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Libia: Costi quel che Costi

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Mentre gran parte della comunità internazionale denuncia a gran voce le consistenti violazioni del Colonnello Gheddafi che hanno provocato migliaia di vittime tra ribelli e civili, buona parte dell’intellighenzia si appresta a definire gli scenari per un possibile intervento delle forze occidentali in Libia.

Questo, allo stato delle cose attuali, non solo sarebbe sbagliato, ma comporterebbe anche delle ripercussioni a livello economico, politico e militare per i paesi coinvolti –Libia in primis- non poco rilevanti. E’ per questo motivo, dunque, che il supporto occidentale in Nord Africa dovrebbe essere incessante e perentorio, pur limitandosi però ad un piano prettamente umanitario.

Vi sono una serie di fattori che rendono sconsigliabile un intervento militare in Libia. Anzitutto, l’idea che una forza esterna, qualsiasi essa sia, possa essere in grado di porre rimedio alle problematiche ben radicate nella società libica è fondamentalmente sbagliata. Un ipotetico intervento non risolverebbe granché; rimanderebbe al futuro, se mai, la necessaria risoluzione delle incertezze di un paese stanco e provato dalle follie di un regime dittatoriale. Alle quali solo la popolazione libica può e deve trovar risposta.

Non sono gli occidentali a dover deporre il Colonnello ma i libici stessi. Con il fronte afgano ancora più che mai aperto, inoltre, il Mondo non può permettersi ulteriori fallimenti – senza considerare le conseguenze a catena che ne deriverebbero in ogni settore dell’economia. L’America non può sostenere un altro piccolo Iraq, l’Occidente nemmeno.

Il quadro geografico e politico della Libia è piuttosto complesso. La spettacolare onda rivoluzionaria che la ha attraversata di recente, alla ricerca di pace e libertà, ha diviso il Paese, ma quanto avviene in questi giorni, è talvolta ingigantito in maniera impropria dai media. La situazione è assai diversa dai precedenti casi di Tunisia ed Egitto.

Buona parte dei ribelli libici è in attesa di un intervento da parte dell’Occidente, o direttamente di una risoluzione da parte delle Nazioni Unite, per mettere fine alla lunga dittatura di Gheddafi, ma tra questi non sono pochi quelli che nutrono più di qualche dubbio circa la paventata ipotesi d’azione da parte delle forze occidentali. Proprio questi ultimi sembrano aver compreso il problema di fondo.

Una intromissione straniera nelle dinamiche interne di un paese culturalmente incardinato su una forte tradizione religiosa, nazionalista e tribale, equivarrebbe ad accrescere considerevolmente il disordine e le possibili ripercussioni militari da parte di altri paesi non solo limitrofi. Di qui l’esigenza ed il compromesso, forse più realistico ma certamente non più facile da attuare, di una “no-fly zone”.

Che smorzerebbe drasticamente l’assedio aereo da parte del Colonnello nei confronti della popolazione. Ma l’adozione della suddetta misura implicherebbe ugualmente dei rischi non da poco e, sopra ogni cosa, l’incertezza della sua funzionalità. Non è detto infatti che la “no-fly zone”, qualora dovesse essere implementata, riesca a far cessare il bagno di sangue che il Colonnello perpetua ormai da giorni dall’alto dei cieli libici; né che tutti i membri del Consiglio di Sicurezza ONU siano d’accordo nell’approvarla.

Russia e Cina, contrariamente a quanto dichiarato da Lega araba e dall’Organizzazione della Conferenza islamica, hanno già espresso il loro dissenso. E’ dunque l’Italia (e non solo lei) realmente pronta all’attuazione di una presunta “no-fly zone”, che comporterebbe, tra le altre cose, l’uso delle basi navali americani in Sicilia? Difficile dirlo, ma è certo che la condizione attuale del Belpaese verrebbe messa ulteriormente a dura prova.

Ma non solo. Nelle diverse aree occupate dai ribelli, che oggi chiedono di essere riconosciuti come unica entità libica, l’idea di un nuovo e stabile governo rimane ancora un lontano miraggio, specialmente dopo che Mustafa Abdel Jalil, l’ex ministro della giustizia passato al fianco dei rivoltosi, si è dichiarato provvisoriamente leader del Consiglio Nazionale Libico, alimentando incertezza e perplessità.

Bengasi, centro strategico nodale per la sua posizione sul Mediterraneo, rimane dunque la roccaforte in mano alle forze contro Gheddafi. Del resto, non è difficile intuire cosa abbia fatto scaturire una tale resistenza nella città che il Colonnello usava chiamare “vecchia strega”. Gheddafi è comunque convinto di poter riprendere Zawiya e Misurata, due delle città occupate vicine alla capitale, Tripoli.

La potente tribù di Warfalla, che comprende circa un milione di libici (su una popolazione totale di 7 milioni), rimane fedele ad un coacervo di clan e gruppi vicini a Gheddafi. Il che ha anche permesso alla famiglia del Colonnello di contare sull’appoggio di almeno 20,000 uomini pronti a lottare e a schierarsi contro i ribelli in suo nome. Il rischio è che la rivolta si trasformi in una guerra civile e questi dati testimoniano con evidenza le difficoltà che si avrebbero qualora il Colonnello dovesse essere deposto dalle forze occidentali con un intervento militare.

Il futuro della Libia dipenderà anzitutto dai suoi stessi cittadini. L’ideale sarebbe che avvenisse l’improbabile: e cioè che Gheddafi rinunciasse al potere in nome della libertà dei 7 milioni di libici. In questo senso, quindi, è opportuno che avvengano quattro cose fondamentali.

Per prima cosa, è necessaria una forte e continua pressione internazionale, appoggiata a ragion veduta dal Mondo Arabo. L’istituzione di una “no-fly zone”, che limiti al minimo l’uso della forza e che al tempo stesso impedisca la repressione dei cittadini da parte del Colonnello, dovrebbe essere la seconda. Inoltre, un costante supporto umanitario da parte delle forze occidentali è d’obbligo. Ma solo a fronte di un consenso politico incondizionato sia dell’ONU che della Nato e di una posizione comune nell’ambito dell’Ue.

Infine, sopra ogni cosa, è cruciale che si riscontri una totale presa di posizione, di responsabilità e di fiducia da parte dell’intera popolazione libica contro Gheddafi, in modo che possa lei stessa trattare univocamente ed indistintamente la deposizione del Colonnello e l’istituzione di un nuovo governo. Solo a quel punto la Libia potrà conoscere la sua vera libertà.

Se andrà bene, il nuovo governo stabilirà liberamente ed equamente i limiti entro i quali il concetto di democrazia occidentale potrà essere applicato; se andrà male il potere sarà ripreso da quei pochi che avranno l’accesso diretto alle preziose risorse petrolifere del Paese. Ma questo lo si potrà capire solo tra qualche anno.

 

 

di Giulio Gambino

(The Post Internazionale)