Fahrenheit 9/11, il docu-film che sconvolse l’America

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Creato Lunedì, 05 Marzo 2018 15:31
Ultima modifica il Lunedì, 05 Marzo 2018 15:31
Pubblicato Lunedì, 05 Marzo 2018 15:31
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Il documentario Fahrenheit  9/11 del noto regista americano Michael Moore, premiato con la palma d’oro a Cannes, ripercorre gli accadimenti legati alla presidenza di Bush, dalla “vittoria” elettorale ai bombardamenti in Afghanistan e Iraq passando per l’11 settembre. La caduta delle Torri Gemelle, ripercorsa solo con il sonoro di quel tragico giorno, ha segnato l’inizio della vera lotta al terrorismo trasformando l’America e il vivere quotidiano dei cittadini stessi. Una parte del documentario si sofferma sulle relazioni affaristiche legate al business del petrolio tra la famiglia Bush e i principi reali sauditi, in particolar modo con il Saudi Binladin Group. Una serie di atteggiamenti incomprensibili mentre la popolazione veniva manipolata psicologicamente attraverso paura e terrore. Per difendere il paese da queste “minacce” terroristiche fu coniato il Patriot Act il quale limitava la libertà quotidiana delle persone anche ad esempio attraverso il controllo dei libri presi in biblioteca. La paura dei cittadini venne acuita da delle voci secondo cui Saddam Hussein (Rais dell’Iraq) disponeva di armi chimiche, notizia che poi si rivelerà infondata. Un’altra magagna che fece il presidente della Casa Bianca fu il bombardamento in Afghanistan e conseguentemente in Iraq che si conclusero con l’uccisione di molti civili, nonostante i rappresentanti della Difesa americana parlassero di bombardamenti mirati a determinati obiettivi, quali basi dei presunti terroristi. Il regista sondò il terreno con i parlamentari americani e sull’invio dei propri figli nelle basi belliche dove l’esercito americano combatteva. Con le loro risposte evasive sul quesito, Moore giunse alla conclusione che a difendere la patria erano maggiormente coinvolti i ragazzi dei ceti meno abbienti presenti nelle periferie. Il documentario si chiude con una citazione di George Orwell:  “Non si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se, invece, non lo sia. La vittoria non è possibile. La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai. Una società gerarchica è possibile solo se si basa su povertà e ignoranza. […] La guerra viene combattuta dalla classe dominante contro le classi subalterne e non ha per oggetto la vittoria sull’Eurasia o sull’Asia orientale, ma la conservazione dell’ordinamento sociale”.

di Alice Di Domenico e Domenico Pio Abiuso