Cina-Usa e la geopolitica dei mercati

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Creato Lunedì, 31 Ottobre 2016 08:47
Ultima modifica il Lunedì, 31 Ottobre 2016 08:54
Pubblicato Lunedì, 31 Ottobre 2016 08:47
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A partire dal gennaio 2016 tutti i titoli del settore bancario del vecchio continente crollarono per via delle proprie sofferenze sui crediti, facendo segnare minimi storici ai più grossi istituti bancari italiani e non. Di conseguenza gli indici europei passarono un periodo di depressione segnando i nuovi minimi dell’anno, seguiti dai principali indici americani e asiatici. Nonostante tutto però,c’è stata una lenta ripresa sui mercati europei; i principali titoli, esclusi quelli bancari, hanno riacquistato il loro valore sul mercato, ed i listini americani hanno addirittura segnato nuovi massimi storici. A cosa è dovuto questo periodo di trend altamente positivo visto soprattutto sui mercati americani? C’è un vero motivo di fondo? Anche in questo caso, la fonte più credibile al quale possiamo attingere è il passato. La storia infatti insegna che nelle recenti crisi, il mercato è crollato verso ottobre-novembre, o comunque in vista di eventi particolarmente importanti come le elezioni presidenziali o la chiusura del terzo trimestre USA, di conseguenza quest’anno potrebbe risultare molto delicato ed il momento di grande positività, sui mercati americani, a cui abbiamo assistito, altro potrebbe non essere che il punto di arrivo di un’enorme bolla finanziaria in procinto di esplodere. Quella di cui stiamo parlando è una bolla colossale che ha alla base il mercato del debito statunitense. Si tratta di un processo innescato diversi decenni fa, ma che sta venendo a galla solamente da poco. Il primo segno è stato dato dal crollo dei mercati cinesi nel 24 agosto del 2015, giornata rinominata “lunedì nero”. Durante il mese di agosto ci furono le prime debolezze, ma quel lunedì fu la giornata più negativa, con crolli significativi su tutte le principali piazze mondiali, lasciatesi trascinare dal mercato asiatico. Secondo il parere degli economisti, il mercato cinese cadde per l’esigenza di sgonfiare le quotazioni dei titoli azionari che in precedenza erano altamente sovraprezzate, fino a sessanta volte il loro reale valore. Nonostante questa spiegazione apparentemente logica, il vero motivo è molto più grande. Negli ultimi anni la Cina ha avuto aumenti del PIL esponenziali, addirittura numeri a doppie cifre, a cui erano ormai abituati sia il governo cinese che gli investitori. Nel 2015 questo non accadde, o meglio, ci fu comunque un aumento elevato, ma non abbastanza da soddisfare le aspettative del mercato ed i piani del governo. Quest’ultimo allora, non ritrovandosi con i conti fatti ad inizio anno, ha dovuto metter mano alle proprie riserve, ovvero un tesoretto di 3,8 milioni di dollari, da far invidia anche agli Stati Uniti. Cifra accumulata in tanti anni e più che dimezzata in appena un mese. A questo punto si può dedurre che l’amministrazione cinese avesse già previsto di arrivare ad una tale situazione, mettendo preventivamente un’ingente somma da parte per farvi fronte. Ricordiamo che la Cina è uno dei paesi che importa la più grande quantità di materie prime in tutto il mondo: ferro, zinco, oro, argento, metalli vari, gas naturale ma soprattutto petrolio ed acciaio, infatti tutte le più grandi e principali società del settore sono cinesi oppure operano direttamente con la Cina che ne è il maggior acquirente su scala globale. Ma la materia prima allo stato puro proviene dai Paesi emergenti, come ad esempio l’Arabia Saudita con il petrolio, e la maggior parte delle entrate di questi paesi in via di sviluppo proviene proprio dalla vendita di queste materie ad altri paesi, in primis la Cina. Questo vuol dire che se lo stato asiatico in questione non ha più soldi per acquistare le materie prime dai paesi produttori, questi avranno economie più deboli perché private del commercio che rappresenta quasi interamente il loro sistema economico, e ciò sarà la conseguenza di meno introiti che a sua volta porterà a non avere più soldi per pagare i debiti, un vero e proprio collasso che nel peggiore dei casi potrebbe concludersi con un default. Ma debiti nei confronti di chi e, soprattutto, perché stiamo parlando dei paesi emergenti e cosa hanno in rapporto con l’America? Perché proprio i paesi emergenti sono i maggiori detentori del debito nei confronti degli Stati Uniti, si tratta di cifre stratosferiche: 117 miliardi di dollari da parte dell’ Arabia Saudita, per non parlare dei 1000 miliardi di dollari ciascuno in mano a Cina e Giappone. E questo è il vero fattore principale, perché l’America è un Paese che di fatto non produce nulla e la sua economia è basata quasi interamente sul mercato del debito, se questi paesi non hanno più entrate, allora non saranno in grado di pagare le loro passività, con il conseguente crollo del mercato americano. Ma non finisce qui, perché a questo punto gli Stati Uniti potrebbero stampare più carta moneta a cui succederà una grossa inflazione seguita dalla svalutazione del dollaro. Quindi meno sussidi alle banche da parte del governo ed una moneta che vale molto meno. Inutile dire come tutto questo avrebbe effetti devastanti sull’intera economia globale. Lo scenario di cui abbiamo appena parlato è plausibile dato che le riserve cinesi prima o poi saranno destinate a finire. E se i mutui subprime, nel 2008, costituivano una piccola parte del mercato statunitense, la fetta del mercato del debito è molto più ampia, il tutto amplificato da un imminente aumento dei tassi che costituirebbe solo un brusco acceleratore di un sistema corrotto avuto inizio già decenni fa e destinato ad esplodere.

di Gabriele Calabrese