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L'Italia e la sua "petitesse"

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L’inno nazionale italiano, meglio noto come Inno di Mameli, risale al 1847, scritto dal poeta Goffredo Mameli e musicato dal direttore di banda Michele Novaro. Proprio nel Risorgimento ha avuto grande popolarità grazie al fervore patriottico dell’epoca, finendo poi in disgrazia dopo l’unità quando venne soppiantato dalla Marcia Reale e talvolta dalla Leggenda del Piave di E. A. Mario. Se i francesi grazie a de Gaulle, riuscirono a reinventarsi la grandeur dopo la disfatta del 1940,noi italiani, allo stesso scopo, scoprimmo le virtù della nostra piccolezza o “petitesse”. Così cancellammo dal nostro orizzonte qualsiasi riferimento alla patria e su questa rimozione fondammo la Repubblica. Oggigiorno la nostra Repubblica Italiana soffre tanto soprattutto su alcuni aspetti a cominciare dalla politica estera. E’ ormai tempo che l’abbraccio tra il Mediterraneo e il nostro paese torni a occupare lo spazio centrale nell’agenda politica italiana. È un’illusione ritenere di poter vincere le sfide globali scommettendo sul mercato come quello americano o asiatico se non si è prima mostrato al mondo di essere capaci di assicurarsi saldamente la partita in corso nel Mediterraneo. Nessuno dei paesi che navigano ambiziosamente nel mare della globalizzazione ha infatti rinunciato ad affermarsi nel proprio giardino. Inoltre come sosteneva in suo editoriale su Limes, il direttore Lucio Caracciolo, d’altronde  saremmo noi i primi responsabili della nostra emarginazione, giacché non riusciamo ad articolare un nostro progetto europeo. “Siamo afflitti dal complesso della dining power: l’importante è avere un posto al tavolo d’onore, anche se non abbiamo nulla da dire (ma alla fine paghiamo il conto quanto e più di chi decide davvero)”. L’Europa potrebbe servire alla sicurezza italiana solo se il nostro Paese, contando maggiormente ad Est, aumenterà la sua importanza per la Germania rendendo possibile un coordinamento politico fra Berlino e Roma. L’Italia serve poi agli italiani nel mondo. Se sommiamo gli italiani d’Italia agli emigrati della Diaspora, otteniamo un totale che supera i cento milioni. Un giacimento geopolitico che attende di essere sfruttato. E che deve essere sottratto alle beghe partitico-elettoralistiche come pure all’avventurismo nazionalistico. Avremmo così un allargamento dello spazio geopolitico nazionale. Infine il nostro rapporto con gli Stati Uniti, spesso servile ai loro obiettivi e scorribande in giro per il mondo vedi Afghanistan o Iraq. Le basi che ospitiamo in Sicilia restano strategiche sotto l’aspetto geopolitico ma non è detto che gli americani vi rimarranno per sempre. Di sicuro restano utili per gli interessi a stelle e strisce soprattutto nel nuovo Medio Oriente sempre più appetitoso.

di Roberto Colella (tratto da Lettera 43)