euro per i primi giorni dell'offensiva "Odissea all'Alba". Le prime stime sono state rivelate dal settimanale americano National Journal e dal mensile francese Challenges. Secondo Jean-Marie Colombani, ex direttore di Le Monde, il mantenimento della zona di esclusione aerea rappresenterebbe una spesa settimanale dai 21 ai 67 milioni di euro. Secondo il vicedirettore dell’istituto francese per le relazioni internazionali e strategiche (Iris), un anno di applicazione di no fly zone in Libia costerebbe fra i 150 e i 250 milioni di euro.

Il solo primo giorno di conflitto ha comportato per gli USA una spesa di 68 milioni di euro. I missili Tomahwak lanciati dagli Stati Uniti, ciascuno del costo che si aggira tra i 700.000 e 1.500.000€, in media di € 800.000, sono stati 170 mentre i mezzi aerei ogni ora accollano € 6.000 per il carburante e 700 per la sola manutenzione. Al momento dell’inizio delle operazioni il Pentagono aveva vicino alle coste libiche tre sottomarini (mantenimento da 90 a 150.000 $ al giorno), due cacciatorpediniere (da 50 a 60.000 $), due navi d’assalto, una di esse portaerei (da 150 a 200.000 $). I caccia e i bombardieri hanno realizzato circa 1.000 incursioni, incluse però 120 per opera della Gran Bretagna e non più di 140 per mano francese.

I bombardieri B-2 Spirit hanno effettuato inizialmente tre spedizioni in Libia dalla base aerea del Mississipi: consumano in proporzione meno di un caccia però la manutenzione è più cara, inoltre la distanza che devono coprire è più lunga, cosicché il costo sale a 15.000 $ all’ora.

La perdita di un caccia F-15-E “Strike Eagle” è costato alla Forza Aerea Statunitense 55 Mln $.

Un giorno medio di guerra degli Stati Uniti si calcola costi intorno ai 130 milioni di dollari, ma con la riduzione delle attività americane, la loro spesa dovrebbe ridursi a 40 milioni di dollari al mese.

E’ molto ma sopportabile per il bilancio, in base al commento del vicesegretario per i finanziamenti delle Forze Armate statunitensi, l’ Adm. Joseph Mulloy, in realtà la maggioranza delle operazioni navali del Pentagono vengono pagate posteriormente con il denaro dei “costi imprevisti” previsti dai finanziamenti.

La rivista Forbes spiega che la Difesa americana costa circa 2 miliardi di dollari giornalieri. Questo denaro non è sufficiente per condurre un’operazione duratura ma solo per interventi sporadici che non durino troppo, come appunto nel caso della Libia.

A partire dal 31 marzo la NATO ha assunto ufficialmente il comando dell’operazione militare in Libia dalla mano degli Stati Uniti, con una cessione effettiva dal 4 aprile.

Il Pentagono cerca di ridurre la partecipazione dei suoi aerei da combattimento nei bombardamenti e nel pattugliamento aereo sino a un terzo delle incursioni.

Di fronte la riduzione della partecipazione statunitense alle operazioni, l’Europa sarà obbligata ad aumentare la propria partecipazione. D’altronde i dati del Fondo Monetario Internazionale dicono che nel 2010 il PIL della Unione Europea è arrivato a 16 mila miliardi di dollari e quello degli Stati Uniti a 14,5 mila miliardi (la CIA afferma che il PIL dell’Europa è di 15,9 mila miliardi, ma in ogni caso superiore a quello statunitense).

L’idea di distribuire i costi è proprio della Casa Bianca e del Congresso che ricordano che i costi delle campagne in Yugoslavia e Kosovo (1999), Afghanistan (2001) e Iraq (2003) sono stati quasi completamente sostenuti dagli USA.

Per la Francia la prima settimana è costata 21 milioni di euro. Sempre secondo l’ex-direttore Colombani, le 400 ore di volo dei caccia francesi Mirage 2000 e Rafale sono costate 5 milioni di euro esclusa la spesa del carburante e quella dei missili AASM che costano 300mila euro ciascuno.

Gli esperti britannici assicurano a loro volta che Londra nella prima settimana delle operazioni ha avuto costi per 25.000.000 di sterline escluse le munizioni.

La spesa per l’Italia che in una settimana è stata di circa 12 milioni, di cui 10 per l’aviazione; i Tornado hanno eseguito infatti 32 sortite ciascuna del costo di 300 mila euro escluso l’eventuale lancio di missili anti-radar AGM-88 HARM (che costano circa € 200.000 al pezzo).

I velivoli impegnati restano dodici, otto dell’Aeronautica e quattro della Marina. I primi sono per metà caccia Typhoon che continueranno a pattugliare lo spazio aereo per il controllo della “no fly zone” e per metà Tornado ECR equipaggiati con missili antiradar Harm per la soppressione delle difese aeree (radar). Nei prossimi giorni questi jet potranno essere sostituiti da Tornado della versione Ids, bombardieri in grado di impiegare ordigni a guida laser o gps (per colpire postazioni, mezzi, anche corazzati e artiglierie) e missili da crociera Storm Shadow, destinati a obiettivi come bunker e centri di comando e controllo. Va sottolineato che i Tornado rappresentano da sempre una spesa più elevata degli altri caccia, come i Typhoon. I quattro cacciabombardieri Harrier imbarcati sulla portaerei Garibaldi, utilizzati per il controllo dello spazio aereo, verranno impiegati anche per condurre attacchi al suolo con bombe e missili teleguidati Maverick (quest’ultimi relativamente costosi, essendo dotati di un sistema di guida televisivo sofisticato). I velivoli saranno disponibili per missioni di attacco insieme di una quarantina di jet alleati (statunitensi, britannici, francesi, belgi, canadesi, norvegesi e danesi) già assegnati a questi compiti. Gli aerei italiani impiegano armi intelligenti (guidate), le bombe Paveway a guida laser e le Jdam a guida gps. Per ridurre i danni collaterali gli arsenali italiani dispongono di 500 Small Diamter Bombs, ordigni da 125 chili depotenziati per ridurre il raggio d’azione dell’esplosione.

I restanti 2 milioni sono stati spesi in carburante per le navi impiegate: la portaerei Garibaldi, una fregata, il cacciatorpediniere Andrea Doria, il pattugliatore Borsini e la rifornitrice Etna, che consumano 300 mila euro al giorno di gasolio. Anche nel nostro caso vanno però separate le spese per la gestione ordinaria dei mezzi.

La guerra libica potrebbe costare all’Italia oltre un miliardo. A metà aprile La Russa disse in un’intervista che erano già stati spesi 500 milioni, contando anche i fondi del ministero dell’Interno per l’emergenza profughi e immigrati. Bossi ha parlato martedì di costi "per 700 milioni di euro in tre mesi tra missione militare e rimpatri”. Sul piano militare, l’impiego di aerei e navi nel primo mese di guerra ha raggiunto quasi 50 milioni di euro, considerando 1.200 ore di volo. Sulle spese influiranno due fattori: la durata delle operazioni e il consumo di bombe e missili i cui costi variano dai 30/40 mila euro per le bombe guidate a quasi un milione di euro per un modernissimo missile da crociera Storm Shadow . Un decreto dovrebbe coprire le spese per la missione libica, ma non è chiaro se si tratterà di un provvedimento ad hoc o se sarà integrato il finanziamento semestrale per le missioni all’estero pari a 1,5 miliardi annui.

Ma una parte delle spese è compensata dalla sospensione dei finanziamenti per le riparazioni di guerra concordate nel trattato italo-libico, pari a 250 milioni di dollari l’anno per 20 anni. Ulteriori risparmi si otterranno riducendo la presenza in Kosovo e Libano, dove sono schierati rispettivamente 650 e 1.400 militari. Quest’anno il contingente italiano aggregato alla K-For assorbirà circa 72 milioni di euro. La missione Unifil in Libano costerà 212 milioni di euro.

Dal Ministero della Difesa apprendiamo il bilancio di previsione del 2011 è di circa 20.556.850.176 Euro e che arriverà a toccare i 21.366.774.743 Euro nel 2013. Secondo dati Istat la cifra destinata alla Difesa è passata dal 2,4% del 2000 al 3,0% del 2009.

 

 

di Antonio Frate