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I messaggi di cordoglio per Montini (seconda parte)

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Il Colonnello Chiavassa, già comandante il 14° Rgt. Fanteria, in una lettera scritta al fratello Professore di scienze nel Liceo di Benevento, scuola di Leopoldo, in data 21 agosto 1915:
 
«L’ottimo Montini cadde precisamente il giorno 18 Luglio, mentre disimpegnava un compito delicato e pericoloso, affidatogli dal suo Colonnello. Morì da prode, quasi conscio del suo destino. Sia benedetta la sua memoria! Quando seppi della sua morte, non potei trattenere le lagrime. La storia del reggimento lo ricorderà come uno dei suoi figli più valorosi. Mi fu detto che venne proposto per la Medaglia d’oro al valor militare; sia ciò di qualche conforto alla famiglia» 
 
Il 17 settembre 1915 il Tenente Enrico Fossombrone di Firenze, anche lui del 14° Rgt. Fanteria, scrivendo al Signor Saverio Santorelli, Censore del Convitto Mario Pagano di Campobasso, così parlava dell’Eroe:
 
«... in quei giorni il 14° si fece grande onore; - i soldati di Campobasso gareggiarono con quei di Foggia in valore; - lo dica pure costà, è semplice verità. Fra essi il Sottotenente Montini cadde da eroe, dopo per ben sei volte essere andato a fare esplodere i tubi esplosivi»
 
Tenente Carlo Renato Paturno, del 14° Rgt. Fanteria, in data 27 febbraio 1916:
 
«GENTILISSIMO SIG. MONTINI
Non una esitazione di virtù per il suo povero figliuolo, ché la gloria costellò già di sua luce la bella fronte dell’Eroe quando sacrificò la sua giovinezza e tutte le sue speranze più belle per i destini di una patria più grande. L’orgoglio per noi, suoi compagni, di averlo conosciuto e di poterne serbare un imperituro ricordo. Io lo conobbi quando ancora la guerra non infieriva alla frontiera per l’affermazione dei nostri diritti sacri. E nel suo animo giovane, palpitante di sentimenti nobilissimi che portano alle imprese più ardue, io già scorsi tutto un poema fulgidissimo di sublime bontà eroica. Appartenendo ad altro Reggimento quando il bel 14° era già al fuoco e già s’era coperto d gloria, nell’attesa della nostra ora, giunse l’eco degli atti valorosi del caro Leopoldo. E ci parve che rivivesse iln Lui la magnanima impavida tempra dei Grandi per cui l’Italia s’era fatta una. E poi la nuova terrificante della sua fine. Egli – ci dissero, - era morto col sole alto, rivolta la fronte bella e lo sguardo che non sapeva il timore della trincea nemica, verso le terre che saranno nostre. Mai forse una morte così eroica, mai di certo una perdita così grande, ché in Lui si spense l’Esempio. S’abbia i sensi della mia simpatia più profonda e del mio ossequio grande. 
Tenente Carlo Renato Paturno»
 
Maggiore Giliberti, già Comandante il Battaglione di appartenenza del Sottotenente Montini:
«SIGNOR MONTINI
Per la commozione che mi prese, allorché la fortuna mi concesse di conoscerla, non ebbi forza, né avrei trovato parole adatte ad esprimerle tutta l’ammirazione che in me destava l’eroico suo Leopoldo, durante il periodo di tempo che ebbi agio ed occasione di notare il valore. Ma, man mano che i giorni passano, s’ingigantisce in me il bisogno di narrarle, in poche e modeste righe, così come la mia penna mi consente, quanto di sublime i miei occhi videro e quanto il mio cuore ebbe a palpitare. Le trascrivo per tanto il brano del breve mio diario di guerra riflettente suo figlio:
selz, 5 Luglio 1915
Di molte azioni valorose ed eroiche hanno già dato prova Ufficiali e truppa del bel 14° Fucilieri; ma sopra tutto impressa rimarrà nella mia mente l’impresa ardua del Sottotenente Leopoldo Montini. Giovane di belle speranze, cui sorride l’avvenire, Egli, sprezzante, la morte, si è offerto a recarsi fino ai reticolati nemici per collocarvi i tubi esplodenti e aprirci dei varchi, facilitarci l’avanzata e quindi il possesso di queste difficili ed aspre colline, cosparse di trincee formidabili e di fitti reticolati. Con una serenità spartana, col sorriso sulle labbra, conscio del grave pericolo che lo minaccia, prende gli ordini dal Comandante, si avvia, in compagnia di soli due soldati, ad assolvere il suo compito. Si arrampica carponi e strisciante, di pieno giorno, giunge ...fa accendere la miccia, i tubi esplodono, e, tosto che il fumo si dirada, egli ne osserva l’effetto... Torna felice a noi, a raccontarci l’esito della sua operazione. Come mi commuove la serenità d’animo di questo baldo giovane!...Io, dal finestrino della casetta, ov’è appostata la mitragliatrice del Battaglione ai miei ordini, collo sguardo e col cuore trepidante lo seguo ...lo seguo ...poi lo perdo di vista... Ecco che gli austriaci hanno sparato un colpo ...poi un altro ...lo hanno preso? Indicibile ansia! ...No... perché Egli è di ritorno...Respiro di gioia e di soddisfazione...Come sarà orgoglioso di te, caro Montini, tuo padre!
Con tutta stima mi creda. Maggiore Giliberti».
 
Estratto del discorso del Tenente Medico Luigi Chimitto, letto agli Uff.li in Zona di Guerra il giorno 2 novembre 1916 (La trasfigurazione della morte degli Eroi, Tipografia Colitti, Campobasso, pp. 24-25): 
 
«E non sono ignorate, così come si ignorano i nomi di tanti grandi martiri della fede, pur tra quanti siamo della stessa sua provincia di Campobasso, le gesta di uno dei più fulgidi eroi, del Tenente Montini di Campodipietra, dal nome modesto come quello di tanti eroi veri, e del quale i compagni di arme parlano con somma reverenza? Pareva Egli timido come una fanciulla: aveva non più di vent’anni. Ogni volta che nel suo Reggimento si richiedeva un Ufficiale che si offrisse volontario per recarsi a far brillare i tubi esplosivi sotto i reticolati dei nemici (impresa questa che richiedeva, come si suol dire, gran fegato e nella quale troppo spesso si rimaneva fulminati del piombo nemico), ogni volta, dunque, era il Tenente Montini ad offrirsi: notate bene: offri vasi volontario. Per otto volte andò con buon esito e per ben otto volte fu aiutato dalla fortuna, ma questa nella nona volta lo abbandonò e l’eroe trovò gloriosa morte. Gli fu decretata la Medaglia d’oro al valor militare. Cerchiamo di comprendere l’eccelso valore, l’esaltazione eroica: per nove volte Egli andò, offertosi volontario, fin sotto ai reticolati nemici per far esplodere i tubi carichi di nitroglicerina, quando chi tentava l’impresa anche una sola volta, meritevole era di gloria e dell’appellativo di Eroe. Che cercava Egli dunque nell’affrontare con tanta insistenza la morte? Non gli sorrideva la primavera? Deh! Quando la Patria, la grande madre, aveva chiamato i suoi figli, davvero questo giovane dové sentire che se moriva per la Patria, già sarebbe vissuto assai terminando nei suoi vent’anni. Egli più che mai dové sentire la gentilezza del morire, per ridire la stupenda frase del Leopardi; ma per un tal giovane, - e qui mi piace di ripetere le espressioni che il Luzio, riportando la frase leopardiana, scrisse per i martiri di Belfiore, - «l’amore non si rivolgeva ad un inafferrabile sorriso di donna, come nel Recanatese; per lui, invece, per il giovane Eroe, l’unico palpito del cuore era la Patria e pareva dolce la morte affrontata per lei»
 
di Antonio Salvatore