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La ginnastica militare tra passato e presente (seconda parte)

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A seguito della Legge Casati (Regio Decreto 13 novembre 1859, n. 3725 del Regno di Sardegna, entrato in vigore nel 1861 e successivamente esteso, con l’unificazione, a tutta l’Italia), vennero introdotti negli istituti secondari maschili gli esercizi militari come: marce ed evoluzioni; esercizi di corsa; salto in lungo e in alto; a corpo libero e agli attrezzi; agli allievi delle classi maggiori era impartita anche un’istruzione militare, propedeutica all’uso delle armi. Tali esercizi e istruzioni erano impartite da docenti appositamente formati e talora provenienti dall’Esercito. Negli anni successivi l’attenzione alle condizioni fisiche e alle capacità militari della nazione si era imposta come una necessità inderogabile nel momento in cui, conseguita l’unità politica, si delineò sulla scena internazionale un contesto fortemente competitivo in cui l’Italia rischiava di non trovare un adeguato posizionamento. La scuola e l’esercito, che erano le due istituzioni privilegiate attraverso cui far transitare i principi ispiratori della nuova politica nazionale, rivestirono dunque in questo passaggio storico un ruolo fondamentale. Per le ragioni appena descritte, divenne di particolare importanza quindi, l’insegnamento della ginnastica, divenuta educativa e obbligatoria, in grado di garantire e di accrescere non solo la capacità muscolare degli individui, ma il loro temperamento, la loro moralità e la loro fede negli ideali della Patria. La definitiva consacrazione del positivismo militaresco e razionale si ebbe nel 1909 con la Legge Rava-Daneo (Legge n. 805 del 26 dicembre 1909), in cui erano contenute le disposizioni che riconfermavano l’insegnamento dell’educazione fisica, tra cui: mezz’ora al giorno nella scuola primaria e, per complessive tre ore, nella scuola media; l’obbligatorietà alla frequenza di corsi magistrali di educazione fisica per quei docenti che aspiravano all’insegnamento nelle scuole medie. Oramai la ginnastica era considerata uno dei più importanti tasselli per la costruzione dell’identità nazionale, educare il corpo per educare l’anima del paese. Nel 1923, a cavallo tra le due guerre mondiali, vennero elaborati una serie di atti normativi che diedero vita a una organica riforma scolastica, la cosiddetta riforma Gentile, dal nome del filosofo e Ministro della Pubblica Istruzione (1923) Giovanni Gentile, in cui l’insegnamento dell’educazione fisica, in virtù della sua concezione spirituale, dovesse avere un compito morale, igienico ed educativo. Gentile riteneva, in primo luogo, che il fine della ginnastica non fosse la trasformazione dell’uomo in una macchina atletica, ma piuttosto quello di formarlo nella sua totalità spirituale, in secondo luogo, la ginnastica doveva essere presente nella scuola primaria nella sua forma collettiva, ricreativa e ludica, poiché, la scuola primaria era la scuola di tutti e per tutti, nel grado medio, invece, essa doveva cedere il passo ai saperi speculativi e pratici. Una scuola, per il filosofo siciliano, che avesse al suo centro il merito e l’eccellenza, una scuola in cui la sana competizione e il desiderio di affermazione avessero fatto da traino al rinnovamento della stessa istituzione scolastica. In ambito puramente militare, il Ministero della Guerra, l’1 gennaio 1928, pubblicava, per la successiva e scrupolosa osservanza dello stesso, il manuale Istruzione per la ginnastica militare, nella cui Premessa, si ricorda che la ginnastica militare, per mezzo dell’educazione dell’individuo, ha per fine ultimo l’elevazione della massa: «le particolari attitudini fisiche dei singoli, vanno quindi coltivate e sfruttate non a loro beneficio, ma per essere poste a profitto della collettività». All’indomani del secondo conflitto mondiale, allorquando è totale nella popolazione italiana il comune senso di ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà dei altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, anche la ginnastica, che da sempre era stata intesa come una fondamentale e propedeutica attività finalizzata alla formazione del futuro “cittadino-soldato”, intraprende un costante e progressivo avvicinamento a posizioni in chiave esclusivamente sportiva infatti, numerose saranno le società e le istituzioni sportive che nasceranno in ambiti extra-scolastici le quali, in seguito, risulteranno determinanti per la diffusione dello sport in Italia. Negli anni a seguire anche le Forze Armate, unitamente all’ordinario mantenimento dei quotidiani periodi dedicati all’espletamento dell’educazione fisica, come mezzo teso a ottenere il mantenimento dell’efficienza fisica del proprio personale, hanno organizzato, sviluppato e regolato al proprio interno, veri e propri  “gruppi sportivi militari”, formati da atleti detti “atleti militari”. Atleti che facevano parte dell’Esercito Italiano, della Marina Militare e della Guardia di Finanza, partecipano a competizioni sportive agonistiche fin dalla fine dell’Ottocento, inizialmente organizzati in squadre speciali o in reparti che si dedicavano principalmente all’attività sportiva; già nelle prime edizioni delle Olimpiadi dell’era moderna si registra le presenza di atleti militari. Con il tempo questo impegno sportivo è stato formalizzato con leggi e regolamenti, che hanno riconosciuto la possibilità, per corpi armati e forze di polizia, di arruolare atleti con risultati di livello nazionale, riconoscendo di fatto una situazione che aveva una lunghissima tradizione. L’Esercito, per mezzo di una sua articolazione, il Centro Sportivo dell’Esercito (creato nel 1960), gestisce l’insieme dei sei centri sportivi ubicati sul territorio nazionale, all’interno dei quali, da molti anni, eccellenti Istruttori Militari si occupano di allenare e selezionare giovani e promettenti atleti.

di Antonio Salvatore