L'economia di guerra

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Creato Giovedì, 26 Ottobre 2023 17:23
Ultima modifica il Domenica, 17 Marzo 2024 16:24
Pubblicato Giovedì, 26 Ottobre 2023 17:23
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Nell’ultimo decennio, la spesa per le armi nei Paesi NATO della UE è cresciuta quattordici volte più del loro Pil complessivo. In Italia la spesa per i nuovi sistemi d’arma è passata da 2,5 miliardi di euro a 5,9 miliardi. Gli Stati Uniti sono passati da 320 miliardi nel 2000 a 754 miliardi nel 2022, una cifra che rappresenta il 10% del budget federale. Questo business attualmente è quasi esclusivamente generato da cinque grandi aziende americane: Lockheed Martin, Raytheon Technologies, Beoing, Northrop Grumman e General Dynamics. Il resto delle posizioni della top ten è occupato da industrie cinesi, fatta eccezione per la BAE Systems britannica. Il primo produttore di armi dell’UE è italiana, la Leonardo. La Turchia è stato il primo Paese destinatario delle esportazioni di armi italiane nel periodo 2010-2020. A seguire, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Gli Stati Uniti, invece, sono il principale fornitore di Israele. 
Più di un terzo delle armi globali vendute in tutto il mondo negli ultimi cinque anni è di provenienza U. S. e circa la metà di queste armi sono vendute in Medio Oriente, il quale negli ultimi anni si è dimostrato il principale acquirente di armi a livello globale. In particolare, l’Arabia Saudita ha il primato di essere il più grande importatore di armi al mondo. Anche il Qatar si è fiondato sugli armamenti registrando un +360% nel quadriennio che va dal 2016 al 2020. Tuttavia, sul podio degli importatori dietro i sauditi non c'è il Qatar, ma ci sono India ed Egitto, il quale ha registrato nello stesso periodo un incremento del 136%. Mentre l'Egitto ha acquistato sempre meno armi dagli Stati Uniti in favore di Russia e Francia, oltre che essere il principale acquirente italiano, i sauditi nel 2017 hanno firmato un accordo sotto la Presidenza Trump per una commessa di armi dell'ammontare immediato di 110 miliardi di dollari e l'impegno a pagarne altri 350 nei successivi dieci anni. Con queste armi i sauditi stanno conducendo una guerra interminabile in Yemen, dove secondo l’agenzia di stampa francese AFP alla fine del 2021 si sarebbero contati quasi 380.000 morti. Dall'altro fronte del conflitto in Yemen c'è l'Iran che arma invece gli Houthi. A testimoniarlo sono i quasi 1500 AK47 e 220.000 munizioni che sono state rinvenute in una nave cargo partita dall’Iran e diretta verso lo Yemen. 
La Russia vanta il secondo posto in termini di vendita di armi a livello globale. A partire dal 2000, cioè dal primo mandato di Putin, il governo russo ha avviato un programma per rinnovare gli armamenti di fattura sovietica. Dal 2016 l’esportazione russa di armi rappresenta circa il 20% delle vendite globali di armamenti. In particolare, gli aerei costituiscono il 50% delle esportazioni. In risposta alle sanzioni occidentali risalenti al 2014, il governo russo ha istituito un massiccio programma di sostituzione delle importazioni per ridurre la sua dipendenza da armi estere. Dal 2016 l’India è il principale importatore di armi russe. Le sue esportazioni sono diminuite del 22% tra il 2016 e il 2020, ma ciò è dovuto principalmente a una riduzione del 53% delle vendite all’India. Allo stesso tempo, ha notevolmente migliorato le sue vendite in paesi come Cina, Algeria ed Egitto.
L’economia di guerra non riguarda solo la compravendita di armi: nel 2003 la Halliburton, multinazionale del settore petrolifero, avrebbe guadagnato quasi 40 miliardi di dollari soltanto dai contratti federali legati al conflitto. Come rinvenuto da un'inchiesta del Congressional Research Service, oltre 400.000 azioni della Halliburton erano già nelle tasche del vicepresidente americano Dick Cheney al momento della guerra. La Halliburton non fu un caso isolato, ma rappresenta un nuovo modo di fare business in guerra. Le compagnie militari private arricchiscono questo quadro: ha preso la scena delle cronache internazionali il gruppo Wagner che ha i suoi interessi in Africa. Le privatizzazioni dei gruppi militari sono molto in uso negli Stati Uniti: una delle più famose è l’Accademy. Aziende come la Blackwater sono esplose a partire dal 2001. Il dipartimento di Stato americano ha fatto sempre più affidamento a servizi offerti da queste realtà. Un'inchiesta di Time ha evidenziato che il magnate e fondatore della Blackwater, Erik Prince, con finanziamenti CIA, avrebbe avuto colloqui privati con Andriy Yermak, capo di gabinetto del presidente Zelensky. Secondo l’inchiesta, la Blackwater starebbe progettando la creazione di un esercito privato in collaborazione con la compagnia Lancaster 6 e l’intelligenza ucraina, da affiancare ad altri battaglioni. Poi c’è la questione del traffico di armi illegali, con il rischio di far arrivare queste armi nelle mani delle organizzazioni criminali. L’Ucraina, infatti, è un Paese con importanti problemi di corruzione. Di conseguenza, c’è il timore che dopo la guerra una parte delle armi, alcune molto avanzate, inviate al Paese finiscano nel mercato nero.
L’economia di guerra però non è caratterizzata solo dalla vendita di armamenti: a guadagnare più di tutti dalla guerra in Ucraina sono state le compagnie energetiche. Sfruttando l’aumento dei prezzi degli idrocarburi, e quindi dell’energia in generale, diverse realtà del settore hanno potuto realizzare nel 2022 gli utili più alti della loro storia. Secondo uno studio di Greenpeace, i dieci più grandi fondi speculativi al mondo ci avrebbero ricavato quasi due miliardi di dollari. 
In un contesto di emergenza, molte sono le speculazioni che provocano maggiori incassi nel breve termine, dal settore energetico a quello alimentare, ed in particolare dei cereali, ma nel lungo termine sono proprio le aziende di armi che dovrebbero trovare i maggiori profitti. Inoltre, se scoppiassero altre guerre, la domanda di armi potrebbe superare l’offerta. 
 
di Daniele Leonardi