Il Punto del Direttore

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Creato Venerdì, 11 Marzo 2011 14:42
Ultima modifica il Giovedì, 08 Novembre 2012 11:01
Pubblicato Venerdì, 11 Marzo 2011 14:42
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La Rivoluzione dei Gelsomini e il suo effetto domino

 

10 dinari per acquistare l’essenza di gelsomino rinchiusa in una boccetta di vetro. Quello stesso gelsomino che dato il nome ad una rivoluzione divenuta pagina cruciale della storia nordafricana del nuovo secolo. Un fiore profumato che si è mischiato all’odore acre del sangue dei rivoltosi che lo scorso gennaio sono scesi in piazza al grido di Libertà. Oggi la Tunisia, paese dei gelsomini, vive gli effetti e le conseguenze della rivoluzione.

Rivoluzione che ha causato un vero e proprio effetto domino con ripercussioni in Egitto, Yemen, Bahrain e soprattutto Libia. Dopo 23 anni di regime il popolo tunisino è sceso in piazza a deporre il suo dittatore.

Ben Ali nasce nel 1936 da una famiglia modesta nella zona nord-orientale della Tunisia di Hammam Sousse. Frequenta le scuole militari francesi e statunitensi e fa parte del movimento di resistenza alla presenza coloniale francese in Tunisia militando nel partito neo-Destour, alla cui testa vi era colui che sarebbe diventato il padre e primo presidente della Tunisia indipendente, Habib Bourguiba.

Nei primi anni ’60 Ben Ali inizia la propria carriera militare ricoprendo per dieci anni l’incarico di capo del Dipartimento di Sicurezza militare tunisino.

Verso la fine degli anni ’70 viene nominato direttore della Sicurezza nazionale, diventando di fatto il capo dei Servizi segreti tunisini e nel 1980 viene inviato a Varsavia come ambasciatore in Polonia, incarico che manterrà per soli tre anni, prima di rientrare in patria e diventare ministro degli Interni.

Nell’ottobre del 1987 viene nominato primo ministro direttamente dal presidente Bourguiba. A questo punto Ben Ali decide di sferrare il colpo decisivo al padre dell'indipendenza, deponendolo con quello che sarebbe passato alla storia come un colpo di Stato “medico”.

Bourguiba, ultraottantenne e in un momento in cui la propria politica soprattutto nei confronti dei movimenti islamisti era ritenuta pericolosa per la sicurezza e stabilità del territorio, viene dichiarato malato e non più in grado di guidare il paese.

La successione avviene senza spargimenti di sangue e senza colpi di arma da fuoco, semplicemente per mezzo di un certificato medico. Per la cronaca l’ex presidente Bourguiba sarebbe vissuto ancora per ben 13 anni, fino al 2000.

Ben Ali prende il potere il 7 novembre del 1987. A dirla tutta il golpe non fu soltanto merito di Ben Ali, ma anche di alcune ingerenze esterne, visto che la Tunisia si professava laica e filo-occidentale.

Ben Ali come presidente ha annientato tute le forze di opposizione politica e civile interna creando uno Stato retto da un unico partito, il neo-Destour, rinominato da lui stesso Raggruppamento democratico costituzionale (Rdc).

La Tunisia di Ben Ali è stata piena di contraddizioni sopravvivendo grazie alla complicità e all’alleanza con l’Occidente, soprattutto con l’ex madrepatria Francia e l’Italia. Parigi e Roma rappresentano quasi il 40% del volume totale del commercio tunisino.

E poi gli Stati Uniti che dopo l’attentato dell’11 settembre e la paranoia islamica del terrorismo hanno visto nella Tunisia, esempio di laicismo e che aveva sconfitto l’islamismo attivista, un alleato prezioso e strategico nell’area vista anche l’imprevedibile e poco rassicurante presenza della Libia di Gheddafi .

In questo modo Ben Ali è riuscito a farsi rieleggere, sempre con percentuali molto alte (89% nel 2009) tanto da farsi rinominare “Ben a vita”. Il potere lo ha costruito nel tempo con una serie di relazioni clientelari assicurando al partito posti di lavoro e incarichi nella burocrazia pubblica con enormi sprechi di denaro.

Non dimentichiamo però Leila Trabelsi, seconda moglie di Ben Ali, diventata padrona di gran parte del paese ponendo le mani su televisioni, giornali e banche, a tal punto da diventare più incisiva del presidente stesso.

Dopo la deposizione di Ben Ali nella rivolta che ha causato più di 200 morti, il paese ancora in preda ad una forte instabilità, era stato affidato a Mohamed Gannouchi, un uomo non molto amato, per nulla innovativo che a seguito di alcune forti proteste corroborate da alcune morti, ha lasciato la guida transitoria del paese a Béji Caid Essebsi affinché prendesse le redini del potere per traghettare la Tunisia verso le prossime elezioni democratiche, ponendo come primo obiettivo l’istituzione dell’Assemblea Costituente.

La Rivoluzione ha visto protagonisti molti studenti universitari e soprattutto liceali che grazie a strumenti come Facebook si sono messi in rete e si sono raggruppati nelle piazze del centro tra Avenue Bourguiba e Place de l’Indépendance, davanti le sedi ministeriali, per protestare al grido di “Viva la libertà”.

Il 25 febbraio scorso più di 140 liceali di Nabeul hanno fatto tappa a Tunisi per partecipare al corteo di protesta presso la Kasbah al grido di “Fiero di strappare la mia libertà”. Per i giovani manifestare equivale ad un modo di esprimere la propria opinione tanto da arrivare allo slogan “Je proteste, donc j’existe!”(Io protesto, dunque io esisto!).

Sabato 5 marzo davanti la cupola di El Menzah, a Tunisi, si sono dati appuntamento migliaia di manifestanti per chiedere il ritorno al lavoro e maggiori garanzie contro le violenze degli ultimi tempi soprattutto nei quartieri più degradati.

Gli uffici ministeriali continuano ad essere presidiati giorno e notte da militari e uomini della polizia nazionale preoccupati di nuove ondate di sommosse nonostante Essebsi sembra godere dell’appoggio dei vari partiti politici. La situazione economica resta molto deficitaria e gli effetti sono destinati a durare ancora nel tempo in attesa di nuove riforme governative.

Intanto a sud della Tunisia, al confine con la Libia, la situazione dei profughi di Ras Jedir sembra stabilizzarsi anche se preoccupa la diffusione di epidemie. Dei numerosi profughi 18.000 sono soltanto del Bangladesh poi ci sono egiziani e profughi del Mali. La maggior parte vive il dramma nel dramma. Sono rifugiati che hanno lasciato il loro paese per riparare in Libia e adesso si vedono costretti a fuggire anche dal territorio di Gheddafi.

Fuggono dalla Libia così come molti tunisini disoccupati fuggono dalla Tunisia verso Lampedusa creando allarmismi in Italia costretta a fare i conti con questa emergenza non nuova ma che sembra distogliere l’attenzione degli italiani dalla crisi interna ben più seria tralasciando inoltre l’umanizzazione del fenomeno migratorio.

 

 

Roberto Colella

(inviato a Tunisi)