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Belgrado e le nuove sfide per il 2020

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Gli incredibili orari delle compagnie aeree low cost mi impongono di atterrare a Belgrado alle prime ore dell’8 gennaio, quando è appena trascorsa la giornata del Natale ortodosso.

Si avverte subito la sobrietà con la quale la confessione religiosa di maggioranza nel paese celebra questa festività: non c’è alcun addobbo sfarzoso, qualche luminaria fa capolino sulle strade principali, qualche albero spunta qua e là, nulla delle luci e dei colori sfavillanti con le quali le capitali europee cattoliche e protestanti si mostrano nei giorni della natività, anche in tempi nei quali i venti della crisi economica e sociale si abbattono sul vecchio continente.

Il cielo plumbeo, il clima rigido anche se non eccessivamente freddo, con della pioggia mista a qualche timido fiocco di neve, le saracinesche abbassate dei negozi, il traffico scorrevole, fanno avvertire la sensazione di una metropoli grigia ed assonnata.

Il giorno successivo, quando tutto riapre, i belgradesi, che hanno trascorso il breve periodo di ferie fuori, rientrano e le automobili tornano ad intasare le strade, la metropoli riprende il suo ritmo e la sua routine,si riaccendono le luci delle vetrine dei negozi e dei supermercati, Belgrado sembra piombare in una dimensione totalmente diversa, quella di una città animata e coloratissima, pulsante di vita e di passione.

D’altra parte, se gli stravolgimenti politici ed economici che hanno travolto i paesi dell’est europeo a partire dagli anni 80 e che hanno trovato il loro culmine nella caduta del muro di Berlino, hanno ridisegnato totalmente il volto di molte delle loro capitali, Belgrado è stata, sia negli anni del titoismo che in quelli immediatamente precedenti le guerre balcaniche, una città totalmente priva di appeal, completamente tagliata fuori dai flussi turistici internazionali, che invece si riversavano massicciamente su Praga, Budapest ed anche Mosca e San Pietroburgo.Una città che non suscitava nessun interesse neppure tra i forzati visitatori,che dovevano soggiornarvi necessariamente per affari o per altre ragioni.

La Jugoslavia era identificata con le coste della Croazia, le terme e le grotte della Slovenia, il fascino prepotente di Dubrovnic, e, dalla metà degli anni 80 ,il culto mariano di Medjugorie, che ha fatto affluire sulla cittadina bosniaca un flusso ininterrotto di pellegrini. Schiere di cacciatori italiani ed europei erano inoltre attratti dalle numerose ed estese foreste ,la cui ricchezza di selvaggina consentiva di tornare a casa con carnieri stracolmi di prede abbattute. Ben pochi invece consideravano, né tantomeno amavano Belgrado. Certo, qualche visitatore meno convenzionale, più attento e più attratto da mete al di fuori del turismo di massa, ne avvertiva un fascino discreto ma ammaliante, un atmosfera picaresca e sanguigna che solo i film di Kusturica hanno saputo rappresentare con grande efficacia.

Dopo le guerre che hanno portato alla disgregazione della Jugoslavia, il conflitto, ancora non del tutto risolto con la popolazione albanese del Kosovo, culminata con i raid aerei del 1999, che hanno posto Belgrado al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, la capitale della Serbia ha voluto ridisegnarsi, rimettersi in gioco, lottare per ricostruire il futuro . Ed in questo sforzo ha trovato, quale componente fondamentale, la classe giovanile. Sono infatti i giovani la forza più vitale ed entusiasta che ha dato impulso alla trasformazione di Belgrado in una delle capitali europee che stanno conquistando un numero sempre crescente di visitatori, un glamour che prima neppure si sognava.

Belgrado dunque, città di giovani, i veri protagonisti della sua rinascita. Giovani che ne richiamano altri, non solo dalle altre città e paesi della Serbia ma anche dagli altri Stati nati dalla dissoluzione della ex Jugoslavia,giovani che provengono da Sarajevo come da Zagabria, da Pola come da Portorose, oppure da piccoli paesi e villaggi sperduti, vengono qui a trascorrere un fine settimana, una giornata o magari il loro intero periodo di vacanza. E ad accoglierli sono una grande quantità di discoteche, disco bar, taverne che servono le abbondanti grigliate di carne e le zuppe, che rappresentano i piatti più comuni della cucina locale, focaccerie che vendono ottimi panini, i vari Mc Donald’s, qui meglio arredati e confortevoli che altrove, ed anche locali gay e lesbian friendly, che testimoniano il desiderio di scrollarsi di dosso la mentalità poco aperta e socievole delle decadi passate. E tanti ostelli a prezzi economici gestiti a loro volta quasi sempre da ragazzi gentilissimi e sempre pronti a fornire suggerimenti su quanto la città offre a livello di spettacoli e di feste alla moda.

Una gioventù festosa senza essere chiassosa,di bell’aspetto senza dare nell’occhio, elegante e mai trasandata, senza bisogno di indossare abiti firmati e costosi, considerato che il prezzo di un paio di scarpe e di un abito elegante possono equivalere ad un salario mensile.

E che questa gioventù rappresenti la forza propulsiva di una Belgrado proiettata verso il futuro,vvlo dimostra la candidatura della città a capitale europea della cultura nell’anno 2020. Candidatura alla quale si crede e per la quale si sta lavorando alacremente ed alla quale hanno già offerto il loro appoggio città partner, come Atene, Corfù, Perugia, Vilnius ed altre città delle repubbliche della ex Jugoslavia, come Banja Luka, Liubijana, Sarajevo, Skopije e che il sindaco Dragan Dilan ha illustrato in un blog appositamente creato per l’iniziativa.

La sfida che si presenta pone la cultura e l’educazione al centro di un futuro che possa riscattare le tante, troppe tragedie che la storia ha riservato a questa città, oggetto di conflitti e devastazioni quasi sempre decisi da altri e sempre in contrasto con gli interessi della popolazione. E che hanno visto il loro più recente capitolo nei bombardamenti della Nato del 1999, che la città ha voluto ricordare lasciando tre palazzi, due dei quali sulla centralissima Knesa Milesa, una strada dove sono presenti molte ambasciate, tra le quali quella statunitense, ed una alle spalle della bellissima cattedrale ortodossa dedicata a San Michele, nello stesso stato nei quali si sono trovati dopo essere stati bombardati,con una stele che porta una scritta “perché” emblematica della atroce sofferenza provocati dai terribili raid aerei di quell’anno, vissuti dalla popolazione senza che la stessa avesse alcuna colpa se non quella di avere un governo che allora si mostrò ottuso ed arrogante ed una serie di stati che non hanno trovato di meglio che sfoggiare la loro forza dovuta alla superiorità numerica ed ai mezzi che avevano.

Per i visitatori questi palazzi rappresentano un autentico pugno nell’occhio, un grido di dolore che attraversa le coscienze e che difficilmente potrà essere dimenticato una volta rientrati a casa .

Anche la creatività è una componente essenziale delle nuove generazioni di Belgrado.

A Skadarljia, stradina assai suggestiva, denominata “la Montmartre di Belgrado”, tante piccole gallerie e botteghe d’arte testimoniano un talento ed una sensibilità artistica sorprendenti.

E poi, una nuova classe imprenditoriale dinamica e intraprendente, che sta crescendo anche grazie agli investimenti stranieri che stanno affluendo nel paese ed alla ricostruzione seguita ai conflitti degli anni 90.

Ma accanto a questa Belgrado giovane e sfavillante di luci e di colori, ce n’è un’altra, difficilmente percettibile, che vive e si alimenta di traffici loschi ed illeciti.

Traffici di droga, di armi, di prostituzione. Per la droga la capitale serba rappresenta un crocevia, un punto strategico fondamentale, l’approdo intermedio di un tragitto che parte dai paesi produttori dell’America Latina e del Sud Est Asiatico e si conclude nei porti ed aeroporti di città italiane ed europee.

Anche per il traffico di armi Belgrado rappresenta uno snodo importante, dato che queste servono per i vari conflitti che covano in tutti i paesi dell’area balcanica, paesi che si proiettano verso il futuro sperando in una pace interminabile ma che fanno ancora i conti con incognite e tensioni interne che potrebbero riesplodere (tra l’altro la questione della popolazione kosovara, non è ancora risolta,sebbene il nuovo stato del Kosovo sia stato riconosciuto da altri stati della Comunità internazionale ed il premier serbo Pavic abbia offerto segnali di dialogo e di disgelo che era atteso da anni tra due etnie, la serba e la kosovare,sempre sull’orlo di una guerra e di una tragedia.)

Il giro di prostituzione ha avuto il suo apice attraverso un passaparola tanto discreto quanto efficace in base al quale le ragazze di Belgrado sono bellissime, e questo naturalmente non poteva non scatenare gli appetiti di bande organizzate che gestiscono un giro rilevante di denaro legato allo sfruttamento della prostituzione, mentre i visitatori che non sono in cerca di sesso facile ma mercenario, seppure a buon mercato, sperano di incontrare e conquistare donne che sono fuori da giri di prostituzione ed offrono il loro servizio gratuitamente,magari con un regalino che serva per dare ossigeno ad un salario medio che qui in Serbia è ancora ben al di sotto degli standard delle grandi nazioni europee occidentali.

Ed i personaggi che muovono le fila di questi traffici che vedono sempre confluire danaro nelle tasche di soggetti assai poco raccomandabili, si possono riconoscere nei pochi alberghi di lusso, nei casinò, nei clubs esclusivi, nei ristoranti di stile occidentale o nelle taverne meglio organizzate, dove i prezzi sono ben al disopra della portata della gente comune.

Sono personaggi che anche quando vestono abiti firmati dalle griffe più prestigiose, trasmettono una sensazione di cafoneria, declino, cattivo gusto. Sono ubriachi fradici, secondo gli stereotipi dei miliardari arricchiti della Russia e dei paesi dell’est europeo. Si muovono in maniera rozza ed inelegante. Così lontani dalla sobrietà dignitosa dei belgradesi.

Mancano alcuni mesi alle elezioni legislative della prossima primavera e non ci sono ancora nelle strade, manifesti che mostrano candidati e partiti politici. Se ne vede solo uno ,che è quello di un candidato che, assieme al suo volto, rende ben visibile un simbolo dell’Unione Europea dove si presenta una croce di sbarramento che è chiaro segno di diniego. E’ un segnale questo che, non sono solo alcuni paesi europei a trovare prematuro l’ingresso della Serbia dell’Unione Europea, ma vi è anche una parte della pubblica italiana che non vuole o semplicemente non è interessata a questo ingresso. Questa è semplicemente una ipotesi, che si vedrà quando a seguito delle elezioni della prossima primavera ci saranno da ridisegnare gli equilibri politici interni e da rivedere le situazione con il neostato kossovaro.

 

 

di Antonello Macchiaroli